NAVI DI CARTA
L’immaginario navale nella poesia d’Occidente
Un’antologia a cura di Andrea Cortellessa
Non c’è poeta del Canone Occidentale che più di Dante abbia legato la propria fantasia alla metafora della navigazione. Metafora che, ha insegnato Ernst Robert Curtius in classiche pagine di Letteratura europea e Medio Evo latino, accompagna in realtà la poesia sin dalle sue più remote origini. L’atto dello scrivere, da Quintiliano a Virgilio, è assimilato a un navigare nel bianco mare della pagina: accingersi all’impresa, per il poeta, equivale a spiegare le vele mentre alla fine dell’opera le stesse vele vengono ammainate: la conclusione del poema, dunque, equivale a un approdo sospirato, mille volte prefigurato. […]
Come la progettazione e la costruzione delle abitazioni, anche quella delle imbarcazioni può riuscire, dunque, efficace metafora della scrittura. L’artificio verbale della poesia trova, nel meccanismo delle metafore e nel carrucolare incessante del ritmo, immagini icastiche se non rutilanti: il caposcuola del Barocco italiano, l’immaginifico Giambattista Marino, non a caso dedica alle Rime marittime tutta una sezione del suo ricchissimo canzoniere.
Mentre all’alba del moderno, nelle Odi navali nazionaliste e industrialiste, già futuristeggianti anzichenò, e poi nel misticismo corale della tragedia che proprio La Nave s’intitola, sarà Gabriele
d’Annunzio il principale cantore di questo immaginario. E qualche decennio prima l’“oceanico” poeta americano Walt Whitman, nelle sue elettriche e mareggianti Foglie d’erba, restituiva la più euforizzante immagine delle folle dei naviganti: non meno impressionanti ancorché colte nella ferialità del quotidiano trasbordo su ferryboat. […]
Perché prendere il mare significa, oggi come sempre, andare incontro a ciò che non conosciamo.
(dall’introduzione di Andrea Cortellessa)
In occasione del Centenario del Cantiere Navale di Monfalcone
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