Leire Bilbao è nata nel 1978 a Ondarroa (Paesi Baschi). E’ laureata in Diritto Economico. A quattordici anni ha iniziato a dedicarsi alla poesia orale (nella pratica del bertsolarismo). Nel 2006 ha pubblicato il suo primo libro di versi in lingua basca, Ezkatak (Squame) per la casa editrice Susa. Sue poesie sono state tradotte in inglese, tedesco, italiano, gallego, catalano e castigliano. Collabora con riviste, periodici, radio; partecipa a reading, conferenze e altre attività culturali. Alcune sue poesie sono state musicate e, nel 2008, ha ottenuto il Premio de la Música de España per la canzone in lingua basca Irene, interpretata dal cantautore Jabier Muguruza. Ha pubblicato tre libri di letteratura per bambini. Attualmente sta lavorando ad una nuova opera poetica.
Poxpoloa (fiammifero) / testo di Leire Bilbao, voce di Mertxe Ezeiza
Irene / testo di Leire Bilbao; canta Jabier Muguruza
Il tramonto pende dallo stenditoio / assieme alla roba bagnata. / Irene parla della sua vita / come di acqua passata. / La paura si è posata nelle sue pupille, / e deve legare i giorni con uno spago / che i piedi non le scappino via. // Mentre cambia l’abito al mattino, / mette al sicuro le pene. / Il caffé le si brucia fissando le strade stanche. / Nelle ore che cadono come grandine / il rancore non cede il suo posto. // A Irene non fa male il male altrui. / Torna a casa con le borse piene. / Un pacco di caffè e due mele. // Nei pomeriggi davanti alla tv / il suo respiro affannoso le dice / che non la consola più il dolore altrui, / che altra gente come lei / parla della propria vita / come di acqua passata.
*
Staccare la testa
Ci sono
pelli di donna
più vischiose dell’odore di squama
Ci sono
mani femminilli che vanno dritte allo stomaco
senza sapere come svuotare le viscere
C’è
sangue che si aggruma sui grembiuli
Ci sono
pesci che hanno lo sguardo del marito
Ci sono
branchie divelte dall’affanno
Ci sono
corpi col tremolio delle onde
C’è
chi va a letto con il mare
come con un amante infedele
Ci sono
donne che staccano la testa al pesce
come fosse la loro
*
Sanguino 1
«Sanguino», macchio lo specchio con le dita.
Sanguino ma non per questo mi sento più femmina.
Gli odori si riempiono di strade,
sotto le pietre qualcosa fuma.
Bruciano i tetti,
il cielo arrossisce passandogli accanto.
Gocciano dagli aghi secondi sanguinolenti,
le foglie cadono, pudiche, appena sfiorate.
Sanguina la terra che guida i miei passi,
questo flusso che non sta più nelle mie viscere
fugge dal ventre che lo ha generato.
E non so perchè dovrei negare
ciò che sono: una donna che sanguina.
*
Sanguino 2
Macchio di sangue le punte delle dita
e me le porto indecisa alla bocca.
Questo sangue che il mio corpo non vuole
non sa di amaro.
Mi fanno male i capezzoli
come se chiedessero labbra.
Ma non voglio le tue,
di nessuno le voglio,
li tengo solo per me.
Batte il mio corpo, chiede risposte,
metto una mano sul petto.
Mi chiedi perchè a volte capisco
una leonessa meglio che te.
Ora già sai quando mi battono i seni
perché non te li lascio toccare
perchè li tengo solo per me.
*
Involuzione
«Come posso conoscermi oggi
se ieri non mi conoscevo?»
Fernando Pessoa
Toc-toc sono io
quella che vuole rivoltarsi la pelle e ficcarsi nelle sue vene
Toc-toc apritevi vene
perché possa nuotare nel mio sangue
vedere voltati seni e polmoni
mettermi in bocca questo cuore ansimante di ciliegia
Toc-toc sono io
quella che vuole scuioarsi e impregnarsi di sé
quella che vuole addormentarsi rannichiata nell’utero
quella che vuole accarezzare le sue pareti interne
per guardarsi dai piedi alla testa
Toc-toc sono io
lasciami entrare in me
altro non voglio
che conoscermi
*
Utero
Non tutti gli uteri si svuotano di bambini
non si gonfiano solo di vita.
Il mio si svuota di sangue, quando tocca.
Vorrei tornare indietro,
gustarmi la vita,
partorire senza dividermi,
sentire un soffio caldo sorgere dal mio dentro.
Mi svuoto di sangue, quando voglio,
come un fiume in piena.
Metti la mano e senti
come sanguinano le pietre del mio ventre,
battono come la grandine,
gridano che sono ancora viva.
*
Non voglio
Non voglio una patria che mi sotterri
che mi metta in bocca quello che volevamo essere.
Non voglio un amore che mi stanchi
che mi si aggrappi al collo solo per vendetta.
Non voglio una madre che mi protegga
se non l’avrò al mio fianco quando il tempo se ne andrà.
Se non ho patria, né amore, né madre
dove mai potrò tornare?
(i testi sono tratti da Ezkatak; le traduzioni - fatte non dal basco ma dal castigliano - sono di Xenia Isabel Docio Altuna e mie)