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LE PAROLE TRA GLI UOMINI, n. 7: Pasolini (parte I)

di Luca Baldoni

Articolo postato martedì 23 novembre 2010

Numero_7: PASOLINI parte I



Su Pasolini ci sarebbe troppo e tutto a dire, per questo cercherò di essere particolarmente sintetico. Il problema mi pare essere il seguente. Il personaggio (uso di proposito questa parola) è così noto, e la sua sessualità è stata una così grande parte di questa notorietà, che forse molti, troppi, pensano di sapere già cosa sia l’omosessualità di Pasolini e il suo rapporto con gli uomini prima di un’attenta verifica della sua opera. La vulgata più nota vede Pasolini amante dei corpi - ma non delle anime - robusti e violenti dei ragazzi delle borgate romane, alla consapevole ricerca di rapporti occasionali che mai devono costituirsi in relazione. Le circostanze della sua morte non hanno fatto altro che suggellare definitivamente queste caratteristiche, direi quasi questa tipologia di rapporto omosessuale. Pasoliniano appunto.
Alcuni studi recenti stanno tentando di incrinare questa immagine monolitica, mantenendosi aderenti ai testi più che al mito di Pasolini. Molta attenzione ha ad esempio attratto il periodo friulano. Francesco Gnerre (L’anomalia di Pier Paolo Pasolini, “Inverses”, n° 4, 2004), ha rintracciato in lettere, prose e poesie gli sforzi compiuti dal poeta nella direzione di un ipotetico coming out che ebbe poi un esito tragico nel processo per oscenità e la fuga dal Friuli. A conclusioni simili è giunto Derek Duncan (The Little Boys’ Room: Pasolini’s Approach to Homosexuality, in Duncan, Reading and Writing Italian Homosexuality, Ashgate, 2006), che paragona il periodo friulano allo stadio del closet, e differenzia tra i rapporti pasoliniani di questa fase e quelli successivi, quando la sua sessualità sarà diventata, suo malgrado, di dominio pubblico. La cacciata dall’Eden friulano fu un evento che segnò profondamente l’attitudine psico-sessuale del poeta, se è vero che nel periodo pre-romano prediligeva amicizie romantico-sessuali con ragazzi miti, affettuosi, angelicati, con i quali sembrava intentare un rapporto continuativo intriso anche di forti valenze pedagogiche.
Iniziamo quindi con pochi esempi della fase friulana (in dialetto e in lingua), per poi passare ad alcuni celebri testi delle raccolte romane, dove appare il Pasolini maturo, quello la cui immagine si stamperà nell’immaginazione collettiva del paese.
Alla prossima puntata rimando l’ultima fase della carriera poetica di Pasolini, un’altra, sorprendente faccia della sua personalità rivelata da testi inediti pubblicati solo negli ultimi anni.
L. B.


Pier Paolo PASOLINI (1922-1975)





da La meglio gioventù (1954)


IL DÌ DA LA ME MUÀRT


Ta na sitàt, Trièst o Udin,
ju par un viàl di tèjs,
di vierta, quan’ ch’a mùdin
il colòur li fuèjs,
i colorài muàrt
sot il soreli ch’al art
biondu e alt
e i sierarài li sèjs,
lassànlu lusi, il sèil.

Sot di un tèj clìpit di vert
i colarài tal neri
da la me muàrt ch’a dispièrt
i tèjs e il soreli.
I bièj zuvinùs
a coraràn ta chè lus
ch’i ài pena pierdùt,
svualànt fòur da li scuelis
cui ris tal sorneli.

Jo i sarài ‘ciamò zòvin
cu na blusa clara
e i dols ciavièj ch’a plòvin
tal pòlvar amàr.
Sarài ‘ciamò cialt
e un frut curìnt pal sfalt
clìpit dal viàl
mi pojarà na man
tal grin di crisàl.


IL GIORNO DELLA MIA MORTE. In una città, Trieste o Udine, per un viale di tigli, quando di primavera le foglie mutano colore, io cadrò morto sotto il sole che arde, biondo e alto, e chiuderò le ciglia lasciando il cielo al suo splendore.
Sotto un tiglio tiepido di verde, cadrò nel nero della mia morte che disperde i tigli e il sole. I bei giovinetti correranno in quella luce che ho appena perduto, volando fuori dalle scuole, coi ricci sulla fronte.
Io sarò ancora giovane, con una camicia chiara e coi dolci capelli che piovono sull’amara polvere. Sarò ancora caldo, e un fanciullo correndo per l’asfalto tiepido del viale, mi poserà una mano sul grembo di cristallo.



da L’usignolo della Chiesa cattolica (1958, versi del ’43-48)


da La passione


II

Cristo il tuo corpo
di giovinetta
è crocifisso
da due stranieri.
Sono due vivi
ragazzi e rosse
hanno le spalle,
l’occhio celeste.
Battono i chiodi
e il drappo trema
sopra il Tuo ventre…
Ah che ribrezzo
col caldo sangue
sporcarvi i corpi
color dell’alba!
Foste fanciulli,
e per uccidermi
ah quanti giorni
d’allegri giochi
e d’innocenze.


V

Cristo, ai tuoi poveri
figli dispersi
nell’infinito
cielo del vivere,
ecco, morendo
Tu lasci questa
finita Immagine.
Soave fanciullo,
corpo leggero,
ricci di luce…
è San Giovanni.
Perduti in nubi
d’indifferenza
in Sé ci chiama
e a Sé ci informa
questo Tuo Corpo.


SOLITUDINE


… Nondimeno ti parlo:
chissà che la maschile
tua distrazione tarli
l’Indiscreto, il Vile.

Ecco: la tela stinta
dei calzoni disegna
le tue forme intime
dove l’arcano regna.

Arrossisci? Mi scacci?
Pensati tredicenne,
in treno, con le mani
strette sul grembo tenero.

Pensati sotto il fiotto
della doccia, a Bologna,
col costume disciolto,
ebbro di vergogna.

………………………………..

Oh è inutile insistere
ormai ci si è intesi:
è abbastanza triste
il tuo volto riacceso.

Ma… hai forse ingannato
lo stesso Tentatore?
Ti vedo appassionato
DI BELLEZZA O D’AMORE?

Disprezzo e tenerezza
verso di te, Narciso,
covi nel carezzevole
odioso tuo viso.

Me ne vado: imprendibile
nel tuo esistere puro,
ingenuo, e conscio, vivi:
anche a me sei oscuro.
IMPROVVISO

Sento nelle mie orecchie
àtone di distanza
voci d’Indios che hanno
nitidissimi echi.

Tocco con la mia mano
la dura penna infissa
nei capelli corvini
d’un giovinetto indiano.



da La religione del mio tempo (1961)


Vanno verso le Terme di Caracalla
giovani amici, a cavalcioni
di Rumi o Ducati, con maschile
pudore e maschile impudicizia,
nelle pieghe calde dei calzoni
nascondendo indifferenti, o scoprendo,
il segreto delle loro erezioni…
Con la testa ondulata, il giovanile
colore dei maglioni, essi fendono
la notte, in un carosello
sconclusionato, invadono la notte,
splendidi padroni della notte…

Va verso le Terme di Caracalla,
eretto il busto, come sulle natìe
chine appenniniche, fra tratturi
che sanno di bestia secolare e pie
ceneri di berberi paesi – già impuro
sotto il gaglioffo basco impolverato,
e le mani in saccoccia – il pastore migrato
undicenne, e ora qui, malandrino e giulivo
nel romano riso, caldo ancora
di salvia rossa, di fico e d’ulivo…

Va verso le Terme di Caracalla,
il vecchio padre di famiglia, disoccupato,
che il feroce Frascati ha ridotto
a una bestia cretina, a un beato,
con nello chassì i ferrivecchi
del suo corpo scassato, a pezzi,
rantolanti: i panni, un sacco,
che contiene una schiena un po’ gobba,
due coscie certo piene di croste,
i calzonacci che gli svolazzano sotto
le saccoccie della giacca pese
di lordi cartocci. La faccia
ride: sotto le ganasce, gli ossi
masticano parole, scrocchiando:
parla da solo, poi si ferma,
e arrotola il vecchio mozzicone,
carcassa dove tutta la giovinezza,
resta, in fiore, come un focaraccio
dentro una còfana o un catino:
non muore chi non è mai nato.

Vanno verso le Terme di Caracalla.
……………………………………………………



da Poesia in forma di rosa (1964)


da LA REALTÀ

Poi… ah, nel sole è la mia sola lietezza…
quei corpi, coi calzoni dell’estate,
un po’ lisi nel grembo per la distratta carezza

di rozze mani impolverate… Le sudate
comitive di maschi adolescenti,
sui margini dei prati, sotto facciate

di case, nei crepuscoli cocenti…
L’orgasmo della città festiva,
la pace delle campagne rifiorenti…

E loro, con le loro faccie vivide
o nere d’ombra, come di cuccioli lupi,
in pigre scorribande, in lascive

ingenuità… Quelle nuche! Quei cupi
sguardi! Quel bisogno di sorridere,
ora per i loro discorsi, un poco stupidi,

d’innocenti, ora come per sfida
al resto del mondo che li accoglie:
FIGLI. Ah, quale Dio li guida

così certi, lungo le strade più spoglie,
ai Castelli, alle Spiagge, alle Porte
della città, nelle previste, antiche voglie

di chi sa già che giungerà alla morte
dopo essere veramente vissuto:
che la vita che ha in sorte

è quella giusta, e nulla avrà perduto.
Umili, certo. E quello che sarà
il loro modo vile, poi, d’aver compiuto

se stessi (il loro destino è la viltà),
è ancora un albeggiare quasi
su sconosciuti alberi, in cui ha

la natura soltanto gemme, in una stasi
di purezza suprema, di coraggio.
Oh, certo, essi sono invasi

ormai dal male che ricevono in retaggio
dai padri – mia coetanea, nera razza.
Ma in che cosa sperano? che raggio

di luce li colpisce, in quella faccia
dove l’attaccatura dei capelli
alla fronte, i ciuffi, le onde sono grazia

più che corporea?... Dolcemente ribelli,
e, insieme, contenti del futuro dei padri:
ecco che cosa li fa così belli!

Anche i torvi, anche i tristi, anche i ladri
hanno negli occhi la dolcezza
di chi sa, di chi ha capito: squadre

ordinate di fiori nel caos dell’esistenza.
In realtà, io, sono il ragazzo, loro
gli adulti. Io, che per l’eccesso della mia presenza,

non ho mai varcato il confine tra l’amore
per la vita e la vita…
Io, cupo d’amore, e, intorno, il coro

dei lieti, cui la realtà è amica.
Sono migliaia. Non posso amarne uno.
Ognuno ha la sua nuova, la sua antica

bellezza, ch’è di tutti: bruno
o biondo, lieve o pesante, è il mondo
che io amo in lui – ed accomuno,

in lui – visione d’amore infecondo
e purissimo – le generazioni,
il corpo, il sesso. Affondo

ogni volta – nelle dolci espansioni,
nei fiati di ginepro – nella storia,
che è sempre viva, in ogni

giorno, ogni millennio. Il mio amore
è solo per la donna: infante e madre.
Solo per essa, impegno tutto il cuore.

Per loro, per i miei coetanei, i figli, in squadre
meravigliose sparsi per pianure
e colli, per vicoli e piazzali, arde

in me solo la carne. Eppure, a volte,
mi sembra che nulla abbia la stupenda
purezza di questo sentimento.

(…)


****


LE PAROLE TRA GLI UOMINI - L’omosessualità e la poesia italiana moderna e contemporanea
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1 commenti a questo articolo

LE PAROLE TRA GLI UOMINI, n. 7: Pasolini (parte I)
2010-11-23 18:04:56|di corpo10

Splendida scelta antologica perché ci permette di riscoprire la complessità dell’autore. Purtroppo la premessa è molto vera, il luogo comune è duro a morire, ma bisogna avere il coraggio di leggere le opere invece che la biografia. Trovo che la vera bellezza di questi versi risieda nella capacità di P. di trovare la bellezza negli aspetti più nascosti del corpo: la nuca, l’attaccatura dei capelli...
Mi pare di ricordare che da qualche parte ha descritto il suo primissimo innamoramento omosex come il fascino nei confronti dell’incavatura di un tendine del ginocchio.
Ecco la poesia.


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