Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce

Redatta da:

Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.

pubblicato martedì 19 novembre 2013
Blare Out presenta: Andata e Ritorno Festival Invernale di Musica digitale e Poesia orale Galleria A plus A Centro Espositivo Sloveno (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Siamo a maggio. È primavera, la stagione del risveglio. Un perfetto scrittore progressista del XXI secolo lancia le sue sfide. La prima è che la (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Io Boris l’ho conosciuto di sfuggita, giusto il tempo di un caffè, ad una Lucca Comics & Games di qualche anno fa. Non che non lo conoscessi (...)
 
Home page > e-Zine > LE PAROLE TRA GLI UOMINI, n.14: RAFF e PECORA

LE PAROLE TRA GLI UOMINI, n.14: RAFF e PECORA

di Luca Baldoni

Articolo postato martedì 17 maggio 2011

Numero_14: Agostino Raff (1930) – Elio Pecora (1936)



Agostino Raff, di origine veneta, opera dal 1968 a Roma come pittore, musicista e scenografo. Sue personali di pittura si sono svolte a Roma, Milano, Bonn, e ha collaborato con Radio 3 Rai con programmi di storia della musica italiana tra Ottocento e Novecento. Come poeta è autore di due raccolte, L’incerta gioia (con testi degli anni ’60 e ’70) e Narciso e specchio, entrambe apparse nel 1991. Soprattutto in L’incerta gioia centrale è la presenza di Roma, che come nel caso di Pasolini significa anche abbandono a una certa sensualità, al gusto per i ragazzi borgatari e alla “scoperta dell’amore plebeo”. Nella seconda raccolta il contesto intimo e personale sembra prevalere; si percepisce la lotta contro l’invecchiamento, e in particolare emerge il tema della ricerca di un giovane in cui eros e istinto paterno possano confluire.

Elio Pecora nasce in provincia di Salerno e dalla fine degli anni Sessanta vive a Roma. È autore di romanzi, raccolte poetiche, opere per il teatro e libri di favole, saggi letterari e antologie. Amico di Moravia, Morante, Wilcock, Bellezza e Penna, ha curato la biografia di quest’ultimo (Sandro Penna. Una biografia, 1984). L’omosessualità è tematizzata da Pecora sin dalle sue prime opere in prosa (La chiave di vetro, 1970 e I triambuli 1985, ma risalente agli anni ’70), e nella sua poesia ha un ruolo quantitativamente circoscritto ma assai rilevante. Prima in una serie di poesia apparse in Interludio (1987), e poi nella splendida sequenza Recinto d’amore (in Poesie 1975-1995, 1997), Penna si stacca dalla maggior parte del panoramo omoerotico italiano e dei suoi temi centrali (l’ossessione erotica, l’”amor plebeo”, un certo maledettismo o comunque marginalismo), per presentarci poesie d’amore che chiaramente parlano di relazioni durature tra due uomini. Uomini che vivono insieme, si amano, litigano, vorrebbero ammazzarsi, ma che lo fanno all’interno di un chiaro orizzonte di coppia che appare raro nella poesia italiana coeva e non solo: “Ti parlo, sei l’amico/ che comprende, accompagna.”

L.B.


Agostino Raff (1930)


Da L’incerta gioia (1991)



IMPROBABILE

Bello come una tempesta
quadrato sghembo dissociato
occhi come fulmini
neri sprofondati
corpo carico
di spigoli.
Senza molto capire
al collo una cinghia
una moneta bucata
ti dài in braccio alla vita.
Romanesco
puledro scontato appassionato
grave delicato
dammi il saluto
di Roma improbabile
ti cercai
defraudato.



SCOPERTA DELL’AMOR PLEBEO

Ti saprò qui dove è orizzonte il fischio d’un treno
i reggimenti lontani dei quartieri
schierati sui prati come organi
dove è respiro la voce delle acacie

lo starnuto d’un tuffo
il pulsare d’un ventre che tu scopri
unito alla terra di nuovo
l’uomo neonato, il grumo di passione.

Sarai sulle rive verdi d’un paradiso
dove gira il Tevere alle porte dei canneti
e l’acqua delle sponde
è verde e tace

Ti saprò qui nel viaggio d’un momento
dove sabbia privilegiata
piedi plebei segnano
caldi di età leggera

ali dalla terra all’acqua
in tonfi iridati. Qui il sole ritrovato
sposa nudo alla riva un grembo della terra
tra i veri generato e tu t’incendi

il tuo cranio incendi dell’attesa
del dare dell’avere nei cespugli
– la fame dei ventri raggrinziti
gli agguati di silenzio degli altri.

Arde dorato il rito
d’ogni giro di sole. Ardono
il fiume il dolce sangue.
Alle porte del tuo mondo rinverdita

agonia ti richiama la vita. E tu paghi di dolore
sei documento di pazzia. Vibrando covi
il miracolo d’un io nato ferito
per un partire che è profezia.



da Narciso e specchio (1991)



PAESAGGIO

Eros tende l’arco
– non è la prima volta
Priapo ridendo unge.
Nel suono profondo dei fiumi
schiene si inarcano.



RARUS HOSPES

Nome corto
occhiali d’ombra
viso
smunto per antichi contagi.

Se la camera
nudo lo avvera
– corpo solenne
primavera –

da nessuno
nell’ora che tace
hai un’altra, uguale
pace.



CRONACA DELLA FECONDAZIONE MAI AVVENUTA

Un uomo riparò in casa d’un altro uomo
sensibilmente giovane il primo
l’altro assetato di figliare con un arcangelo
i cuccioli della bellezza senza noia

ma il primo, sensibilmente giovane
nato da una donna e da un falco – lo ricordo bene –
andava erigendosi intorno un capolavoro
di sperma disperato e celeste, trina
che una Ziggurath non vincerebbe in profumo.
L’altro feriti gli occhi e sul volto
i segni della morte coltivata
a comando cucendosi le labbra le orecchie
a gugliate di sangue
non potendo figliare con l’arcangelo la bellezza
moriva allo zenit del suo progetto d’infinito.

Quando infine l’uomo sensibilmente giovane
si librò in volo sul suo oceano di perle
parve all’altro affacciato udirlo cantare
come non avrebbe saputo descrivere
e parvero le mura, bianche custodi della Fenice d’amore
sgretolarsi e sciogliersi nel lenzuolo dell’alba
niente più che un secco pianto gemmato
sul monologo di fango della strada.



Elio Pecora (1936)



da Interludio (1987)



Sei stato troppo a lungo la mia debolezza,
la mia incapacità di bastarmi,
la mia estraneità alla mia casa, al mio letto,
che per starvi bisognava vi stessi tu.
Ora le tue parole mi sembrano balbettii,
i tuoi passi strascichii insopportabili,
ansimi i tuoi respiri.
La casa, sterminata e triste
quando per poco eri assente,
si riduce a un buco se tu non ne parti.



***

Potrei dire di te, giusto l’amore,
che hai ludici occhi ombrosi
mani bambine d’indici ricurvi,
l’attenzione persino nei silenzi;

potrei dire dei tuoi passi leggeri,
di come t’atterriscono le rondini
che sfiorano, stridendo, la finestra,
di quando guardi sospirando il cielo;

nemmeno tacerei della tua voce
e ti chiamo a telefono per lei,
che m’attrae in un cavo di miele:

se tu non fossi quell’empio che sei
e mi concedi, come a un condannato,
il rancore e l’uscita.



da Recinto d’amore (1997)



L’immisurabile bene,
che avvicina due anime e le schiude
entro due corpi inquieti che si cercano,
entrambi ci stupisce
come un annientamento.
E mi chiami per nome
e per nome ti chiamo
forse perché il miracolo appartenga
a noi che siamo,
a noi che rimaniamo.



***

Hai sognato il tuo gatto che affogava.
È mattino sui monti, nella stanza
trapela un fresco sole, mi domandi:
(esiti prima, ti guardi le mani
lievi, sottili come foglia o vetro,
attendo un poco ansioso, ti sorrido)
“Ora, promettimi di essere eterno.”
La tua voce pretende una risposta.

Io dico: “È eterno questo che viviamo.”,
dico che t’aggrediscono fantasmi
dissennati nel mezzo della gioia.
Ma nelle mie parole v’è il morire
che ci spetta, la brevità del tempo
che ci fu dato in oscura misura,
v’è la passione che non sa durare
oltre il fievole battito del cuore;
v’è la sconfitta e, pure in questa, il bene
di restare nel sole del mattino,
di traversare strettamente insieme
l’ora della stagione ed il destino.



***

Quando penso che il tempo è così breve
e che a ciascuno il suo tempo è assegnato
e non ci sarà dato accompagnarci
fino alla soglia dell’ultima porta,

quando mi dico che nascesti l’anno
in cui m’accadde di uscire dal sonno
che lungamente m’aveva rinchiuso
e venni ad aspettarti qui fra tanti
e fra tanti cercai, molto sbagliando,
i tuoi occhi sicuri, i passi brevi:
lievi come appressandosi un gattino
annunciano che torni o che ti svegli,

quando parli o sorridi o taci o dormi
so che mi porti dentro il tuo viaggio
come il coccio di Delo o il quadrifoglio
che ti seguono ovunque e ti proteggono
fra i marosi del giorno in cui t’immergi.



LAUDA

Nel cavo della notte
la paura m’assale,
ogni varco svanisce,
ogni speranza è persa.
Ti cerco, sei la mano
che mi ferma, mi salva.

Dal balcone dell’alba
vedo alzarsi una luce,
si sciolgono dall’ombra
l’aria, l’erbe, gli uccelli.
Ti chiamo, nel tuo nome,
è la vita che torna.

Dai giorni del rumore,
dalla città confusa,
nel mio continuo andare
volgo a te la mia voce.
Ti parlo, sei l’amico
che comprende, accompagna.

****


LE PAROLE TRA GLI UOMINI - L’omosessualità e la poesia italiana moderna e contemporanea
n. 0
n. 1
n. 2
n. 3
n. 4
n. 5
n. 6
n. 7
n. 8
n. 9
n. 10
n. 11
n. 12
n. 13

Commenta questo articolo


Un messaggio, un commento?
  • (Per creare dei paragrafi indipendenti, lasciare fra loro delle righe vuote.)

Chi sei? (opzionale)