Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce

Redatta da:

Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.

pubblicato martedì 19 novembre 2013
Blare Out presenta: Andata e Ritorno Festival Invernale di Musica digitale e Poesia orale Galleria A plus A Centro Espositivo Sloveno (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Siamo a maggio. È primavera, la stagione del risveglio. Un perfetto scrittore progressista del XXI secolo lancia le sue sfide. La prima è che la (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Io Boris l’ho conosciuto di sfuggita, giusto il tempo di un caffè, ad una Lucca Comics & Games di qualche anno fa. Non che non lo conoscessi (...)
 
Home page > e-Zine > La "Maria" di Aldo Nove secondo me

La "Maria" di Aldo Nove secondo me

(che non credo nella poesia)

Articolo postato lunedì 29 gennaio 2007
da Nevio Gambula

Non amo commentare un poema altrui. Se qui, con queste note, lo faccio, è perché il poema Maria di Aldo Nove, pubblicato parzialmente sul numero 212 di Poesia (Gennaio 2007), è destinato ad avere una risonanza che va ben oltre quello che esso effettivamente è. Cominciano a vedersi le prime avvisaglie. Ciò che mi ha mosso a farlo – e a farlo da un punto di vista totalmente soggettivo – è il fatto che trovo esagerata la sua esaltazione; al contrario, lo trovo un poema di basso profilo qualitativo. Non solo. Per me che sono cresciuto con una cultura atea e anticlericale, quel poema contiene tutte le peggiori ossessioni della religione. Invidio – lo ammetto – la sicurezza con cui l’autore esibisce questa «preghiera-invocazione». Io non sarei capace di dire le mie bestemmie con la stessa mancanza di dubbio. Invidio, ma allo stesso tempo mi insospettisce. Una sicurezza molto teatrale. Lungi da me, in ogni caso, giudicare la persona. La mia parzialità di giudizio riguarda le parti del poema pubblicate e il modo in cui è stato presentato (Cfr. Andrea Cortellessa, Lo scandalo dell’amore infinito, Daniele Piccini, Maria, o della necessità della poesia, in Poesia n. cit.).

***

Lo «stupore» e lo «scandalo» …
Quanto possono – le parole – essere lontane da ciò che designano? …
Ci si stupisce quando la chiarezza di un dettato cede il passo all’enigma, all’enigma che attrae senza minaccia. Le interrogazioni che pone inebriano. E disorientano, invitandoti a percorrere altre strade. L’incertezza prodotta dallo stupore non dà angoscia. Mi sono stupito, recentemente, alla lettura delle Opere di Giovanni Testori. La fede problematica, le ferite esibite con sincerità, quei lembi di carne che interrogano la divinità senza compiacimento, la crudezza del linguaggio: una bellezza così diversa da quella cui ero abituato, questo mi ha stupito. Certo, Testori resta aggrovigliato ad una concezione della vita fatta di penitenze, di peccati da espiare; troppo vincolato ad una idea di desiderio da reprimere, magari ansimando e sputando sangue per la consapevolezza della repressione, ma accettandola senza colpo ferire, mostrandosi dunque come persona sostanzialmente non libera. La scrittura di Testori trabocca di santità, e si fregia di una idea di amore che non è la mia, che non può essere mia. Ma c’è qualcosa che mi attrae; qualcosa di quella scrittura mi attira. Forse perché a tratti, proprio per come è disposta sulla pagina, sembra prendere le distanze dallo stesso autore, nel senso che riesce a non esaurirsi nelle sue concezioni, nella sua ideologia logora. Forse perché il suo esito è imprevedibile. Lo stupore, in questo caso, è un abbraccio sorprendente. E «fa semenza». …
Nessuno stupore leggendo Maria di Aldo Nove. Disgusto, forse. O almeno contrarietà per quella che mi sembra una regressione all’infanzia: dell’umanità e della poesia. Nessuna «adesione», dunque. Nessuna «emozione». …
E lo scandalo? …
Ci si scandalizza quando la nostra sensibilità viene turbata da un evento, quando un dettato spregiudicato ci spiazza. Lo scandalo sabota una normalità. Lo scandalo è offesa, in particolare offesa della concezione cattolica della vita (scandalo e peccato – e colpa – sono concetti paralleli). …
L’ultimo “cannibale” ha ormai passato la soglia, pronto a prostrarsi davanti all’altare, come ogni altro discepolo. Dov’è lo scandalo? …
Scandalizzarsi per l’ennesima conversione? O per l’ennesima confisca della razionalità che non ritiene Dio una ipotesi plausibile? Niente di più prevedibile, in questi che sono tempi di totale disarmo critico. Niente di più scontato. Chi si scandalizza dell’adesione di Aldo Nove al pensiero del sacro non è capace di confrontarsi con questi tempi, con questi tempi – questi nostri tempi di decadenza generalizzata – dove torna il “vizio” di sottomettere la ragione all’assolutismo religioso; e dove i modi della poesia tornano a privilegiare la parola incantata: senza tragedia, ignorando l’innovazione, si avanza a fari spenti inseguendo il fantasma di una poesia «delle origini», purificata dal male del finito, un luogo dove «Dio è presente»; torna la poesia come emanazione «dello spirito umano che è lo spirito di Dio». …
Nessuno scandalo, davvero. Contrarietà, appunto. Radicale contrarietà. …
Umana e razionale contrarietà. E politica – e poetica – perplessità. …
Può dare scandalo il «turbamento» e la «disperazione» che si rifugiano nel bagliore della Madonna? Scandalo? Fastidio, piuttosto. Non è infatti un atteggiamento consolante? E proprio perché consolante, quanto colpevole? Se il turbamento è per il reale barbarico – se è per – elevare un canto a Maria non è cercare un rifugio? Se la disperazione – il perpetuo terrore – è consapevolezza del degrado dell’avventura umana presente, che senso ha sprecare energie per composizioni che esplodono in obnubilazione? È marcio, il reale, lo sappiamo bene. Ma non sapevamo altrettanto bene, almeno sino a ieri, che la risposta non è in una gloria ultra-terrena né in quella «novella speranza»? Non avevamo già rifiutato – con la ragione, con la scienza, con la lotta, con l’utopia – il culto dell’eterno? Non avevamo già ucciso ogni idea di trascendente? E spento ogni fede diversa dal dubbio? Rifuggito ogni venerazione? Che bisogno c’è di questa nuova euforia mariana? …
Quello che ha forgiato Maria è un turbamento – e una disperazione – che non solleva ciò che lo rende tale, ma che lo conserva. Che lo conserva. …
Nello smarrimento – nell’inquietudine, nella paura del finito, nel disarmo del pensiero critico, nella resa d’ogni “speranza” laica – la poesia torna a coagularsi attorno a una visione del mondo che riduce l’essere umano a protesi del divino. E torna a farlo senza neanche avere la forza di bruciare di alterità. Ecco, torna l’ossequio deferente verso una verità che è impotenza della verità, verità che si respinge da se stessa, che si relega nella fede poliziesca. …
In molti lo applaudiranno, è certo. Chi lo applaudirà? …
Non capisco l’applauso di Andrea Cortellessa, che pure reputo uno dei critici più interessanti. A cui pongo una prima domanda: se anziché Maria il personaggio del poema fosse Lenin o, declinandolo al femminile, Rosa Luxemburg, e se per esaltarne la figura si ricorresse allo stesso tipo di metafore usate da Nove, diciamo alla stessa affermazione oltranzistica d’un sentimento oleografico, non avresti gridato alla pedagogia, al sermone rosso, alla morale d’accatto, alla didascalia pedante? Mi ha colpito, nello scritto di Cortellessa, l’assenza di giudizi di valore sulle esposizioni – teologiche, e di riflesso ideologiche e filosofiche – che il poema contiene. Posso, approssimandomi criticamente ad una poesia, evitare di prendere posizione rispetto all’universo di pensiero che richiama? …
Cortellessa parla di «concetti teologicamente ardui». Chiedo: sono anche neutri? …
Quale pensiero-mondo grava – come incubo, grava come trama tenebrosa – su quei concetti? Quanti sperperi contengono? Quante oppressioni? Quanti roghi? …
Qual è il valore – etico, politico, fisolofico – dei concetti racchiusi nella Maria di Nove? …
Compio una forzatura se metto in relazione questo poema con quella sorta di nuova crociata per la riaffermazione dell’egemonia cattolica condotta da Papa Benedetto XVI? Quanta contiguità c’è tra i «concetti» di Nove e la teologia retriva del Papa? Non fanno parte di un unico humus culturale? …
Certo, mi si dirà, la poesia non si risolve nel solo aspetto semantico: ciò che conta è il rito della poesia come poesia. Ma in Maria tutto l’artificio retorico – da composizione di aspirante prete al seminario, o da insegnante di catechismo – è teso a tracciare l’inno (evidente, evidente inno adeguato) all’iconografia ufficiale del Vaticano: la Madre che consola, la Madre che sostiene, la Madre Celeste Patetica, la Madre-chioccia, la Madre-terapia, la Madre-mammona. Una Super Woman Immacolata, il cui «sorriso» – addirittura! – «proibisce la morte» del vivente. …
Il poeta-sacerdote riesce a organizzare, per accumularsi di rime da prontuario («bella» / «stella»), una devota esagerazione, una scena mirabile della venerazione, quasi un singhiozzo auratico, del tutto incredibile per un essere umano che tenga in conto l’intelligenza. Ma incredibile anche per un credente fieramente dubbioso delle storielle per il popolino costruite ad arte dalla nomenclatura vaticana. E sì, perché «il nucleo più intimo e popolare della cristianità» di cui parla Cortellessa riferendosi al tema del poema di Nove è questo inganno ordito dalle gerarchie ecclesiastiche nei secoli dei secoli (triplo salto mortale di amen!) a scapito dei popoli. E infatti sono forti le assonanze tra quanto scrive Nove e le pagine che Giovanni Paolo II ha dedicato al culto di Maria. «La vittoria, quando verrà, verrà per mezzo di Maria», scrive Vojtyla … Aldo Nove scrive qualcosa di diverso? Totus tuus Maria ego sum … …
Diciamocelo chiaramente: s’ode, in questa Maria di Aldo Nove (s’ode, chiaramente e fiero) il segno oscuro del Dogma. E in particolare del Dogma della divina maternità di Maria («luce che s’irradia nell’incanto / del ventre tuo»). Senza stare a scomodare l’impossibilità del concepimento senza rapporto sessuale, non basterebbe ricordare quanto di negativo ha portato, in termini di morale sessuale repressiva, quella che Reich chiama «la negazione dell’abbraccio genitale»? …
È azzardato affermare che il poema di Nove è confermativo? …
Sì: il poeta conferma. …
Conferma la grande favola-trappola della Maternità Divina di Maria. …
La sacra menzogna della verginità di Maria. …
Il poema conferma. …
Non libera, conferma. …
Non si oppone al pensiero osceno (umanamente o-sceno, fuori dal possibile dell’umano), ma appunto con-firma: rende stabile ciò che già è. Economia profittevole dell’inganno reso eterno. Ecco: la devozione – nuova, appena cominciata, lieta e difficile come ogni inizio – si mostra come vana credulità. …
Una rappresentazione catartica, questa Maria. …
Versi divini, come una siringa per il tossico. …
Versi senza enigma. E dunque, proprio perché immediatamente traducibili in significato chiaro, versi senza quella ambiguità che da sempre caratterizza la migliore poesia. Versi senza fascino, senza sorpresa, senza fremito crudele, senza l’abisso delle carni lacerate. Versi senza “mistero”, insomma, ma colmi del Mistero della fede, che è entusiasticamente cantato come litania. Può una poesia riprodurre la banalità – che non è semplicità, ma fatale e chiara banalità – della preghiera? Può ripeterne i suoi piani sintattici e fonetici? Può, se vuole farsi come preghiera. …
Se vuole farsi accettare come preghiera della concordia e conciliatrice. …
Se vuole immolarsi al credo appena acquisito. …
Se vuole iniziarsi. …
I versi di questo poema ci dicono che solo l’amore infinito di Maria può consolare l’infermità umana. Nove lo scrive in maniera inequivocabile: «dell’amore che rimane / a consolare le vicende umane». E ci dicono che soltanto in Maria, in quanto colei che darà i natali a Cristo, è la salvezza («che la morte / in te è sconfitta»). E confermano anche – in barba a ogni scienza! – la credenza che vuole l’universo creato dalla Parola: «Regina tu della parola / che l’ha creato» … …
Maria, dunque, è la manifestazione di ciò che genera tutto, dell’ente sovrasensibile, e perciò inconoscibile, chiamato Dio. È in lei che lo Spirito si manifesta per primo e tramite lei si farà carne. La sua essenza è la nostra salvezza. Senza di lei, senza il suo concepimento privo di sperma, la salvezza non sarebbe neppure cominciata («Senza di te, non era vero / l’inizio»). Lei è «il senso» dell’universo, appunto; più propriamente il principio dell’unico senso possibile. La sua in-finitezza è la sua stessa perfezione e la nostra letizia. …
D’altra parte, se il poeta scrive «dorme, dentro di te, tutta la storia» … se scrive «Tu diventi / il nome nuovo che agita tra i venti / la verità che brucia i documenti / che celebrano il corso degli eventi» … se scrive che il male (raffigurato guarda un po’ – che ardita invenzione! – dal solito biblico «serpente») «ad ogni tuo respiro è cancellato» … ecco, se scrive queste e altre storielle rimate, io incredulo ne deduco che l’amore di Maria è l’unico antidoto al «potere» e alla «infinita guerra». È inutile dannarsi nella prassi oppositiva dentro la storia; affidiamoci alle sue benevole mani, tutto si chiarirà. È inutile ogni idea abominevole di rivoluzione, o anche solo di trasformazione di questa nostra società disumana basata sul denaro: sarà Maria, con il suo parto, a scacciare il serpente («in te noi tutti un’unica vivente / ascesa verso il cielo nei battelli / celesti delle tue preghiere»). È nella preghiera estasiata alla «madre di dio» che solo possono farsi i «destini» dell’umanità. …
Dunque il senso del poema è anche questa affermazione politica – eminemente politica – della teologia dominante, ossia di quella teologia “spiritualistica” che mette in primo piano «la liberazione dal peccato» e che decreta come «opera vana» occuparsi della vita al di fuori dell’obbedienza ai dogmi; quella stessa teologia che non ha esitato a condannare «gli alcuni» (i teologi della liberazione) che concepiscono l’impegno del credente come «liberazione dalle schiavitù di ordine terrestre e temporale» (Giovanni Paolo II, discorso in Argentina durante la dittatura dei generali, riportato dal Corriere della Sera del 3 aprile 1987). In fondo, se è in Maria che «la nuova sorte / del mondo si manifesta forte», se in lei «non è più dato inverno / né decadenza o forza né governo / che non sia amore», che senso ha perseguire quel camminare insieme (insieme, al di là di ogni divisione tra credenti e non credenti) affinché siano «rovesciati i potenti dai troni, innalzati gli umili, ricolmati di beni gli affamati e rimandati a mani vuote i ricchi» (Luca 1, 52-53)? L’immaginetta convenzionale della madre di Gesù tracciata da Nove fa emergere chiaramente un pensiero che offusca ogni ricerca terrena del regno della libertà, un pensiero simpateticamente coincidente con la teologia ufficiale vaticana. …
E allora la nuova alba – questo «profilo originario della forma poetica» (sic!) – ci confina nella decadenza. …
E nella decadenza resta la solitudine dell’uomo, la sua dissoluzione. E l’epoca dei porci, anch’essa resta. E gli apostoli del capitale restano, rinvigoriti da quel confermare l’alienazione. Ecco: resta la preistoria dell’umanità, ancora costretta a feticizzare se stessa nella religione. …
La religione così concepita è un ostacolo. Di fronte al “mistero” della vita – di fronte all’impossibilità di conoscere il finito – ci si affida alle credenze, cercando consolazione nella fede (tutto il Canto I della Maria di Nove è dimostrazione di questo atteggiamento). Si cercano risposte in un luogo da cui non possono arrivare risposte. Si inventano illusioni (Freud). Ecco: la religione è un’invenzione illusoria, un’invenzione che tutto schiaccia, stravolge, annienta, che disarticola l’umano con la potenza del Totem-Nulla (è l’oggetto sostitutivo che tiene incatenato l’esistere). Finché il mondo non fuggirà da questa «immondizia dello spirito» (Denis Diderot), non ci sarà “salvezza”. …
Restare ciò che si è: questo è il segreto della religione così intesa. …
Un orrendo strumento di conservazione. …
Servi, dobbiamo restare servi miserabili. Almeno sino alla putrefazione. E finalmente, dopo aver consumato il rito dell’omologazione alla Parola (alla sua ideologia), le luci si spegneranno. Nasconderanno le tracce dell’incantamento che segnala il sublimarsi della tragedia terrena, il degradarsi dell’esperienza a farsa mistica, il diffondersi furioso simile a lava dell’inganno, dell’insensato canto mariano. E altri ancora, profeti dell’incanto, proveranno a nascondere la storicità della conversione, la sua prevedibilità. Parleranno di poesia. …
Di una poesia che torna indietro, però. Che conclude con un gesto perentorio ogni ricerca. Che annichilisce ogni possibilità di fare cortocircuitare linguaggi e sensi comuni. Che nella frenesia del recupero di una forma anteriore chiude ogni dinamica “altra”. Che torna – che novità! – all’unità ammaliante di significato e significante braccando e divorando in un sol boccone lo sguardo distaccato e ironico e critico dello straniamento, cioè di una delle essenza dell’arte novecentesca. Che insomma ricicla ciò-che-era bloccando ogni ciò-che-sarà. Uno spettacolo insulso. …
Un poema ideologico, Maria. …
Veicola una visione del mondo «assurda» e allo stesso tempo soffoca ogni verità scettica, eretica, gnostica, atea. E veicola un’idea di poesia come «bellezza sacra», dove la denuncia del presente si compie recuperando esteticamente il feticcio dell’aura. Un poema che torna indietro, davvero. …
Un poema che è un miscuglio di preghiere puerili e di attitudine all’acquiescenza. Un poema che idealizza la sofferenza umana nella piacevolezza delle rime colme di sentimentalismo appagante. Che rompe con i malefici della storia proprio per come li richiama. Finché la poesia appaga l’anima, non bastano quattro versi à-là-Rodari per esorcizzare il marcio del reale («e cambia le parole della terra, / e chiama pace l’infinita guerra // che il suo cammino riempie di bandiere / di ogni colore eppure tutte nere»). Non bastano perché, idealizzandolo a simulacro da rifiutare abbracciando l’amore della «madre di tutto il creato», lo allontanano. Quando è il tono alto e luminoso a fare la poesia, quando la poesia è affidata al canto consolante di nuovo discepolo mariano, niente spinge a uscire dalla adorazione estasiata. La sfida irriducibile contro ciò che ci rende servi delle cose è spenta in una invocazione sterile. Parole mielose che perseverano nella perversione delle credenze infantili. Umanità bambina. Preistoria dell’umanità. …
Poesia priva di verità (di verità verificabile, non di quella teologica). Poesia dunque di tenebra, malgrado la luce esibita. …
Poesia dell’abbaglio. Dilettevole abbaglio mistico. …
Poesia dell’inerzia umana. …
Della salvazione. …
Poesia-terapia. …
La solita stupida fiducia nelle possibilità della parola – della Parola! – di salvare il mondo. …
Nessuno scandalo, davvero. Nessuno stupore. Solo radicale contrarietà. …
Umana e razionale contrarietà. E politica – e poetica – perplessità. …
Me ne resto lontano da questo equivoco. …
Fuori dal paradiso.

60 commenti a questo articolo

Aldo Nove is dead
2007-02-03 10:39:18|

Due cose cult ma pure pop che segnalo anche all’adorato shampista Simonelli - divina preferita vicina di quartiere - per me meglio del polverone mariano spacciato dalle major:

1)
il film di Walerian Borowczyk, La Bestia

2)
il Calendario delle calzature di Lorenzo Durante, del quale riporto il solo mese di febbraio:

autoreggenti belle / gambale ben stretto sopra al ginocchio / impermeabile in pelle


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-02-03 05:40:33|di Marco Simonelli

Siccome nella mia vita precedente (e temo anche in quella attuale) sono stato un gallinaceo, mi permetto (visto che sono le cinque del mattino) di smettere i panni del lettore e di infilarmi quelli della portinaia.

Da non meglio precisabili "voci di corridoio" (da brendere ergo con beneficio del dubbio) ho saputo che

a)Il poema in questione gioca intenzionalmente sul doppio senso del nome Maria

b)La protagonista può essere ricondotta alla figura della nonna di Nove

c)Aldo Nove deve pagare l’affitto e sebbene qualcuno pensi che campi di rendita letteraria ciò non si può dire delle sue finanze.

d)Il libro è stato oggetto di un editing ferrato richiesto dallo stesso Nove

In definitiva credo che questi interventi dimostrino quanto l’attitudine alla Malcom McLaren e al situazionismo esibizionistico che caratterizza ciò che potrebbe essere definito il "personaggio Nove" abbia fatto ancora una volta centro.

Ovviamente, da shampista e portinaia qual sono e fui m’affretto a prenotare il libro di Nove e questo non per esigenze letterarie, ideologiche o semplici simpatie. Il fatto è che, essendo nato nel ’79 e avendo passato l’infanzia davanti a bim bum bam sono vittima consapevole ma impenitente del fascino della pubblicità.

Aldo Nove "talk of the town" esercita su di me un’attrazione consumistico-feticista.

Credo che, pur di farmi un’opinione personale, comprerei il libro anche se il fantasma di Palazzeschi mi apparisse in sogno avvertendomi che si tratta di una cagata pazzesca.

In tutto questo: io ho fatto il mio outing come portinaia. Aldo Nove ha la pubblicità. L’Einaudi è felice perchè, si sa, la polemica letteraria ha un fascino commerciale che si ripercuote sulle vendite anche misere della poesia contemporanea. Significa che l’editore non ci perde.

In quanto ai meriti artistici e/o ideologici del testo, non entro per legittima difesa: non per niente mi definisco portinaia e shampista.

Aggiungo anche che la possibilità di dire la mia su questo testo mi inebria e mi riporta alla mente i tempi perduti del Costanzo Show.

Crisi di identità.

Sono davvero una portinaia? E se fossi Costantino?

Che sappiate, la redazione di Novella 2000, Visto o Stop cerca per caso dei giovani che si intendano del gossip della lettratura italiana contemporanea? In mancanza di meglio mi dichiaro disponibile a scrivere lettere false alla posta del cuore di qualsiasi testata a offerta libera.


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-02-03 03:55:40|di Andrea Margiotta

Be’, sai Martino, nel caso di Cortellessa e dalla sua specola ideale, era una delle poche strade che poteva imboccare per “salvare” codesto lavoro di Antonello…

Non poteva certo passare da Rondoni o da Peguy…
Certe volte sono anche interessanti certe acrobazie dei critici colti e attrezzati e Cortellessa lo è oltre che uomo d’onore e mio vicino di casa ;-) …

Sarei stato curioso – dato che il tuo era un pezzo che tentava un’interpretazione critica a differenza di altri commenti – sapere dove ti avrebbe portato l’interpretazione mariana che – invero – hai ugualmente affiancato a quella palazzeschiana ma per la quale hai speso meno righe : “Se invece la "Maria" è il segno di una vera profonda conversione di Nove, siamo di fronte a una santificazione della conoscenza, per cui non ha più senso parlare di Palazzeschi e le questioni iniziano a farsi serie, come ben scrive Tommaso Lisa qui sotto”.

e “o come grande restauratore, come cioè colui che di fronte alla mancata fondazione di un sistema di valori sceglie l’autorità di una sistema di valori santificato” (Maria è un sistema di valori santificato o una persona che si può anche pregare e amare ?) Maria è un’idea o una Santa che può apparire – a suo piacimento e a persone semplici – a Medjugorje, tanto che il tuo conterraneo, il giornalista Antonio Socci ci scrive un libro di indagine giornalistica “Mistero Medjugorje” dicendo: “Ho fatto circa 2.000 chilometri fra terra e mare sulle tracce di una donna. E’ una donna di "una bellezza indescrivibile", assicura chi l’ha incontrata")

Insomma hai lasciato un po’ fenomenologicamente in sospensione: volevo solo sapere come andava a finire il “film” in questa seconda ipotesi interpretativa, senza rimandare solo a Tommaso…

andrea margiotta


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-02-03 01:04:36|di ex poeta

Antonello, credo viva ora di rendita (poetica s’intende), ovvero come un’Alda Merini catapultata al maschile: quarantenne, obeso (come ama lui definirsi), degli anni Duemila... Troppe rendite non esaltano la creatiità. Anzi vivono delle proprie ceneri... autodisperdendosi...
Pasolini, con la sua visione nonclassista della cristianità (Il Vangelo Secondo Matteo docet) era senz’altro un’altra cosa.... :) non vi pare?


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-02-03 00:26:03|di Martino

Andrea, l’introduzione di Cortellessa, intitolata "Lo scandalo dell’amore infinito" è incentrata su una interpretazione palazzeschiana di Nove, riprendendo una osservazione di Massimo Gezzi. Parto da lì, ma mi sembra di affrontare anche la eventuale interpretazione "mariana". O no?

Saluti. Martino


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-02-02 20:30:11|di Andrea Margiotta

Martino, ma chi ti ha detto che Nove voleva essere Palazzeschiano?
Magari voleva essere solo un po’ Mariano ;-)

Penso che si debba partire prima di tutto dalla libertà di Antonello alias Aldo... Senza processi alle intenzioni

Tommaso, c’è forse differenza tra integralista e integrale?

andrea margiotta


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-02-02 18:55:55|di Martino

Credo che Palazzeschi, se esistesse ancora, ben lungi dal rispecchiarsi nei versi mariani di Nove, ne farebbe un succulento oggetto di scherno. Il gioco palazzeschiano, checché se ne dica, non era mai fine a se stesso, ma sempre alimentato da "un’intenzione di incendio", certamente dei luoghi comuni letterari ma anche delle buone maniere, delle semplificazioni, delle facili soluzioni, degli "atteggiamenti" che con la letteratura non c’entravano un granché. Palazzeschi, signore e signori, era principalmente uno "smascheratore". Basti pensare a quel anti-letterario triplo apologo intitolato Tre diversi amici e tre liquidi diversi , più che all’impareggiabile Perelà, che comunque si colloca entro una cornice tutta letteraria, per quanto con irriverenza geniale. Palazzeschi di fronte alla Maria di Nove farebbe una scoreggina e con malcelato sorridente sarcasmo direbbe... "Uh! Mi si scusi, non volevo. Mi è scappata".

Per distinguere il grano dal loglio, basti sottolineare che la distanza abissale che divide Nove da Palazzeschi è nella qualità dell’ironia che nel mio antico conterraneo è di una qualità che definirei "umanissima rivelazione delle debolezze", quando nel nostro contemporaneo è, se è (ovvero se dobbiamo ritenere questa Maria semplicemente un pezzo di bravura) "virtuosistica esibizione di capacità di trattamento del tema". Di fronte a questa esibizione di talento, l’ombra di Palazzeschi si dileguerebbe nell’eco di una risata infinita. Se invece la "Maria" è il segno di una vera profonda conversione di Nove, siamo di fronte a una santificazione della conoscenza, per cui non ha più senso parlare di Palazzeschi e le questioni iniziano a farsi serie, come ben scrive Tommaso Lisa qui sotto.

Il problema è che, volenti o nolenti, il portato di un’opera poetica, quando è grande, comprende un portato di forma, un portato di contenuti e, quindi e soprattutto, un portato di sostanza (se intendiamo aristotelicamente la sostanza come il sinolo di forma e materia/contenuto). La sostanza è il significato ultimo dell’opera, la forma di rappresentazione soggiacente, la dottrina implicita, la weltanschaung si sarebbe detto un tempo, a cui un testo poetico presta le proprie sembianze; la sostanza sta nelle le risposte che un testo dà (in forma estetica) a tutte le domande che le si possono porre fuori dal suo contesto strettamente artistico. Cos’è la verità? Cos’è la giustizia? Cos’è l’ordine? Quale lo scopo dell’arte e la disciplina della conoscenza? Come trattare le nostre certezze? Ecc. ecc. Beh, non si può dire che di domande da fare a un’opera d’arte ce ne siano poche... E quali risposte offre "Maria" a queste domande?

Nove, di fronte al baratro della libertà, sceglie "Maria" e non "maria". Ecco perché non possiamo spendere assolutamente il nome di Palazzeschi per Aldo Nove, soprattutto dopo una prova come questa che definisce il suo statuto di artista o come grande giocoliere sì, ma solo se lo si intende nel senso di bricoleur assolutamente deresponsabilizzato e indifferente al tema e in questo completamente dentro il nichilismo postmoderno (ma come effetto tardivo, non come rivelatore; ché quello scandalo si è consumato da un bel po’), o come grande restauratore, come cioè colui che di fronte alla mancata fondazione di un sistema di valori sceglie l’autorità di una sistema di valori santificato, fa un passo indietro (o due). Rifiuta cioè il ruolo "critico" di colui che davvero usa l’intelligenza (e lo scandalo, ché il nesso è inscindibile) in termine costruttivi (e intendo costruttivi nel senso di smantellanti una falsa verità, diciamo in senso "bruniano" per intendersi).

C’è una possibile attenuante che vale la pena di tenere in considerazione prima di chiudere. Che lo "scandalo" debba interpretarsi come indirizzato a una microsocietà, quella degli intellettuali, dei poeti, degli scrittori. In questo caso, sì, è vero, c’è una sorpresa, c’è una capriola e lo sbeffeggio di un atteggiamento, indirizzata ai poeti immobilizzati dentro gli abiti gessati della loro "letterarietà", della ricerca del loro "sé". Perché letterariamente, Maria è sicuramente un salto o, meglio, uno scarto. Ma se "il corpo" dello scandalo devono essere i letterati, se l’universo di riferimento è esclusivamente quel poco spazio intra moenia, se il piano cartesiano di questo movimento è così ristretto, dove sta la grandezza dell’opera? Siamo sempre dentro un piccolo teatrino, e Maria è, puf!, - ecco lo scandalo dietro lo scandalo - solo un’ombra cinese. E Nove un altro personaggio del teatro, al pari degli altri, con la differenza che si crede vero.

E dico tutto ciò "con l’orgoglio ferito di chi poi si ribella", di chi ha creduto che il gioco non fosse tale e che adesso sì sente, piuttosto che scandalizzato, come Nevio scrive bene prima di me, perplesso, contrariato e - aggiungo - tristemente dispiaciuto.


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-02-02 18:18:05|di Gabriele Pepe

Mi sembra chiaro che il 9 è un bel furbacchione che ha capito sin dall’inizio come va la vita! :o))

pepe


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-02-02 18:12:42|di Francesca Matteoni

Lisa è stato spietato, ma giusto.

Che Maria sia anche la "maria" e che sia una parente di Nove, non toglie nulla all’impatto che avrà questo libro su, ad esempio, una certa percezione della donna, che nel nostro bel paese è ancora lontana da morire.

Non a caso da noi si fa "storia delle donne", mentre altrove si fanno gender studies - differenza sottile, ma importante. E anche quando c’è l’esaltazione del "femminile" i toni sono sempre quelli da meraviglia del mondo, dove le donne (scrittrici, politiche, etc etc etc) seguono di poco la foca ammaestrata che gioca a scacchi e l’elefante che canta con il culo.

Che l’opera abbia un valore personale, di tributo, di memoria, di quant’altro per il poeta non lo discuto minimamente, ma che proprio Aldo Nove, che, ad esempio, sa bene la lezione grandissima di De Andrè con l’Infanzia di Maria (per restare in un passato recente), per scrivere della donna debba ancora scrivere della madre, mi stupisce parecchio. Nell’Infanzia di Maria - c’è proprio, sottolineato, il silenzio enorme della bambina e della futura sposa.

In operazioni come questa invece si azzittisce ancora di più.

Ma l’Italia è un paese indietro di trent’anni, facciamo pure quaranta, che sia per via della Chiesa, che sia per via degli italiani stessi. Qui ha ancora, per assurdo, valore parlare di lotta femminista, quando altrove si discute a tutto tondo su cosa sia l’identità.

Io su questo libro vorrei sapere cosa hanno da dire le donne.
Se siamo tutte felici e soddisfatte di essere le progenitrici dell’universo.

Se, come diceva un professore mentecatto che ho avuto alle superiori, una donna può avere del genio solo dopo la maternità. Uscita tanto assurda, quanto, evidentemente, sottilmente ancora diffusa.

Infatti Simone Weil e Virginia Woolf hanno avuto dieci figli a testa.

Infine: Aldo Nove: perchè?
Spero che la lettura del libro per intero mi contraddica, lo spero come donna.

Scusate lo sfogo, qualcuno, come altrove mi è successo, nel reale e nel virtuale, penserà simpaticamente che ho le mie cose.


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-02-02 16:25:43|di Christian

Prima di dirti come la penso recupero Poesia. Però tutte queste trombe...che sia la fine del mondo?


Commenti precedenti:
< 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 |>

Commenta questo articolo


moderato a priori

Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Un messaggio, un commento?
  • (Per creare dei paragrafi indipendenti, lasciare fra loro delle righe vuote.)

Chi sei? (opzionale)