Absolute Poetry 2.0
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LE PAROLE TRA GLI UOMINI, n. 6: Santi / Wilcock / Patroni Griffi

di Luca Baldoni

Articolo postato martedì 19 ottobre 2010

Numero_6: SANTI / WILCOCK / PATRONI GRIFFI



Un trittico di autori molto variegato e anche geograficamente caratterizzato è l’argomento di oggi. Tre scrittori in modo diverso atipici rispetto alla cifra dominante di molta poesia gay italiana, in quanto rappresentanti di un’omosessualità liberata, che non porta stigma, e che può anche apparire sfacciata e trionfante.
PIERO SANTI (1912-1989), fiorentino, è uno di quegli autori del Novecento assai apprezzato in vita ma ora da riscoprire; stimato da grandi scrittori, tra cui Gadda e Fortini, la sua opera è purtroppo in gran parte caduta nel dimenticatoio (per una trattazione esaustiva dei testi in prosa rimando a GNERRE, pp. 189-212). Sottolinea Gnerre come Santi sia stato “tra i pochissimi scrittori della sua generazione ad aver vissuto e rappresentato l’omosessualità senza sensi di colpa. Una grande sincerità con se stesso oltre che con gli altri, senza finzioni o dissimulazioni, ha accompagnato tutta la sua vita (p. 189).” Sono tratti questi che ritroviamo nella circoscritta produzione poetica dell’autore, concentrata nei primi anni Ottanta. Si tratta di testi limpidi e vibranti, nei quali l’amore è diretto a compagni di vita e non a bellezze mercenarie, e in cui la sofferenza o lo smarrimento si inseriscono in un contesto di tempo che passa, di vecchiaia che avanza, di paure esistenziali mai sopite, senza mai dirigersi verso una rappresentazione dell’amore tra uomini come “diversità”.
Anche nel caso di RODOLFO WILCOCK (1919-1978) possiamo parlare di un autore tutto da riscoprire. Argentino di nascita, prima di stabilirsi a Roma nel 1958 aveva già pubblicato sei raccolte poetiche in spagnolo ed era noto come un promettente autore della cerchia di Borges. Scrittore multiforme e dai testi difficilmente catalogabili, ha avuto una seconda carriera letteraria in italiano quasi tutta pubblicata presso Adelphi. Anche nel suo caso possiamo parlare di una visione dell’omosessualità scevra di ogni senso di colpa, che trova splendida rappresentazione nei testi di Italienisches Liederbuch, forse il più gioioso, rutilante, ironico e solare canzoniere omoerotico di tutto il Novecento italiano. Viene quasi da dire che ci voleva uno “straniero” per un tale miracolo…
E terminiamo con un autore, GIUSEPPE PATRONI GRIFFI (1921-2005), la cui opera si distingue per una visione dell’omosessualità spesso sfacciata e colorita, soprattutto quando legata agli ambienti popolari di Napoli. Il fulcro dell’attività letteraria dell’autore napoletano si concentra nel teatro, di cui egli è stato uno dei massimi innovatori, soprattutto a livello di contenuti, tra gli anni Sessanta e Settanta. La sua opera lirica è limitata a un solo volume, da cui sono tratte le due poesie in dialetto qui presentate. È il primo caso di poesia gay in dialetto in cui ci imbattiamo; un fenomeno che, vedremo in seguito, per quanto molto minoritario in termini di quantità di testi, pure è presente con esiti non trascurabili in alcuni altri poeti (il friulano di Pasolini e Naldini, il romanesco di Consoli). Il pensiero di Patroni Griffi sull’amore tra uomini è riassunto nel monologo di “‘O Rre”, dove il boss del quartiere ammette senza la minima difficoltà la natura verace della sua attrazione per un ragazzo: “o ffacette ppecché mme piaceva/ mme piaceva isso, propr’isso.”
L.B.



Piero SANTI



da Diario con gli amici (1980)

a Sergio Miranda

Ancora una volta
ma no forse la prima volta
o forse l’ultima,
Sergio, l’amore è senza sesso,
io capisco il tuo nero tu capisci il mio,
il nero a volte è nerissimo
a volte scompare sembra morire finire
e poi rinasce improvviso
una notte, un mattino alle cinque.
Un satana ambiguo
ti addentra e ti brucia,
tu cedi
e rimani
un ragazzo senza infamia,
mi vuoi bene mi odii
sorridi ridi, gli occhi si fanno
duri-tedeschi-nazi
ma sei un ragazzo senza infamia,
il sesso è senza senso
il sole cala lento
estenua le luci sugli olivi di Firenze
e stanotte il parco sarà nero
anche lui come te senza infamia.


a Luca Graziani

Avrei ucciso l’ora serpe
da Matera a Metaponto
ma non sapevo
che il tempo splendente
di Classe e di Fosso Ghiaie
sarebbe sorto anche per lei.
In questo diciotto maggio
nascesti alla luce pallida
di una città covo
dei mie affetti della mia paura
della tua speranza celeste.

Ci sarà sempre un mattino,
Luca,
in cui nella pineta pianeta
decideremo
la corsa verso il mare,
il tuo Adriatico,
lo Ionio sonoro dei greci,
il mio Tirreno oscuro,
quando diverranno futili
Firenze esule e Ravenna remota.
E un giorno mi chiamerai
– non udirò –
dal mio esilio definitivo;
solo per te
tornerà il diciotto maggio
azzurro e odoroso
perché la smorfia dei muti
aggredirà
caparbia, il tuo amico ormai antico.


da Mi corazon – ohimé – no duerme (1981)


Non si vive né per noi né per gli altri,
è chiaro,
o oscurissimo,
il rapporto è sempre più difficile;
l’alba, il frassino, il ciliegio…
Cavalca un cavaliere apocalisse
sulla terra dove ormai si è perduto
scomparendo dentro l’angoscia
di quelli che si dissero figli di dio;
all’alba il frassino è sinistro
e vibrano le foglie minute del ciliegio
senza che tu, Luca, e io possiamo capire
angosciati dal perché.
La ragione non aiuta
né il dolore repentino
se le bocche si mordono a sangue
per un rapporto sempre più impossibile.
In questo stesso istante
mentre s’incendia il cielo dietro gli olivi
qualcuno muore a due passi da me
e la farfalla notturna tenta
gli ultimi voli
striata di nero,
va a bruciarsi al fuoco della luce
di quel lume che illumina…
Nella sfera schiacciata ai poli
i sopravvissuti, tu, io,
anelano vivere
e rispondono muti
alle grida dell’esistere.
Il rapporto è sempre più difficile
quando l’amico sogguarda incerto
e la mia astuzia serrata nella gola
non esce con le parole luce,
ambigua,
come il color della viola;
né dà aiuto il vento dell’est
che annebbia gli olivi
né il tepore giallo
del sole d’agosto
sulle pareti aride.
Se lo sbaraglio assassino
ha prostrato il fisico
e il non fisico,
non c’è sostegno possibile
ché lo cerchi proprio
in quel giovane che ti sta davanti
e non può parlarti.
Ma attenderò ancora un’ora che non conosco
gli sperduti a nord e a sud
e il tuo sguardo, Luca, di nuovo sorridente.
Intanto si accanisce
l’ansia dei sentimenti repressi,
il telefono non suona
non bussano alla porta
né chiama la voce di chi attendo,
conforto, lo sai, ingannevole
per cacciare l’altra attesa,
definitiva,
mentre sugli olivi bruciati dal vento
i fulmini si avventano
e i tuoni fiaccano
in questo pomeriggio di lunedì
dopo le feste d’agosto
il cuore micoren-coramina.
La paura mi sconvolge
fino al sonno nella poltrona rossa.


(…)

L’acido che l’uva e la pesca…
non è dato sapere…
l’acido che muove le tue labbra, Luca,
non so che porti con sé.
La fiamma?
o quel silenzio rosa
in mezzo ai tuoi estri ambigui.
Ma in un’ora fuoco
il vomito sangue dalla mia bocca
ti atterri
per l’orrore dell’attimo definitivo.
Stanotte il tuono ha rotto il cielo a oriente
ma la stanza è muta
all’orrore della talpa
entrata dal giardino.
Ormai siamo in un punto oggetto
perduto nei labirinti del no,
l’amore esiste solo
in un giro di tuoni e lampi
– e io e te
ci illudiamo ancora
dei mattini luminosi di verde
e delle luci amorose di aprile.



Rodolfo WILCOCK


da Italienisches Liederbuch (1974)


4. Davanti a te la folla si apre stupita

Davanti a te la folla si apre stupita,
cadono dalle case i secchi d’acqua
dei lavavetri sporti sui davanzali,
vasi, giornali, lenzuoli innamorati,
dall’Esquilino, da Piazza dei Cinquecento
scendono bianche colonne di novizie
estatiche con strisce con un verso di Kleist
“il capo suo è circonfuso di raggi”,
lunghe strisce di stoffa che si arrotolano
ai paraurti, ai vigili, ai turisti:
vedi come fai sorgere una religione
ogni volta che scendi per Via Cavour
e tutti si convertono alla bellezza,
cinque elicotteri ti seguono dall’alto,
la camera ti aspetta sul balcone
dei Borgia e il fonico sul marciapiede
con il suo coro pronto di laureati,
ma tu col passo di chi ha per padre un fiume
e per madre la luna indifferente
scendi senza badare agli ingorghi del traffico,
ai clacson che salutano il tuo arrivo
preannunciato da aromi di bergamotto
e già dai Fori ti sta venendo incontro
il Sindaco di Roma tutto in bianco
e chi altro ancora del Comune sa
chi meglio merita gli onori dell’Urbe,
Grazia della Città, Scettro della Repubblica,
che ora di fronte alla Protezione Animali
perfino svegli l’amore dei cani,
l’omaggio dei semafori e le rondini,
i sensi dei prelati e dei poeti,
te primavera ovunque e in ogni tempo.


17. Fatti vedere nella tua nudità

Fatti vedere nella tua nudità,
il mondo ha questo bisogno di bellezza
per diradare i pensieri cattivi
che sono sempre dei pensieri vestiti,
rendi visibile la sublimità
senza badare se desta scalpore:
non cadrà il firmamento quando cadranno
le tue mutande e la tua camicetta,
soltanto nei paesi freddi gli dèi
portavano questi indumenti. Poi,
in questo Olimpo da te scelto a dimora
con tutt’e nove i colli dell’Urbe ai piedi
verrà eretto un palazzo pieno di specchi
e in ogni specchio una tua immagine riflessa,
e lì terranno le cerimonie di Stato,
i congressi, gli esami di maturità,
alla presenza della verità nuda.


30. La sesta lettera comparve nel cielo

La sesta lettera comparve nel cielo,
era un annuncio, immagino, della Firestone
che torreggiava solo sul Campo Boario
con scritto: in questo segno vincerai,
ma in verde, perché il verde è il mio colore.
E adesso lo rivedo, anche di giorno,
benedico il Testaccio e i suoi dintorni
e soprattutto l’angolo di strada
dove davanti a un semaforo rosso
mi fu concesso di sperare il verde:
la sesta lettera comparve nel cielo
e in quel momento si fusero i secoli,
fuggì il tempo con tutti i suoi cadaveri,
guardai quel segno di trionfo e
mi innamorai di te: questa è la storia
della mia, diciamo, conversione.


32. Ma fu l’omaggio delle Vie Consolari

Ma fu l’omaggio delle Vie Consolari
a consacrarti diadema di Roma
definitivamente e ufficialmente:
fu segreto, fu male organizzato,
una via si perse, la Gabina,
e altre non arrivarono che alle Porte,
ma per chi mai in due millenni e mezzo
si erano mosse tante strade illustri?
C’erano la Salaria, la più antica,
la Nomentana, la Flaminia, la Emilia,
la Latina, l’Aurelia, la Laurentina
e la Portuense che arrivò per prima.
Dall’alto era imponente: tutte le strade
fastosamente accese convergevano
su di te che eri fuori per il caldo;
e tutt’intorno il Raccordo Anulare
scintillavano i fari e fanalini
verdi, gialli, arancione, bianchi e rossi,
e il Tevere trascinava fosforescenze
di grossi pesci morti sulle acque nere,
e l’Appia blu splendeva fino a Ciampino,
per privilegio antico di contado.
Ma alle Porte erano ingorghi monumentali,
da Via Veneto a Piazza Venezia tutto era un blocco,
la gente usciva dalle macchine piangendo
come fontane perché non ti trovava
né sapeva nemmeno dove cercarti,
e intanto in cielo scoppiavano i fuochi,
i razzi, le girandole, i petardi,
che illuminavano le Mura Aureliane
intorno a Roma di una luce da set,
e canti, e costruzioni gigantesche
a Caracalla con le iniziali tue
che a un tratto si innalzavano piano piano
spinte da un fuoco interiore accecante
e strepitando ardevano nel buio
sopra i pini marittimi, sopra la Fao,
sopra i lampioni della rete stradale,
sopra di te che stavi tornando a casa.



Giuseppe PATRONI GRIFFI


da Cammurriata (1989)


‘O Rre

(…)
Sì, sì, ho avuto una love story
con un ragazzo
e che mmale nce sta?
Nun ‘o saccio ch’aveva fatto
e manco ‘o bboglio assape’!
No, nun era uno ca chiagneva
o ch’avesse ‘a i’ a mmorte
(‘a pena ‘e morte no, nun ce sta cchiù
vui ‘o ssapite bbuono
si avite addimandato
d’ ‘a mettere n’ata vota)
rereva sempe stu guaglione
e steva mmiezo a nuie pe’ quacche fessaria.
Nun ‘o ffacette pe’ pena, io
nun ce steva bisogno,
né ‘o ffacette p’ ‘o cunsula’
pe’ lle tene’ cumpagnia o n’ata scusa ‘e chesta,
‘o ffacette ppecché mme piaceva
mme piaceva isso, propr’isso.
E cu isso facette chello
che n’aggio fatto co’ ‘a mugliera mia.

Na sera dint’ a na latrina
sott’ a na luce al neon
ca puzzava ‘e mmerda
s’era miso annuro ‘ammore mio.
“No,
tu vuo’ na femmena”, lle dicette, “tie’”.
Cercai d’ ‘o ffa’ ‘o meglio ca putevo…

E mmo?
E mmo, doppo n’assarto a Palazzo
concordato
‘a rinto e a’ fore, muorti e feriti,
so’ asciuto, e con smargiassa ria
proseguo
‘a vita assai difficle ‘e nu Rre.
Te penzo ‘e voote e non “distrattamente”…

……………………………………………………
Addo’ è fernuta l’ironia?


GLOSSARIO rereva: vedeva; annuro: nudo


‘O FEMMENELLO ‘NNAMMURATO

Spòntate ‘a vrachetta
che me ne fotte a mme
si si’ ‘o capo d’ ‘o racketto
nun te voglio fa’ niente
ce voglio mettere sulo ‘a man’ ‘a rinto
mmiez’ ‘o velluto morbido ca tieni…
e spuntatella, ja’!

Pecché fai ‘o ‘nzisto
pienze ‘e mme fa’ ‘mpressione?
Si ‘o bbuò assape’ i’ nun te crero proprio
ca si’ ‘o capo ‘e stu racketto
tu fai parte d’ ‘a manovalanza
o’ cchiù, puo’ essere nu sottopanza…
Ma po’ a me che me ne fotte.
Spòntate ‘a vrachetta
ja’, spuntatèlla
nun te voglio fa’ niente
voglio sulo senti’ ‘o calore
‘e chesta furnacella.

Ma quanto si’ antipatico
nun te smovere, sà,
nun te smovere,
Te ne ‘i ‘a i’? Che ‘i ‘a i’ a fa’?
Zumpa’ in aria nu palazzo?
Ah no, nu magazzino! ‘E che?
Ah, na lavandaria!
E capirai… è urgente?
Stanotte ha dda zumpa’?
Quanno nun ce sta ‘a gente?
Già, vuie lavorate in bianco
‘e mmane pulite
crimini senza spargimento di sangue!
Ma po’ a me che me ne fotte…
Spòntate ‘a vrachetta
mme piace ‘e t’ ‘a vere’ spunta’
nu’ ttieni ‘a lampo
a nu buttone ‘a vota
mette ‘e brividi aret’ ‘e rini, ja’!
Nun te voglio fa’ niente
te voglio alliscia’ pe’ nu mumento
stu visione, sta martora ca tieni…
Ma quanto si’ fetente,
si’ troppo malamente,
ma vuò abberè ca tieni
pe’ pili, pili ‘e jena?

Ma guarda si nun si’ nu farabutto
mmò che ce penzo,
pecché nu’ ppuorti ‘a lampo?
‘O ffai apposta
fai ‘o triato
cu sti buttuni,
cu sta vrachetta
tu fai ‘a scena,
nun sulo a mme
pure cu’ ll’ate…
t’avverto, i’ so’ ggelosa…
Quanto si’ capatosta
te ne vuo’ i’ pe’ fforza?
‘O fai zumpa’ dimane
stu magazzino ‘e panni spuorchi…
Spòntate ‘a vrachetta
che me ne fotte a mme
si si’ ‘o capo d’ ‘o racketto
nun te voglio fa’ niente
na mano, na carezza
è nu verrizzo…

E mmo, ch’he fatto, mò?
No, accussì nun me piace?
Te si’ acalato ‘o cazone
allargato ‘e ccosce
e te si’mmiso assettato…
No, accussì nun me piace.
Nun vulevo fa’ chesto
Vulevo ‘o ppoco ‘e puisia e basta!
Ma tu si’ matariale
nun capisci ‘e ffinezze.

Vattenne a ffa’… zumpa’ pe’ ll’aria
tutt’i magazzini nun prutetti!
Vattenne, va, capone d’ ‘o racketto!


GLOSSARIO spòntate: sbottònati; vrachetta: patta dei pantaloni; ‘nzisto: duro, cocciuto; verrizzo: capriccio.

****


LE PAROLE TRA GLI UOMINI - L’omosessualità e la poesia italiana moderna e contemporanea
n. 0
n. 1
n. 2
n. 3
n. 4
n. 5

3 commenti a questo articolo

LE PAROLE TRA GLI UOMINI, n. 6: Santi / Wilcock / Patroni Griffi
2010-10-22 14:45:08|di Luca Baldoni

Ringrazio Mariella per la sua personale testimonianza, in effetti a Firenze Santi è ancora ricordato da molte/i con grande affetto oltre che stima per la sua opera; è veramente un delitto che non sia meglio conosciuto, soprattutto tra i giovani. Oltre ad essere grande autore tout court, penso infatti che la sua visione dell’omosessualità non sia datata, e potrebbe perciò coinvolgere anche le generazioni più giovani. Ringrazio Mariella anche per avermi messo in contatto con Attilio Lolini - che sarà antologizzato in una delle prossime puntate - il quale conosceva bene Santi e me ne ha fatto avere le 2 raccolte poetiche ormai introvabili.


LE PAROLE TRA GLI UOMINI, n. 6: Santi / Wilcock / Patroni Griffi
2010-10-20 17:06:04|di Mariella Bettarini

Caro Luca, grazie di questo nuovo "trittico" di "parole tra gli uomini", di poeti e scrittori ed intellettuali e persone gay (e poeti e scrittori ed intellettuali "tout court").
Mi hanno particolarmente commosso il ricordo e i testi poetici di Piero Santi, che ho conosciuto benissimo e di cui mi "onoro" di essere stata amica, qua a Firenze. Conoscevo anche Sergio e, insomma, questa tua sesta "puntata" ha rinnovato ricordi e rimpianti notevoli, uno in particolare: ma come si fa a dimenticare uno scrittore come Piero Santi? "Ahi, serva Italia/ di dolore ostello...".
Non aggiungo altro: ho troppa amarezza ed indignazione.
Un grazie di cuore, caro Luca, un grande augurio e saluto dall’amica Mariella


LE PAROLE TRA GLI UOMINI, n. 6: Santi / Wilcock / Patroni Griffi
2010-10-19 17:11:27|di emmagiuli

bellissime,sto provando a scrivere raccontando fatti ed emozioni e spezzando il verso,perchè diventi musica e possa volatre via
preziose,queste poesie,ne farò buon uso
il dialetto ,per me,è una scoprta,ha molto musicalità ed è molto forte il messaggio insieme
io,purtroppo,non conosco lingue così efficaci e forse non ho mai vissuto suoni così intensi
a presto
emma


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