Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Nanni Balestrini ribadisce, con la sua Caosmogonia (Mondadori, 2010), che la poesia non è innocente: quando il poeta compie una scelta sul linguaggio rende palese il proprio modo di intendere il mondo. D’altra parte, Balestrini non fa che confermare la caratterizzazione immediatamente politica della disposizione dei segni. Ma l’operazione di Balestrini va oltre, spingendosi fino a rimettere in gioco la prospettiva tipica dell’arte d’avanguardia, dove il momento estetico e quello politico si compenetrano uno nell’altro. L’ultima parte della raccolta, infatti, significativamente intitolata Istruzioni preliminari, esplicita il programma di una scrittura materialista e, allo stesso tempo, la sua coincidenza con «una prospettiva rivoluzionaria» che trascende l’opera. È evidente che l’ambito teorico al quale si riferisce Balestrini è il marxismo. Per lui la «disperazione mortuaria» che isola il poeta dentro la sua stessa produzione non ha senso: è solo un modo di mettere i sigilli alla «violenza che stravolge la quotidianità». Oggi è tempo di riprendere a praticare una scrittura consapevole della sua relazione con la «realtà caotica ostile immensa»; è tempo di riprendere in mano il sogno di una cosa.
Giustamente Balestrini si pone il problema di quale sia il modo migliore di mettere in tensione la struttura poetica con la realtà del dominio; il problema, cioè, di come non subordinare la poesia alle norme alienate e standardizzate del linguaggio comune. Le sue risposte non sono nuove, anzi perseguono con coerenza quella violazione del modello lineare con cui, da sempre, Balestrini «agisce sulle strutture del linguaggio fino a provocare una nuova emergenza del senso» (Fausto Curi, Metodo Storia Strutture, Paravia 1971). Si tratta, ancora una volta, di rompere con ciò che porta consenso allo stato delle cose, rifiutandone le modalità discorsive che ne permettono la riproduzione. Il primo passo è la dissoluzione dei legami formali: tendere a una «forma liberata dalla palude delle sintassi». Vale a dire che ciò che è proprio del linguaggio poetico è lo scarto irriducibile tra la comunicazione ordinaria, che disloca le sue parti per alimentare ciò che la rende falsa e violenta, e la negazione dell’armonia. Esso diventa così un gesto di contrarietà: «rendere partecipe il lettore azzerando il linguaggio / contro l’abuso la convenzione lo svuotamento di senso».
La poesia, dunque, per Balestrini è una sorta di caos organizzato. Il poeta non coagula le parti, dando compattezza a ciò che nasce e si presenta nella sua intima caoticità: il poeta, al contrario, «sfa per dire». E insomma la poesia si pone al di là della pretesa poliziesca di mettere ordine; mantiene, programmaticamente, l’omologia tra il caos del reale e la struttura poetica: «piccoli pezzi senza» (ma anche «impazziti coriandoli» e «instabili figure»). La sintassi perde coerenza, si fa energia primordiale e ricrea – scientificamente, verrebbe da dire – il caos alogico del mondo. L’immagine è «creata con segni irrazionali» e la connessione tra le diverse immagini sfugge a un’organizzazione gerarchica dei materiali: «registrazioni distorte / scempio dell’immagine / il percorso di un acrobata su una fune tesa».
Ora, pur ribadendo che la poesia non è un sistema di significati, Balestrini resta fedele all’impulso di «catturare la realtà». Come lo fa? Scegliendo di «spezzare l’articolazione». Non a caso il primo componimento è dedicato a Francis Bacon, fautore di un’arte anti-rappresentativa. Per «ricreare la violenza della realtà» non serve «limitarsi a una semplice illustrazione»: la struttura poetica – «altamente artificiale / eppure molto più reale» – deve essere fatta esplodere affinché si rompa con la consonanza consolatoria della letteratura. Ripensare «il realismo», allora, che è una parte fondamentale del programma di scrittura materialistica, equivale a fondare una scrittura diversa da quella praticata oggi, dove tutto scorre ben levigato e lineare. Bisogna imparare, sembra dirci Balestrini con questa sua nuova opera poetica, a praticare una scrittura poco incline alla prevedibilità.
Poiché, nell’opera, il reale è problematizzato a partire dal linguaggio, il realismo da reinventare presuppone non più il concetto canonico del riflesso o del ricalco del reale, quanto piuttosto la consapevolezza della propria presenza nella realtà della storia. E presuppone – immaginiamo – il rifiuto di una scrittura che si pieghi alla “cronaca”; un realismo, quindi, poco incline all’interventismo poetico nell’immediato o alla denuncia in versi. Alla lettura di questa raccolta, pare infatti che Balestrini confermi la necessità, per la scrittura materialista, di fare deragliare il senso, costringendolo ad enuclearsi tra la chiarità dei costrutti e le défaillances: al di là di ogni pretesa autonomia e di ogni linearità consolante. Un realismo che mostra, raccontando, l’impossibilità di un racconto preciso: «confuso incoerente volutamente bislacco».
Proprio nella difficoltà del linguaggio di fare compiutamente proprio il reale risiede la possibilità di azione visionaria della poesia, visto che essa può talvolta giungere a suggerire risvolti nuovi o inattesi nel «dire» la verità del tempo. D’altra parte, l’infondatezza è la condizione stessa del mondo e, conseguentemente, delle costruzioni linguistiche che vi si approcciano. «La nostra urgenza di ordine – scrive Balestrini – si annulla / in un reticolato di possibilità infinite». Il realismo mimetico è davvero impossibile. Si possono solo fare ipotesi, ossia sperimentare «un continuo flusso di probabilità»: «tutto si ramifica si scompone si mescola / proviamo ogni volta con parole diverse / nessuna ricerca di risposte assolute / poiché ogni sviluppo è segnato dalla discontinuità».
Direi che è proprio qui, in questo realismo da ripensare (e in realtà ripensato nell’atto stesso dell’opera), che si può scorgere la dipendenza reciproca tra le dimensioni dell’esterno (la realtà) e dell’interno (la poesia in se stessa) come la vera essenza della scrittura poetica. È vuoto estetismo stare solo sui significanti, ed è idiota pensare alla scrittura come una messa in forma di significati. La migliore letteratura, in fondo, nelle sue mille e più declinazioni, ha sempre ceduto l’iniziativa alle parole, facendole sgorgare al di là della mera volontà di rappresentare l’esterno, senza però mai dimenticarlo, anzi decisamente ponendosi in chiave critico-dubitativa rispetto al guasto del mondo. In questa Caosmogonia, dove appunto Balestrini forza la lingua oltre le convenzioni, e in particolare oltre la linearità e la leggibilità immediata, la poesia non si fa distacco o, peggio, insensibilità rispetto allo stato delle cose; si fa non innocente, come gesto dissonante.
LA "CAOSMOGONIA" DI NANNI BALESTRINI
2010-04-05 12:43:37|di maria (v)
nevio grazie mille.
tra l’altro- coincidenza- anch’io ho postato quest’ultima opera di Balestrini, anche se non ancora visibile, sul nuovo sito di abs.
Superfluo dire quanto sia importante per me il suo magistero, quanto profondamente politiche e militanti non solo le ipotesi di lavoro, teorie e tecniche ma anche nelle verifiche, gli esiti.
Per me è Balestrini è uno dei più grandi in assoluto, di tutti i tempi e latitudini.
Questa raccolta l’ennesima conferma.