Absolute Poetry 2.0
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LE PAROLE TRA GLI UOMINI, n. 12: NALDINI

di Luca Baldoni

Articolo postato lunedì 28 marzo 2011

Numero_12: NICO NALDINI (1929)



Nico Naldini nasce a Casarsa in Friuli, ed esordisce come poeta con la raccolta in friulano Seris par un frut per le edizioni della “Academiuta di lenga fiulana” fondata dal cugino Pier Paolo Pasolini. Sarà in seguito autore di importanti biografie di personaggi culturali (omosessuali) ai quali è stato personalmente molto legato, tra cui si ricordano Vita di Giovanni Comisso (1985), Pasolini, una vita (1989) e De Pisis. Vita solitaria di un poeta-pittore (1990).
Benché alcuni testi omoerotici in dialetto siano già presenti nella produzione degli anni ’40 e ’50, mostrando un evidente influsso del Pasolini di La meglio gioventù, è con la pubblicazione di La curva di San Floreano (Einaudi, 1988, ma con testi risalenti sino al 1948) che è possibile farsi un’idea complessiva del trattamento del desiderio omosessuale nell’opera poetica di Naldini; i testi non sono numerosi, ma si notano in particolare alcune poesie in lingua di grande levità espressiva, spesso con uno sguardo rivolto indietro agli anni ’40 e ’50 e alle figure dominanti dell’ambiente culturale omosessuale italiano di quegli anni. Paradigmatica, anche in relazione agli interessi saggistici dell’autore, la poesia “Comisso, De Pisis, Sandro Penna”, in cui si traccia un’intima genealogia omoerotica cara all’autore.
L’ultima quindicina d’anni ha visto una fase di notevole fioritura poetica di Naldini – aperta da Meglio gli antichi castighi (1997) e proseguita con Piccolo romanzo magrebino (2002), I confini del paradiso (2006) e con l’antologia Una strisca lunga come la vita (2009) – caratterizzata da una molto maggiore, quando non esclusiva, insistenza sul tema omosessuale. Il fulcro di questa tarda estate è la raccolta Meglio gli antichi castighi, fondamentale sia per le scelte stilistiche che per la chiara opzione ideologica. Naldini mantiene la chiarezza della sua dizione, ma la piega ad esigenze narrative che portano a riflessioni storico-culturali e memoriali ad ampio raggio assenti, o appena abbozzate, nell’opera precedente. A questa poesia che parla, descrive, ricorda, si accompagna una posizione polemica verso il concetto contemporaneo di omosessualità, vissuto da Naldini come ghettizzante rispetto alla più “libera” sensualità dell’Italia degli anni ’50 e ’60.
Da qui l’emblematico titolo della raccolta, che si riallaccia alla difesa di un tipo di omosessualità pre-liberazione ancora assai presente nel panorama poetico italiano contemporaneo (vedi il post su Bona). Come per altri prima di lui (Pasolini, Bellezza), l’impossibilità di ritrovarsi nella “mutazione antropologica” italiana ha portato Naldini a trasportare altrove il suo universo erotico; tutta la sua ultima produzione è infatti consacrata a passioni magrebine.

L.B.



Da Seris par un frut (1948)



IL FRUT

I domandi na prejera al creatòur
vuei ch’a è Domenia
a ne ciampana a suna
e n’altra muàrt a sculurìs il paìs.

Il dì al si impallidìs
e palidamintri a lus l’aga dal nul.
In tai pras bagnàs
i servi na prejera
al creatòur.

Un frut al è pognet tal lavadòur
i lu vuardi
in tai vuj:
nissuna muàrt
a no oscura la lus di chei vuj.

I lu vuardi
e i mi pierdi
tal infinìt da la so beltàt.


IL FANCIULLO. Domando una preghiera al creatore/oggi che è Domenica/e suona una campana/ e un’altra morte scolorisce il paese.// Il giorno impallidisce/ e pallidamente riluce l’acqua delle nuvole./ Nei prati bagnati/ cerco una preghiera/ al creatore.// Un fanciullo è disteso sul lavatoio/ lo guardo/ negli occhi:/ nessuna morte/ non oscura la luce di quegli occhi.// Lo guardo/ e mi perdo/ nell’infinito/ della sua bellezza.



da Un vento smarrito e gentile (1958)



DEBÒTO SARÀ NOTE

Debòto sarà note
e un liogo scuro in cale.
Co le man nel mar dei to cavej
nel scogio fin del to fianco
mio Ondino pescaòr.


PRESTO SARÀ NOTTE. Presto sarà notte/ e un luogo scuro nella calle./Con le mani nel mare dei tuoi capelli,/ nello scoglio sottile dei tuoi fianchi,/ mio Ondino pescatore.



da La curva di San Floreano (1988)



COMISSO, DE PISIS, SANDRO PENNA

Comisso, de Pisis, Sandro Penna
tre Dei fastosi e cialtroni
che un bambino omosessuale adorò.
Credo alla cosa in sé
e il mondo che solo bellezza era
la sua bellezza selvaggia vi regalò.
Era strana la gioia di vivere
veniva la felicità dopo la noia
e di Bruno si diceva W Bruno
dentro la natura morta ancora fresca.
La gioia di quel mondo
ve la portaste via,
Dei onnivori e atroci!


***

E i giovani del Quaranta
e quelli del Cinquanta?
Lungo le rive del Piave
i tonfi furono uditi
di corpi come statue
precipitanti.

Un pomeriggio afoso
che atterrando argentei nuvoli
l’acqua specchiò
i muscoli inarcati e il cazzo.

Forse fu quello il giorno
che disparendo sulle rive
sognammo un loro amore solitario
o fu l’inganno della nebbia
che nel suo argenteo per sempre
li ricoperse.



da Meglio gli antichi castighi (1997)



L’AMICO DI LUCA, XXIII

Eppure accadeva che qualcuno
cominciasse a vagheggiare la propria immagine
con barba ben rasata e profumo di brillantina
non perché si fosse reclinato sulla fonte di Narciso
ma per esser stato colpito dall’ansia e dal sorriso
di un coetaneo arrivato in bicicletta
con un pacchetto di sigarette intero
per offrirne una e poi un’altra
in un tremante riso di adescamento.
Poi una lunga passeggiata verso i campi
e l’eros nell’intricata notte
delle siepi e degli arbusti
smarrito tornava nell’indistinto
e nel lezzo di caserma che persisteva
tra i fiotti fragranti di natura
di cuoi e di panni ammuffiti
tra muri trasudanti i fiati dei giovani soldati
morti mezzo secolo prima
c’erano un inizio e una fine così rapidi
che poi il giovane tornava fischiettando in caserma
tastando la foto della fidanzata nel portafoglio
perché il dogma era – occorre dirlo? –
che i ragazzi da marcare all’uscita di caserma
fossero e-te-ro-ses-suali,
dando a questa parola il significato che si vuole.



L’AMICO DI LUCA, XXV

E gli arrivi a Roma nel Cinquanta?
Già il suo nome rifulgeva
allo sportello ferroviario,
profumato dal pino marittimo
e dall’odore dei cavalli
che al traino di eleganti carrozzelle
fluttuavano dal Pincio al Lungotevere.
Ma con Pier Paolo, Roma
fu ben presto circoscritta
alle borgate più lontane
ai capolinea interminabili
dove c’era solo polvere e sconquasso
e poi altra polvere o fango indurito.
Eppure era eccitante
avere due modelli in mano
quello vero e quello della poesia.
Non era uno spasso seguirlo in quei meandri
anche se le gioie del sesso vi fioccavano
e insieme lo sconforto di calpestare
tanta immondizia e povertà
ma nei suoi attimi di felicità l’eros
apriva un libro grande quanto il Vangelo
per travasare in una buca
il gran mare della realtà



L’AMICO DI LUCA, XXVIII

Un pugno di mosche, ecco cos’è la vita,
un pugno di mosche.
Dopo sette lustri tornai a Berlino,
ma che polvere e che malinconia
su tutta l’Europa.
Di sera non uscivo
e mi rimboccavo da solo le coperte
anche per evitare lo spiffero dei ricordi.
Tossivo, un po’ per la vecchiaia
un po’ per delusione.
A parte la turba dei moribondi dello Zoobahn
non c’erano più ragazzi per strada o nei caffè,
qualcuno sfrecciava nella pista ciclabile
così in fretta da non poterlo guardare.
C’erano delle marchette uguali in tutto il mondo
come anche i froci legittimati
hanno ottenuto di starsene tra loro,
indisturbati, purché sempre tra loro,
fuori dal mondo che proprio non li vuole.
A Toronto c’è addirittura un quartiere per loro
che credono di aver trionfato sui filistei
e non sanno quale martirio stanno vivendo.
Meglio gli antichi castighi.



I RAGAZZI DEL PARCHEGGIO, XIII

Nel letto ancora caldo di Rijad
mi metto a dormire.
Dormirò e sognerò
anzitutto il calore di Rijad
l’impronta del suo corpo
le membra sparse
con l’antico desiderio
di estinguermi nella loro stretta.
Come non sapessi che le cose
sono andate in altro modo.
Rijad, consumato il desiderio,
ha messo le gambe in spalla
altro che morire tra le sue braccia.
Il passo che ha preso
era l’abbrivio di una lunga marcia
ed ora eccomi a sognare il deserto
di cui Rijad conserva intatto ogni colore.



da Piccolo romanzo magrebino (2002)



Come frutti che rabbrividiscono
sull’albero della vita
i ragazzi improvvisano a spogliarsi.
Un braccio si allunga
fuori dalla canottiera e
solo un guizzo è apparso.
Maglie e magliette si ammucchiano
nei colori di un’aiuola
con un po’ di afa muschiosa.
Le nike debitamente allontanate
sembrano la réclame, un clic
di migrazioni sotto il sole.
Ci vorrebbe una polverina…
No, non deodoriamoli i piedi dei ragazzi:
li graffierà la sabbia,
al ritmo delle onde
scivoleranno nei turbini del golfo
e un giorno scopriremo
disegnato dall’energia
che comanda il moto,
il dito medio sopravanzare l’alluce:
come nel David, come in Mirone!



da I confini del Paradiso (2006)



Non c’è burla meglio riuscita
di far sorgere Venere dalle acque
di una vecchia tinozza lente et bête.
E quanti dal canto mio
giovani Apolli ho dovuto rituffare
nella tinozza sperando
che non risorgessero.

Il giovinetto Aymen
tornando dalla foresta
portava tra le braccia
un nero volatile ancora vivo.
E io sognavo.
Karim tornava zoppicando
da una partita di pallavolo
e io sognavo.
Houssem mi portò
una lucciola ancora viva
e io sognavo le apparizioni
luminescenti della natura.
Non mi azzardo a dire
quello che oggi essi sono
anche perché in fondo a quel barile
dovrei trovare il resto dei miei miraggi.


****


LE PAROLE TRA GLI UOMINI - L’omosessualità e la poesia italiana moderna e contemporanea
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