Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

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LE PAROLE TRA GLI UOMINI, n. 13: ALBISOLA e METALLI

di Luca Baldoni

Articolo postato lunedì 11 aprile 2011

Numero_13: Giancarlo Albisola (1930) – Mario Sigfrido Metalli (1930)


Giancarlo Albisola nasce in provincia di Torino. Oppresso, anche nella vocazione letteraria, da un padre violento e omofobo, a venticinque anni viene ricoverato in un ospedale psichiatrico dove conosce Rafaele, il giovane al centro della prima fase della sua produzione poetica. I suoi testi vengono notati da Pasolini, che ne pubblica alcuni su Nuovi Argomenti e da Natalia Ginzburg, che fa apparire la plaquette Figli diversi all’interno del volume Einaudi Nuovi poeti italiani n°1 (1980). Seguirà il volume, in cui confluiscono anche i testi einaudiani, Poesie per un “diverso” e altre cose (1985). Le elegie di Albisola sull’esperienza in ospedale psichiatrico apparvero in un momento cruciale, dopo che la questione dei manicomi era stata a lungo al centro del dibattito pubblico; ancora colpiscono, insieme al personalissimo impasto linguistico, la narrazione non tanto del contesto ospedaliero, quanto della lenta distruzione della giovane personalità di Rafaele, privata per sempre della possibilità di amare ed essere amato.

Mario Sigfrido Metalli, romano, è stato a lungo regista d’opera, oltre che collaboratore de Il Popolo e Paese Sera e traduttore dal francese e dallo spagnolo. Amico di Pasolini e di Bellezza, ha curato l’antologia Una disperata vitalità. Poesia per l’altro amore (1989), un testo pioneristico che raccoglie testi omoerotici da D’Annunzio allo stesso Bellezza, e al quale sono debitore per aver inserito autori come Corazzini e De Libero, ai quali non sarei arrivato senza l’antologia di Metalli. Come poeta ha pubblicato Il desiderio e le pietre (1989, Premio Libero de Libero) e Il mondo delle solitudini (2001). I testi di Metalli, dall’andamento in genere denso e compatto, sono principalmente d’amore, anche se trovano un altro importante nucleo tematico nel ricordo, nella cura della memoria di amici estinti come Pasolini e Bellezza.

L.B.


__________________________________________________________


Giancarlo Albisola (1930)


Da Figli ribelli. Poesie per un “diverso” (1980)

da ELEGIA IN FOLLE (“INSULINA-BABY”)

I

Forse, Rafele, fra le mura bianche
della clinica (e chiamano clinica
VILLA DICIOTTO-UNO
(VILLA DICIOTTO-DUE) sta scritto sul portale
d’ingresso a lettere giganti – l’asilo
decoroso, l’apparenze, il dignitoso soggiorno,
forse Rafele, nel silenzio oscuro,
ai sereni ricordi, se ricordi
furono (ieri) di letizia mai,
di troppo gravi mali, intento, vai seguendo
il filo luminoso che discerne
l’”oggi” impietoso e lo “ieri” che punge
angoscioso e affatica la mente.

II

E se il ricordo addolcisce un istante
quando ancora ti porta il presente
d’amaro, pur distaccato nella malinconica
quieta isolata, le braccia che trascini, lunghissime
ali stanche arrovesciate al suolo,
curvo sulla spalliera della sedia, dondoli il braccio
sfiora il dito il filo d’erba umido
della pioggia di ieri – l’occhio sbarrato, esterrefatto, al vento
del tardo maggio, che i capelli biondi
ti scompiglia, se può chiamarsi maggio
questo maggio così fuori stagione
(pare un novembre; fastidiose mosche
ronzano intorno, appiccicate ai vetri,
sciamano al buio, gravi, a due per volta,
vibrando l’ali……………………………………………..
……………………………………………………. (Pausa)
Guardi nel vuoto: gli occhi, oh!, gli occhi,
meravigliosi ieri, oggi disfatti,
torbidi e liquefatti, trasparenti,
quasi diàfani, opachi, come opaco,
liquido il fondo opale(scente) giallo
di certe mie caramelle all’arquebuse: il dono
che ti feci d’una d’esse (t’ero, allora

- breve soggiorno il mio – compagno di clausura),
pel ricordo ti te che m’hai lasciato,
e serberò per me, intatto, a lungo;
presala colle labbra (la fame, la fame
rabbiosa che mette indosso lo shock insulinico),
presala colle labbra (quella fame),
quasi la divorasti in un istante:
digrignavano i denti, macinavi
la preda avido; lacrime quasi
parevano colare, mal trattenute,
da le pupille su le gote.
Ed ora (ancora)
guardi nel vuoto, annichilito, l’occhio
fattosi quasi limpido già, disfatto,
fanciullo appena più che adolescente,
oggi, oggi sei maggiorenne,
le labbra amare (e dolci nel ricordo),
le ciglia delicate, il volto pallido,
tinto quasi in continuo di rossore
(“Ma non potresti – chiedevi (arrossivi
di fuoco) – dir loro che parlino d’altro”),
il volto acerbo e delicato, l’oro
dei tuoi capelli; e le mani, le dita
affusolate di fanciulla, e tutto
tutto del corpo, se disteso al sole.

V

Ed ora il riso folle che non sai trattenere, folle
di quanto d’amaro racchiude nel candore appena offuscato,

di quanto “non hai” fatto, e ti punge (“quello”, oh!, “quello”), di quanto
non hai vissuto e vorresti vivere (e sai che non potrai più vivere);

ora il riso folle che ancora mi s’affaccia alla memoria,
che da allora mi s’affaccia alla memoria.

Ti ho riveduto così, così ti ho lasciato, nell’androne
della clinica, ovattata (felpata di silenzio), delle Suore.

Ho suonato il campanello, tre colpi; s’è affacciato
un infermiere, un “monatto”. Sulla soglia della clinica dove ho sostato
[un istante
ti ho detto: A rivederci; era un addio. Un buffo d’aria fredda sul volto,
[una ventata
(mi sono stretto al collo il bavero dell’impermeabile, e siamo a maggio
un buffo d’aria fredda, una ventata sul volto,
s’è portata via l’immagine del tuo viso sconvolto.

Maggio-Settembre 1961





Mario Sigfrido Metalli (1930)



da Il desiderio e le pietre (1989)



Se mai fosse possibile che il ricordo dell’altro
affievolisse nel tempo, e la sera giungesse
calma a riportare un sonno ristoratore
all’animo affranto, svuotato nella pena
struggente di qualcosa che s’è perduto,
se gli occhi che mi seguono ovunque
da una foto dimenticata a capo del letto
volutamente – smettessero per un istante
di guardarmi sorridenti ed un po’ ironici,
allora potrei forse, ma solo allora,
capire che averti incontrato, sia pure
per un breve istante, potrebbe essere stata
la mia salvezza.
Ed è proprio perché non ho capito quell’istante
pieno d’una magìa per me perduta
nel ricordo di cose ormai spente,
che ho potuto lasciare che te ne andassi
ad affrontare da solo le fauci del mondo.



MAURIZIO

Con un sorriso giudichi i pochi capelli grigi
che fanno capolino alle mie tempie, e parli
di Lou Reed credendo
forse di mettermi in imbarazzo.
Sono il dinosauro della tua vita.
Quand’ero a Londra, dici, e che vorresti
viaggiare l’America e imparare. Gli amici,
i tuoi, tacciono con ammirazione,
hai nominato Pirandello e Kafka
quasi draghi evocati da fiabe dimenticate,
e il festival di Castelporziano, hai visto
Burroughs ed Evtuscenko, e Dario conosci:
ma io sto guardando le tue braccia martoriate
da mille buchi
che t’hanno reso uguale a tanti come te
che la lusinga dell’acculturazione ha reclutato.
Solo questo hai scovato per sottrarti
allo squallore della periferia, ed il fantasma
di Pasolini, che cerco di scacciare
dal nostro gruppo,
ride della mia ingenuità.



Il mondo delle solitudini (2001)

SOPRAFFATTO DALLA MULTIPLA COPULA

Sopraffatto dalla multipla copula
torno da quell’inferno di membra
dove la tua maschia tenerezza
spegne la collera del fuoco,
liquefa il seme che ha nidificato
nel tuo ventre di delicato cristallo
che il soffio del vento potrebbe infrangere.
Le tue labbra implacabili rincorrono
attraverso la mia solitudine
aspre voluttà, sentiero di baci,
ricordi immemori dell’unica volta.
Siamo due larve che si cercano
con la difficoltà d’incontrarsi
su sentieri armati d’indifferenza.



IL GIORNO DEI MORTI
due novembre millenovecentosettantacinque

Cercavi la poesia in un corpo
fra tanti, non potevi
amarli tutti, ma tu
mendicavi l’angoscia quotidiana
nello squallido gesto d’amore.
Tu soltanto possessore del Sole,
sole di fiume, questo di Fiumicino,
che fa dell’odore del sangue una festa.
Dicesti che nulla è più terribile
della diversità gridata senza fine, esposta
ogni momento, non come Sandro
la cui diversità era splendida.
Gli uomini condannano gli uomini
in nome del nulla, e te
sei stato condannato
perché testimone dello sfacelo
del mondo.
Non sarà più com’hai sognato
un giorno per quei campi del Friuli
dove la meglio gioventù passava lieta.



TONY (inedito, 2005)

Improvviso esplose il temporale:
ci sorprese nel mezzo del sonno
e tu, quieto, ti girasti
nel letto dall’altra parte
col viso rivolto verso il muro.
Ti sentii borbottare nella tua lingua
ma nello stesso tempo
ricercavi il costante contatto
col mio corpo, come se repentina
sentissi la mancanza del calore
della mia carne
che brucia del desiderio di te.
Ed io, nel polveroso neropece
della notte, le mani contro la roccia
del tuo corpo, come antenne
attorno alle stalagmiti del silenzio,
premendo le mie labbra
nell’incavo della schiena:
un chinarsi sulle ombre degli abissi
senza rumore, senza schianto
nel cielo della tarda estate
indecifrabile, vidi la pace venire
come un volo dal torrente del tempo.

****


LE PAROLE TRA GLI UOMINI - L’omosessualità e la poesia italiana moderna e contemporanea
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