Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce

Redatta da:

Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.

pubblicato martedì 19 novembre 2013
Blare Out presenta: Andata e Ritorno Festival Invernale di Musica digitale e Poesia orale Galleria A plus A Centro Espositivo Sloveno (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Siamo a maggio. È primavera, la stagione del risveglio. Un perfetto scrittore progressista del XXI secolo lancia le sue sfide. La prima è che la (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Io Boris l’ho conosciuto di sfuggita, giusto il tempo di un caffè, ad una Lucca Comics & Games di qualche anno fa. Non che non lo conoscessi (...)
 
Home page > e-Zine > LA POESIA È INGANNEVOLE

LA POESIA È INGANNEVOLE

di Mary Barbara Tolusso

Articolo postato domenica 6 giugno 2010

LA POESIA È INGANNEVOLE


Il pensiero dello spirito comune
termina in silenzio nell’anima del poeta

Friedrich Hölderlin


La poesia è ingannevole.
Ci dà infatti l’illusione di avere colto, fermato, catturato, rubato qualcosa di definitivo, magari per alcuni istanti; ma la sua grandezza sta, anche e a pari ragione, proprio nel disilluderci un attimo dopo. La realtà non è data una volta per tutte, molto spesso non è data neppure una volta per una. Vengo al dunque. Credo che prima di interrogarsi sulla poesia, intesa quale personale poetica, sia necessario riformulare i termini in cui si dà poesia: che cosa è poesia per chi la fa, prima ancora che per gli altri, anche se questo riferimento al luogo biografico della sua provenienza potrebbe suonare pretenzioso. Permettetemi quindi di abusare dell’io e di rischiare un po’ di ipertrofia egoica, che tra l’altro è una dimensione cui non mancano risvolti lirici, tanto più se pensiamo proprio ai nostri tempi moderni, per rubare un titolo a Dickinson; io dunque, oggi, mi aspetto dalla poesia una ingente, molto ingente quantità di io. Allora riformuliamo la domanda: si può davvero parlare di un ruolo, nel senso di un unico ruolo, per chi fa poesia? Può davvero il poeta, al di là della sua scrittura, darsi una identità che lo faccia essere tutt’uno con quella scrittura? La poesia, notoriamente, è della dimensione del simbolico. Le possibilità del simbolico sono stupefacenti. Quello che, credo, ogni poeta tenta di fare è nominare le cose, inventarsi un nuovo rapporto, un rapporto che le rinnovi, che dia la possibilità di appropriarsene, di appropriarci di cose e di eventi. E tuttavia restando inevitabilmente consapevoli che tutto questo, se pure accade, rimane un mistero, rimane sempre qualcosa il cui accadere resta inafferrabile. Forse anche per questo, pur volendo afferrare molto, tutto magari, quello che si riesce a trattenere è sempre molto poco, nonostante questa illusione di libertà e di onnipotenza, come l’aveva chiamata Luzi. E la consapevolezza dei limiti dell’esperienza – umana ma in questo caso anche poetica – non sono in grado di tranquillizzare o rasserenare il poeta, che difficilmente si rassegna a questo stato di inadeguatezza. È allora inevitabile circoscrivere il campo, pronunciare poche parole, intensificare a dismisura il linguaggio. È il simbolismo (e la sua intrinseca e incolmabile differenza) di cui si nutre la poesia che trae ricchezza dalla limitazione stessa della pronuncia, dal fatto che nel pronunciare quelle poche parole “il poeta fa riferimento anche a una quantità di cose che ha taciuto” (Mario Luzi, Vero e verso, Garzanti, Milano, 2002). Ed è altrettanto inevitabile che il poeta, occupandosi di simboli, finisca egli stesso per diventare simbolico, diviso, incapace di identificare (e di identificarsi in) un preciso ruolo, uno solo; finisca insomma per dedicarsi piuttosto all’impossibile fatica di circoscrivere la mancanza, il desiderio, la discrepanza tra il particolare e il tutto, la perdita; o di circoscrivere addirittura il linguaggio, miraggio di una lacuna doppiamente incolmabile. Da qui, credo, l’imbarazzo nel sentirsi rivolgere domande che si ostinano a mettere in una sorta di connessione (ideo)logica la poesia con i suoi temi e le vicissitudini di chi la fa; come se la poesia dovesse sostenersi su uno scopo preciso ed esplicito, su un ruolo bene identificato, su una “economia” nella quale ogni scambio ha la possibilità di ricevere (o di appartenere a) un senso. Mi pare invece molto più adeguato, se proprio si vuole parlare della poesia, incominciare proprio dalla sua “inutilità”. Pensiamo un attimo a questa impasse e se c’è una qualche possibilità di uscita. Se la poesia rientrasse all’interno di una attività finalizzata a uno scopo, si ponesse un obiettivo, poniamo per esempio un obiettivo “popolare”, dovrebbe necessariamente confezionarsi in maniera tale da poter raggiungere quanta più gente possibile. Dovrebbe, insomma, necessariamente adeguarsi a certi canoni di comunicazione, né più né meno che le trasmissioni televisive, tipo “Amici” di Maria de Filippi, o peggio, o anche meglio. Abbiamo già assistito a numerosi casi di poesia che, una volta resasi popolare e adeguatasi a una contenitore televisivo, ha perduto completamente se stessa. È plausibile credere che possa darsi una poesia alla portata di tutti che però non si appiattisca su desideri massificati? Trovo invece che proprio l’esclusività della poesia – esclusività che si spiega con il fatto che la poesia si ritrova al tempo stesso esclusa dalla possibilità di afferrare il tutto e di colmarne la mancanza, e anche ad escludere la possibile chiusura, sutura, cancellazione di quella differenza che tuttavia la alimenta e che è il simbolo – e il suo ruolo fondamentalmente “inutile” possa sostenere la sua tensione, se vogliamo anche morale. Non è in tal caso il poeta che deve avere un ruolo, il poeta per essere tale non ha da arruolarsi. Quello che verosimilmente il poeta può fare è mettersi in ascolto del mondo, provando a starci dentro pur consapevole che il suo gesto poetico lo voterà, anche, alla esclusione. Chiedere un ruolo, che non sia questo, al poeta mi pare piuttosto fuori luogo. Identificarsi in un “ruolo” significherebbe avere la pretesa di dislocare la propria consapevolezza al di fuori del mondo, di estraniarsi nel “ruolo” che ci si dà per poi magari giudicare il mondo, senza però averlo ascoltato, visto, sentito, esperito. Cosa può fare il poeta? Non più che scrivere versi, semplicemente, il che è tutt’altro che semplice. Sostenere una armonia tra il particolare e il tutto non implica lo sviluppo di una identità, ma piuttosto la pratica continua di una differenza e di una lacerazione, e il ruolo che una qualsiasi persona in tal senso può assumere non c’entrerebbe nulla; anche perché sono alla fine i versi a parlare, mai la “persona”. Per questo, l’unico ruolo (o meglio: non ruolo) che riesco a concepire nel poeta è quello di vacante, di nostalgico della mancanza e dell’impossibile. Darsi altri scopi – impegno civile, sociale, religioso eccetera – è sicuramente cosa benemerita e rispettabilissima. Ma che questo possa avere la benché minima ambizione di tradursi in effetto poetico è, credo, un residuo ideologico che forse sarebbe bene incominciare ad abbandonare, senza rimpianti.

10 commenti a questo articolo

LA POESIA È INGANNEVOLE
2010-06-12 11:03:50|di Enrico De Lea

"Quello che, credo, ogni poeta tenta di fare è nominare le cose, inventarsi un nuovo rapporto, un rapporto che le rinnovi, che dia la possibilità di appropriarsene, di appropriarci di cose e di eventi" - credo che sia proprio questo il punto, il tentativo di/sperato di ri/nominare il mondo, di ri/crearlo, sapendone la fallibilità insita...


LA POESIA È INGANNEVOLE
2010-06-10 18:33:16|di else

sono d’accordo (col pezzo) (...). Credo però che la singolarità, l’individualità del poeta, specialmente nel caso in cui parli di proprie intime esperienze, possa essere superata dalla portata universale delle esperienze, e ciò avviene solo (per fortuna) con i grandi. Mi spiego: se uno scrive di cose note, archetipi, è più facile che il lettore si riconosca ma, secondo me, il grande poeta è quello che, pur parlando dei fatti suoi, dà una prospettiva universale. Mi viene in mente, a tal proposito, L. Meneghello che, pur non essendo poeta (ma quanti pezzi poetici ha scritto!) ed avendo costruito un romanzo (penso soprattutto a Libera nos) sulla propria intima vicenda, che più intima dell’infanzia non si può, è invece riuscito ad elevare questo piano strettamente personale ad uno collettivo. Per lui l’esperienza autobiografica ha costituito il sostrato, la materia dalla quale partire, lo dichiarava lui stesso. Ma, ugualmente, credo che quando l’esperienza personale riesce a risalire a qualcosa di universale, chiedersi se effettivamente l’autore ha vissuto davvero quello che racconta, che immortala oppure no non è importante, mi pare sia una questione che declina nel gossip letterario.


LA POESIA È INGANNEVOLE
2010-06-08 19:59:00|di marcello bellavia

oh cazzo :le arrivassero,rompesse qualcuno i coglioni di un apostrofo disapostrofato.


LA POESIA È INGANNEVOLE
2010-06-08 19:57:22|di marcello bellavia

comunque sia la tolusso le una gran bella gnocca,pardon Signora(non me ne voglia la scrittrice in questione che amo tantissimo,per l’appunto dico. e un poeta non puo esimersi dal dirlo.amenocchè non si è finocchi e allora le lucciole diventano pidocchi che mi stanno un po sui coglioni.

anzi spero che se qui citata interviene la prego di leggere
il suo blog.

mi piacerebbe davvero che le mie parole l’arrivassero anche se di riflesso d’onda a sfiorare.


LA POESIA È INGANNEVOLE
2010-06-08 13:29:28|di Made in Caina

Penso che un poeta lavori per la letteratura. Invece molti egolaliaci pretendono il contrario, che la letteratura debba lavorare per loro, che debba essere funzionale ai loro sfoghi, ai loro rancori, alla loro di-visione dal mondo. Insomma un medium e non un fine. Persino un calciatore gioca per il calcio e non per esprimere il suo ego particolare, per questo motivo il popolo continua a trovare nel calcio quella tecnica, quella pazienza, quella sapienza che le tecniche estetiche hanno perso da tempo. A volte il linguaggio del calcio è più "forbito" di quello di molta poesia. E’ proprio nel godere di tanta "inutilità", intesa come dissipazione non produttiva di energia fisica, che il popolo vede nel calcio la poesia.


LA POESIA È INGANNEVOLE
2010-06-07 19:04:47|di marcello bellavia

Ma quanto è bella sta ragazza? ucciso dai suoi occhi da tutto.


LA POESIA È INGANNEVOLE
2010-06-07 08:59:09|di gianni montieri

con mary b. abbiamo affrontato un paio di volte questo discorso, partendo anche da più indietro; da quelle terribili distinzioni che spesso si fanno "poesia al famminile" "poesia etica" "poesia civile". L’unica distinzione da fare, credo, sia fra poesia bella, alta e poesia brutta da poco.
Perciò sono d’accordo, il poeta sta in ascolto del mondo e in questo senso scrivendo (si spera) versi bellissimi può andare a toccare tutto e toccarci in tutto. Questo più che un ruolo è un dono.


LA POESIA È INGANNEVOLE
2010-06-06 20:39:45|di nicky

direi che è l’ingannevole a farsi poesia per tentare di accedere al disinganno.......se ci riesca...farsene carico non è del poeta....(o gioco solo, alla Pasolini tra crisi e poesia, coi termini.....?)


LA POESIA È INGANNEVOLE
2010-06-06 18:29:48|di nico sciummo

la poesia è lardo di porco e quelli che lisciano il pelo alla scrofa


LA POESIA È INGANNEVOLE
2010-06-06 13:16:57|di paolo

la poesia e’ fegato in testa di gallina e succinti vestiti di prostituta.


Commenta questo articolo


Un messaggio, un commento?
  • (Per creare dei paragrafi indipendenti, lasciare fra loro delle righe vuote.)

Chi sei? (opzionale)