Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Liguori Editore, 2006, pp.239.
Nota critica di Luigi Metropoli
Se il teatro fosse un organismo vivente, ne vedremmo i cambiamenti bio-tecnologici nell’ultimo periodo della sua esperienza terrena. Lo vedremmo come in un film tratto da un romanzo di Philip K. Dick o come un lavoro di Cronenberg o lo filtreremmo attraverso le teorie di De Kerkhoove: in altre parole vedremmo come la protesi, la contaminazione, l’ibridazione ne modificano lo statuto rendendolo altro. Continuando a restare nella metafora, Alfonso Amendola nel suo libro fa “biologia” del teatro evidenziandone i processi d’evoluzione.
L’autore ripercorre la storia della contaminazione e dell’ibridazione delle arti, dei linguaggi, delle forme espressive del XX secolo, imperniando il discorso sul cortocircuito cinema-teatro, per poi inglobare, per segmentazioni e sequenze, le altre arti, fino all’unico inevitabile approdo, sotto l’egida della tecnologia: la sperimentazione video. Non vi sono intenti antropologici nell’investigazione dell’autore, ma la semplice volontà di mettere ordine nelle vicende storico-formali che hanno accompagnato la trasformazione del dispositivo teatrale.
Chiara la posizione di Amendola, che vede nell’estetica del video la naturale prosecuzione della scena, la filiazione diretta dell’incontro del teatro con media più recenti quali possono essere il cinema, appunto, e la televisione, ma anche il computer e altro ancora: «LA dimensione di un digitale si espande sempre più abbandonando fortemente la specificità del teatro, ma in qualche modo anche quelle strettamente cinematografiche per dirigersi verso quei “territori audiovisivi” che sanno dialogare con la pubblicità, la computer grafica, la videoperformance ed in generale con il formato breve della contemporaneità» (pp. 219-220). Su questo binario l’autore chiede che si continui ad investigare, quasi un appello ai critici e agli studiosi affinché si considerino le nuove forme artistiche alla stregua di quelle canonizzate. Il frammento si pone come sequenza minima del libro, tassello di composizione, cellula di inizio per dar vita alle interferenze, agli incroci tra le varie tecniche espressive, dal momento che, come si legge in una citazione nel libro di Omar Calabrese «l’estetica del frammento [...] si manifesta soprattutto nella ormai comunissima pratica di produrre oggetti-contenitore, i quali al loro interno non presentano più prodotti finiti, ma soprattutto frammenti di altre opere» (p. 14).
L’architettura stessa del libro si regge su un’impalcatura non convenzionale, ma centrifuga e priva di gravità, soggetta a scosse, sussulti, accelerazioni, improvvise frenate e inattesi ritorni. Infatti si può gustare il libro anche leggendo i vari capitoli o paragrafi come dei percorsi compiuti autonomi. Lo sono ad esempio le “anomalie” del terzo capitolo del libro, dedicato a Orson Wells, Fassbinder, Beckett (quest’ultimo indagato come un caso di grande coscienza delle potenzialità delle nuove tecnologie e del loro potere ibridante: un punto di riferimento per le successive neoavanguardie e i loro percorsi orientati verso le sperimentazioni teatrali e, per esteso, gli happening e le arti performative), quali casi di passaggi intermediali atipici ed esemplari.
Il percorso di Amendola prende le mosse da Antonin Artaud, al quale è dedicato l’intero primo capitolo, per il suo proteiforme talento, per gli slittamenti cinema-teatro (come dimenticare la sua interpretazione ne La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer?), per la maturità che lo ha portato ad agire in teatro secondo strategie tese alla liberazione della scena dal fardello letterario e dalle fantomatiche immagini cinematografiche: scena come presenza del corpo, teatro come rituale in grado di emancipare l’uomo dalle prigioni borghesi, «come mezzo per riordinare l’esistenza umana» (p. 36).
Successivamente si indagano le possibilità sinestetiche insite nelle arti performative, la musica e gli happening con Cage, la strada americana con l’off broadway (il Living, Schechner), per poi concentrarsi sull’Italia dei “film teatrali” a partire dagli anni ’60 con De Berardinis, l’immancabile Carmelo Bene, fino alle contaminazioni de La Gaia Scienza e Corsetti con l’apporto de video nella drammaturgia, I magazzini criminali e infine la scena napoletana con Falso movimento e il suo teatro multimediale...
Un percorso articolato e molto dettagliato che fa onore all’autore, con a supporto una vasta bibliografia. Il taglio sociologico non nasconde l’influenza di alcune opere capitali di Abruzzese, mentre la priorità che viene assegnata all’evoluzione delle tecniche e tecnologie muove dalle intuizioni di Mario Costa. Un libro che fa della trasversalità e interdisciplinarità il suo credo.
4 commenti a questo articolo
> L’evoluzione del teatro.
2006-10-03 11:13:06|di vocativo
Grazie, ragazzi! La bibliografia presente nel libro di Amendola è vasta e particolareggiata: da lì avrete un ottimo punto di partenza per approfondire specifici percorsi. Da segnalare che Alfonso è un esperto di estetiche video e sta adoperandosi per una mappatura dei videomaker campani e dei dintorni.
> L’evoluzione del teatro.
2006-10-03 10:09:48|di Christian
Molto interessante, grazie della ripubblicazione della nota Luigi (via Erminia). Lo ordinerò immediatamente!
> L’evoluzione del teatro.
2006-10-02 22:42:41|
Che bell’articolo, Luigi!
Cavolo!
Sono per la contaminazione totale di tutte le arti. Con l’aiuto del talento, naturalmente. Teatro-cinema, ma anche poesia-cinema-musica-teatro. Una bella agitata al frullatore, evvia!
Gianfry
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> L’evoluzione del teatro.
2006-10-06 11:54:43|di luca paci
bel pezzo luigi. lucido e compatto.
luca