Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce

Redatta da:

Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.

pubblicato martedì 19 novembre 2013
Blare Out presenta: Andata e Ritorno Festival Invernale di Musica digitale e Poesia orale Galleria A plus A Centro Espositivo Sloveno (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Siamo a maggio. È primavera, la stagione del risveglio. Un perfetto scrittore progressista del XXI secolo lancia le sue sfide. La prima è che la (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Io Boris l’ho conosciuto di sfuggita, giusto il tempo di un caffè, ad una Lucca Comics & Games di qualche anno fa. Non che non lo conoscessi (...)
 
Home page > e-Zine > La "Maria" di Aldo Nove secondo me

La "Maria" di Aldo Nove secondo me

(che non credo nella poesia)

Articolo postato lunedì 29 gennaio 2007
da Nevio Gambula

Non amo commentare un poema altrui. Se qui, con queste note, lo faccio, è perché il poema Maria di Aldo Nove, pubblicato parzialmente sul numero 212 di Poesia (Gennaio 2007), è destinato ad avere una risonanza che va ben oltre quello che esso effettivamente è. Cominciano a vedersi le prime avvisaglie. Ciò che mi ha mosso a farlo – e a farlo da un punto di vista totalmente soggettivo – è il fatto che trovo esagerata la sua esaltazione; al contrario, lo trovo un poema di basso profilo qualitativo. Non solo. Per me che sono cresciuto con una cultura atea e anticlericale, quel poema contiene tutte le peggiori ossessioni della religione. Invidio – lo ammetto – la sicurezza con cui l’autore esibisce questa «preghiera-invocazione». Io non sarei capace di dire le mie bestemmie con la stessa mancanza di dubbio. Invidio, ma allo stesso tempo mi insospettisce. Una sicurezza molto teatrale. Lungi da me, in ogni caso, giudicare la persona. La mia parzialità di giudizio riguarda le parti del poema pubblicate e il modo in cui è stato presentato (Cfr. Andrea Cortellessa, Lo scandalo dell’amore infinito, Daniele Piccini, Maria, o della necessità della poesia, in Poesia n. cit.).

***

Lo «stupore» e lo «scandalo» …
Quanto possono – le parole – essere lontane da ciò che designano? …
Ci si stupisce quando la chiarezza di un dettato cede il passo all’enigma, all’enigma che attrae senza minaccia. Le interrogazioni che pone inebriano. E disorientano, invitandoti a percorrere altre strade. L’incertezza prodotta dallo stupore non dà angoscia. Mi sono stupito, recentemente, alla lettura delle Opere di Giovanni Testori. La fede problematica, le ferite esibite con sincerità, quei lembi di carne che interrogano la divinità senza compiacimento, la crudezza del linguaggio: una bellezza così diversa da quella cui ero abituato, questo mi ha stupito. Certo, Testori resta aggrovigliato ad una concezione della vita fatta di penitenze, di peccati da espiare; troppo vincolato ad una idea di desiderio da reprimere, magari ansimando e sputando sangue per la consapevolezza della repressione, ma accettandola senza colpo ferire, mostrandosi dunque come persona sostanzialmente non libera. La scrittura di Testori trabocca di santità, e si fregia di una idea di amore che non è la mia, che non può essere mia. Ma c’è qualcosa che mi attrae; qualcosa di quella scrittura mi attira. Forse perché a tratti, proprio per come è disposta sulla pagina, sembra prendere le distanze dallo stesso autore, nel senso che riesce a non esaurirsi nelle sue concezioni, nella sua ideologia logora. Forse perché il suo esito è imprevedibile. Lo stupore, in questo caso, è un abbraccio sorprendente. E «fa semenza». …
Nessuno stupore leggendo Maria di Aldo Nove. Disgusto, forse. O almeno contrarietà per quella che mi sembra una regressione all’infanzia: dell’umanità e della poesia. Nessuna «adesione», dunque. Nessuna «emozione». …
E lo scandalo? …
Ci si scandalizza quando la nostra sensibilità viene turbata da un evento, quando un dettato spregiudicato ci spiazza. Lo scandalo sabota una normalità. Lo scandalo è offesa, in particolare offesa della concezione cattolica della vita (scandalo e peccato – e colpa – sono concetti paralleli). …
L’ultimo “cannibale” ha ormai passato la soglia, pronto a prostrarsi davanti all’altare, come ogni altro discepolo. Dov’è lo scandalo? …
Scandalizzarsi per l’ennesima conversione? O per l’ennesima confisca della razionalità che non ritiene Dio una ipotesi plausibile? Niente di più prevedibile, in questi che sono tempi di totale disarmo critico. Niente di più scontato. Chi si scandalizza dell’adesione di Aldo Nove al pensiero del sacro non è capace di confrontarsi con questi tempi, con questi tempi – questi nostri tempi di decadenza generalizzata – dove torna il “vizio” di sottomettere la ragione all’assolutismo religioso; e dove i modi della poesia tornano a privilegiare la parola incantata: senza tragedia, ignorando l’innovazione, si avanza a fari spenti inseguendo il fantasma di una poesia «delle origini», purificata dal male del finito, un luogo dove «Dio è presente»; torna la poesia come emanazione «dello spirito umano che è lo spirito di Dio». …
Nessuno scandalo, davvero. Contrarietà, appunto. Radicale contrarietà. …
Umana e razionale contrarietà. E politica – e poetica – perplessità. …
Può dare scandalo il «turbamento» e la «disperazione» che si rifugiano nel bagliore della Madonna? Scandalo? Fastidio, piuttosto. Non è infatti un atteggiamento consolante? E proprio perché consolante, quanto colpevole? Se il turbamento è per il reale barbarico – se è per – elevare un canto a Maria non è cercare un rifugio? Se la disperazione – il perpetuo terrore – è consapevolezza del degrado dell’avventura umana presente, che senso ha sprecare energie per composizioni che esplodono in obnubilazione? È marcio, il reale, lo sappiamo bene. Ma non sapevamo altrettanto bene, almeno sino a ieri, che la risposta non è in una gloria ultra-terrena né in quella «novella speranza»? Non avevamo già rifiutato – con la ragione, con la scienza, con la lotta, con l’utopia – il culto dell’eterno? Non avevamo già ucciso ogni idea di trascendente? E spento ogni fede diversa dal dubbio? Rifuggito ogni venerazione? Che bisogno c’è di questa nuova euforia mariana? …
Quello che ha forgiato Maria è un turbamento – e una disperazione – che non solleva ciò che lo rende tale, ma che lo conserva. Che lo conserva. …
Nello smarrimento – nell’inquietudine, nella paura del finito, nel disarmo del pensiero critico, nella resa d’ogni “speranza” laica – la poesia torna a coagularsi attorno a una visione del mondo che riduce l’essere umano a protesi del divino. E torna a farlo senza neanche avere la forza di bruciare di alterità. Ecco, torna l’ossequio deferente verso una verità che è impotenza della verità, verità che si respinge da se stessa, che si relega nella fede poliziesca. …
In molti lo applaudiranno, è certo. Chi lo applaudirà? …
Non capisco l’applauso di Andrea Cortellessa, che pure reputo uno dei critici più interessanti. A cui pongo una prima domanda: se anziché Maria il personaggio del poema fosse Lenin o, declinandolo al femminile, Rosa Luxemburg, e se per esaltarne la figura si ricorresse allo stesso tipo di metafore usate da Nove, diciamo alla stessa affermazione oltranzistica d’un sentimento oleografico, non avresti gridato alla pedagogia, al sermone rosso, alla morale d’accatto, alla didascalia pedante? Mi ha colpito, nello scritto di Cortellessa, l’assenza di giudizi di valore sulle esposizioni – teologiche, e di riflesso ideologiche e filosofiche – che il poema contiene. Posso, approssimandomi criticamente ad una poesia, evitare di prendere posizione rispetto all’universo di pensiero che richiama? …
Cortellessa parla di «concetti teologicamente ardui». Chiedo: sono anche neutri? …
Quale pensiero-mondo grava – come incubo, grava come trama tenebrosa – su quei concetti? Quanti sperperi contengono? Quante oppressioni? Quanti roghi? …
Qual è il valore – etico, politico, fisolofico – dei concetti racchiusi nella Maria di Nove? …
Compio una forzatura se metto in relazione questo poema con quella sorta di nuova crociata per la riaffermazione dell’egemonia cattolica condotta da Papa Benedetto XVI? Quanta contiguità c’è tra i «concetti» di Nove e la teologia retriva del Papa? Non fanno parte di un unico humus culturale? …
Certo, mi si dirà, la poesia non si risolve nel solo aspetto semantico: ciò che conta è il rito della poesia come poesia. Ma in Maria tutto l’artificio retorico – da composizione di aspirante prete al seminario, o da insegnante di catechismo – è teso a tracciare l’inno (evidente, evidente inno adeguato) all’iconografia ufficiale del Vaticano: la Madre che consola, la Madre che sostiene, la Madre Celeste Patetica, la Madre-chioccia, la Madre-terapia, la Madre-mammona. Una Super Woman Immacolata, il cui «sorriso» – addirittura! – «proibisce la morte» del vivente. …
Il poeta-sacerdote riesce a organizzare, per accumularsi di rime da prontuario («bella» / «stella»), una devota esagerazione, una scena mirabile della venerazione, quasi un singhiozzo auratico, del tutto incredibile per un essere umano che tenga in conto l’intelligenza. Ma incredibile anche per un credente fieramente dubbioso delle storielle per il popolino costruite ad arte dalla nomenclatura vaticana. E sì, perché «il nucleo più intimo e popolare della cristianità» di cui parla Cortellessa riferendosi al tema del poema di Nove è questo inganno ordito dalle gerarchie ecclesiastiche nei secoli dei secoli (triplo salto mortale di amen!) a scapito dei popoli. E infatti sono forti le assonanze tra quanto scrive Nove e le pagine che Giovanni Paolo II ha dedicato al culto di Maria. «La vittoria, quando verrà, verrà per mezzo di Maria», scrive Vojtyla … Aldo Nove scrive qualcosa di diverso? Totus tuus Maria ego sum … …
Diciamocelo chiaramente: s’ode, in questa Maria di Aldo Nove (s’ode, chiaramente e fiero) il segno oscuro del Dogma. E in particolare del Dogma della divina maternità di Maria («luce che s’irradia nell’incanto / del ventre tuo»). Senza stare a scomodare l’impossibilità del concepimento senza rapporto sessuale, non basterebbe ricordare quanto di negativo ha portato, in termini di morale sessuale repressiva, quella che Reich chiama «la negazione dell’abbraccio genitale»? …
È azzardato affermare che il poema di Nove è confermativo? …
Sì: il poeta conferma. …
Conferma la grande favola-trappola della Maternità Divina di Maria. …
La sacra menzogna della verginità di Maria. …
Il poema conferma. …
Non libera, conferma. …
Non si oppone al pensiero osceno (umanamente o-sceno, fuori dal possibile dell’umano), ma appunto con-firma: rende stabile ciò che già è. Economia profittevole dell’inganno reso eterno. Ecco: la devozione – nuova, appena cominciata, lieta e difficile come ogni inizio – si mostra come vana credulità. …
Una rappresentazione catartica, questa Maria. …
Versi divini, come una siringa per il tossico. …
Versi senza enigma. E dunque, proprio perché immediatamente traducibili in significato chiaro, versi senza quella ambiguità che da sempre caratterizza la migliore poesia. Versi senza fascino, senza sorpresa, senza fremito crudele, senza l’abisso delle carni lacerate. Versi senza “mistero”, insomma, ma colmi del Mistero della fede, che è entusiasticamente cantato come litania. Può una poesia riprodurre la banalità – che non è semplicità, ma fatale e chiara banalità – della preghiera? Può ripeterne i suoi piani sintattici e fonetici? Può, se vuole farsi come preghiera. …
Se vuole farsi accettare come preghiera della concordia e conciliatrice. …
Se vuole immolarsi al credo appena acquisito. …
Se vuole iniziarsi. …
I versi di questo poema ci dicono che solo l’amore infinito di Maria può consolare l’infermità umana. Nove lo scrive in maniera inequivocabile: «dell’amore che rimane / a consolare le vicende umane». E ci dicono che soltanto in Maria, in quanto colei che darà i natali a Cristo, è la salvezza («che la morte / in te è sconfitta»). E confermano anche – in barba a ogni scienza! – la credenza che vuole l’universo creato dalla Parola: «Regina tu della parola / che l’ha creato» … …
Maria, dunque, è la manifestazione di ciò che genera tutto, dell’ente sovrasensibile, e perciò inconoscibile, chiamato Dio. È in lei che lo Spirito si manifesta per primo e tramite lei si farà carne. La sua essenza è la nostra salvezza. Senza di lei, senza il suo concepimento privo di sperma, la salvezza non sarebbe neppure cominciata («Senza di te, non era vero / l’inizio»). Lei è «il senso» dell’universo, appunto; più propriamente il principio dell’unico senso possibile. La sua in-finitezza è la sua stessa perfezione e la nostra letizia. …
D’altra parte, se il poeta scrive «dorme, dentro di te, tutta la storia» … se scrive «Tu diventi / il nome nuovo che agita tra i venti / la verità che brucia i documenti / che celebrano il corso degli eventi» … se scrive che il male (raffigurato guarda un po’ – che ardita invenzione! – dal solito biblico «serpente») «ad ogni tuo respiro è cancellato» … ecco, se scrive queste e altre storielle rimate, io incredulo ne deduco che l’amore di Maria è l’unico antidoto al «potere» e alla «infinita guerra». È inutile dannarsi nella prassi oppositiva dentro la storia; affidiamoci alle sue benevole mani, tutto si chiarirà. È inutile ogni idea abominevole di rivoluzione, o anche solo di trasformazione di questa nostra società disumana basata sul denaro: sarà Maria, con il suo parto, a scacciare il serpente («in te noi tutti un’unica vivente / ascesa verso il cielo nei battelli / celesti delle tue preghiere»). È nella preghiera estasiata alla «madre di dio» che solo possono farsi i «destini» dell’umanità. …
Dunque il senso del poema è anche questa affermazione politica – eminemente politica – della teologia dominante, ossia di quella teologia “spiritualistica” che mette in primo piano «la liberazione dal peccato» e che decreta come «opera vana» occuparsi della vita al di fuori dell’obbedienza ai dogmi; quella stessa teologia che non ha esitato a condannare «gli alcuni» (i teologi della liberazione) che concepiscono l’impegno del credente come «liberazione dalle schiavitù di ordine terrestre e temporale» (Giovanni Paolo II, discorso in Argentina durante la dittatura dei generali, riportato dal Corriere della Sera del 3 aprile 1987). In fondo, se è in Maria che «la nuova sorte / del mondo si manifesta forte», se in lei «non è più dato inverno / né decadenza o forza né governo / che non sia amore», che senso ha perseguire quel camminare insieme (insieme, al di là di ogni divisione tra credenti e non credenti) affinché siano «rovesciati i potenti dai troni, innalzati gli umili, ricolmati di beni gli affamati e rimandati a mani vuote i ricchi» (Luca 1, 52-53)? L’immaginetta convenzionale della madre di Gesù tracciata da Nove fa emergere chiaramente un pensiero che offusca ogni ricerca terrena del regno della libertà, un pensiero simpateticamente coincidente con la teologia ufficiale vaticana. …
E allora la nuova alba – questo «profilo originario della forma poetica» (sic!) – ci confina nella decadenza. …
E nella decadenza resta la solitudine dell’uomo, la sua dissoluzione. E l’epoca dei porci, anch’essa resta. E gli apostoli del capitale restano, rinvigoriti da quel confermare l’alienazione. Ecco: resta la preistoria dell’umanità, ancora costretta a feticizzare se stessa nella religione. …
La religione così concepita è un ostacolo. Di fronte al “mistero” della vita – di fronte all’impossibilità di conoscere il finito – ci si affida alle credenze, cercando consolazione nella fede (tutto il Canto I della Maria di Nove è dimostrazione di questo atteggiamento). Si cercano risposte in un luogo da cui non possono arrivare risposte. Si inventano illusioni (Freud). Ecco: la religione è un’invenzione illusoria, un’invenzione che tutto schiaccia, stravolge, annienta, che disarticola l’umano con la potenza del Totem-Nulla (è l’oggetto sostitutivo che tiene incatenato l’esistere). Finché il mondo non fuggirà da questa «immondizia dello spirito» (Denis Diderot), non ci sarà “salvezza”. …
Restare ciò che si è: questo è il segreto della religione così intesa. …
Un orrendo strumento di conservazione. …
Servi, dobbiamo restare servi miserabili. Almeno sino alla putrefazione. E finalmente, dopo aver consumato il rito dell’omologazione alla Parola (alla sua ideologia), le luci si spegneranno. Nasconderanno le tracce dell’incantamento che segnala il sublimarsi della tragedia terrena, il degradarsi dell’esperienza a farsa mistica, il diffondersi furioso simile a lava dell’inganno, dell’insensato canto mariano. E altri ancora, profeti dell’incanto, proveranno a nascondere la storicità della conversione, la sua prevedibilità. Parleranno di poesia. …
Di una poesia che torna indietro, però. Che conclude con un gesto perentorio ogni ricerca. Che annichilisce ogni possibilità di fare cortocircuitare linguaggi e sensi comuni. Che nella frenesia del recupero di una forma anteriore chiude ogni dinamica “altra”. Che torna – che novità! – all’unità ammaliante di significato e significante braccando e divorando in un sol boccone lo sguardo distaccato e ironico e critico dello straniamento, cioè di una delle essenza dell’arte novecentesca. Che insomma ricicla ciò-che-era bloccando ogni ciò-che-sarà. Uno spettacolo insulso. …
Un poema ideologico, Maria. …
Veicola una visione del mondo «assurda» e allo stesso tempo soffoca ogni verità scettica, eretica, gnostica, atea. E veicola un’idea di poesia come «bellezza sacra», dove la denuncia del presente si compie recuperando esteticamente il feticcio dell’aura. Un poema che torna indietro, davvero. …
Un poema che è un miscuglio di preghiere puerili e di attitudine all’acquiescenza. Un poema che idealizza la sofferenza umana nella piacevolezza delle rime colme di sentimentalismo appagante. Che rompe con i malefici della storia proprio per come li richiama. Finché la poesia appaga l’anima, non bastano quattro versi à-là-Rodari per esorcizzare il marcio del reale («e cambia le parole della terra, / e chiama pace l’infinita guerra // che il suo cammino riempie di bandiere / di ogni colore eppure tutte nere»). Non bastano perché, idealizzandolo a simulacro da rifiutare abbracciando l’amore della «madre di tutto il creato», lo allontanano. Quando è il tono alto e luminoso a fare la poesia, quando la poesia è affidata al canto consolante di nuovo discepolo mariano, niente spinge a uscire dalla adorazione estasiata. La sfida irriducibile contro ciò che ci rende servi delle cose è spenta in una invocazione sterile. Parole mielose che perseverano nella perversione delle credenze infantili. Umanità bambina. Preistoria dell’umanità. …
Poesia priva di verità (di verità verificabile, non di quella teologica). Poesia dunque di tenebra, malgrado la luce esibita. …
Poesia dell’abbaglio. Dilettevole abbaglio mistico. …
Poesia dell’inerzia umana. …
Della salvazione. …
Poesia-terapia. …
La solita stupida fiducia nelle possibilità della parola – della Parola! – di salvare il mondo. …
Nessuno scandalo, davvero. Nessuno stupore. Solo radicale contrarietà. …
Umana e razionale contrarietà. E politica – e poetica – perplessità. …
Me ne resto lontano da questo equivoco. …
Fuori dal paradiso.

60 commenti a questo articolo

La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-01-31 15:34:40|di lorenzo carlucci

margiotta non sapevo che la questione storica del cristianesimo fosse stata risolta così felicemente: "Maria rimanda a una persona precisa e storica, concreta".
spiegati meglio...

lorenzo


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-01-31 10:00:38|di Christian

@Furlen&NacciCollection (Primavera/Estate)+RaspoRevolution: io non li ho letti i testi di 9, però sono sempre più curioso, ma credo che il problema che si sta delineando sia in sostanza questo: che ci sia conversione o meno, c’è qualcosa di meglio in giro? Dove sta la ciccia e la pappa, tutta lì? Forse, in alcuni argomenti, vedo riflessa in voi una sana sociologia, che emerge indicando il problema di una corretta interpretazione del lavoro di 9, lavoro però che non si può più idolatrare o appellare come se fosse il "grande poeta italico" e pagine, pagine di copertine su rotocalchi: io direi più semplicemente che è un poeta - e scrittore - che fa la sua ricerca, che può piacere e non piacere, che riflette ed è influenzato da alcuni andamenti/modi della nostra letteratura. Questo però impone una riflessione ulteriore: i critici, non dovrebbero, in generale, proprio oggi, ridimensionare gli osanna? Se invece di 9, nella foto di copertina su poesia, ci fosse un elefante bianco, non sarebbe meglio? Scusate, ma all’iconografia dei poeti, preferisco quella religiosa.


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-01-31 07:37:25|di CHE RasputiN

ah margiotta!!! nel cesso c’e’ vai tu e tutti i mariani...ma an vedi questo ma chi te’ credi d’esse? sei un fascista del testo e un onanista della forma ma chiudi sta’ bocca virtuale che c’iai me sembri pinochet!
Mi dispiace per aldo ma se non si chiamava nove il maria-delirio manco sul gazzettino dei miracoli di S.dona’ di Piave lo pubblicavano


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-01-31 03:27:10|di Andrea Margiotta

"l’uno interpreta il poema come resa e conversione di Nove", ovvio... scusate ma ho dormito poche ore...
Complice l’assonanza dei nomi...
Trovate una versione più corretta nel mio blog, con qualche piccola aggiunta e un’ immagine tra le mie preferite...

Da non "paesano", per questa volta aggiungo anche l’indirizzo...

andrea margiotta


http://supermargiotta.blogspot.com/

La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-01-31 02:11:36|di Andrea Margiotta

Sono stato felicemente sorpreso da questi nuovi testi di Aldo Nove, e non perché mi interessi particolarmente la sua conversione o il suo ateismo, che sono questioni personali e sue, ma perché c’è un discorso di amore e dolore che non sento tanto lontano dalle mie “ossessioni” poetiche…

Poco m’importa anche quanto sia ortodossa la dottrina mariana di Nove: valuto solo se i testi abbiano una loro forza e una loro capacità di entrare in un circolo vita-mondo-cose, in cui, il soggetto Io-Lettore senta l’accadere e l’accendersi di qualcosa che viene chiamato l’emozione poetica…

I due interventi che mi hanno più colpito, sono il testo di commento, perplesso e molto critico in senso negativo di Nevio Gambula e quello più accogliente di Lello Voce; tuttavia, mi paiono entrambi ideologici in senso speculare: l’uno interpreta il poema come resa e conversione di Voce, per rifiutarlo in nome di un anticlericalismo e di un’ idea mutila e astratta di ragione (ignorando quanto sulla ragione dissero Wojtyla e quanto afferma il nuovo Papa), l’altro cerca di salvare a tutti i costi il laicismo o ateismo di Nove e propone una sua interpretazione che però dà per scontate troppe cose…

Rilanciando anche un’ originale interpretazione di Jacopone: giacché c’era, Voce poteva dire che Maria di Nove è Madonna, la cantante (che, peraltro, a me piace) …

C’è un passaggio interessante di Gambula quando, rivolgendosi idealmente a Cortellessa, dice,
“se anziché Maria il personaggio del poema fosse Lenin o, declinandolo al femminile, Rosa Luxemburg” e via dicendo…

Ecco: notare il se…
Invece, il dato reale è che Maria rimanda a una persona precisa e storica, concreta, così come in Jacopone: non è un’idea…
Questo è un dato non da poco che non si può tralasciare: in questo caso, mi appare più puntuale, nel senso di rispettoso del fatto in sé – e cioè che Nove ha scritto un poema di ispirazione mariana – l’intervento di Gambula, anche se sono a me totalmente estranee le ragioni ideologiche del suo rifiuto…

Un plauso al mio vicino di casa Cortellessa, invece, per aver privilegiato il risultato poetico sul pregiudizio ideologico che Andreone mette tra parentesi in un’ epoché fenomenologica…

PS Segnalo ai redattori di Absolute Poetry la presenza di un commento disgustoso nel post (quello di rasputin, riconoscibile da molti caratteri maiuscoli, che qualsiasi persona di buon senso avrebbe buttato nel cesso)…

andrea margiotta


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-01-31 01:37:30|

Credo che se fosse stato pubblicato da uno (dei tanti) che non ha nessuna possibilità di finire sulle pagine di ’Poesia’, magari presso una piccola, insignificante casa editrice di provincia, questo testo non se lo sarebbe cagato nessuno.

Annibale Letterio


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-01-30 23:19:59|

pour effeffe:

Oh, dandyno, abbandonati a Maria,

rollala, fumala, fattela tutta,

canta bandierarossallariscossa

financo (pallido) disteso in fossa,

ma togliti il loden e il pellicciotto

per stare là sotto, che non ti serve.

Declama sonettidolcegabbana

con erre moscia: lascia star la geisha,

non te la dà, nun ce ’sta gnent’ da fa’.

Cumpa’, convinci le masse alla fabbrica,

che si sta ’bbene colà, e finché

ci stanno loro, la città è tutta

per te, Flaneur, Monsieur, Maximilien:

Robespierre! (je t’aime, je t’aime, je...)

tuo Undor


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-01-30 22:27:38|

ragazzi in italia tocca i fanti ma lascia stare i santi!!


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-01-30 22:11:17|

ah, no! perché è sparito il commento di mr. stirner?

Peccato, l’avevo trovato simpatico (e onestamente anche poeticamente efficace).

n.g.


La "Maria" di Aldo Nove secondo me
2007-01-30 17:33:46|

...e la vela va

effeffe

ps

credimi

non posso farci niente

se manchi di ironia

e credi ai sistemi

io non ci credo

e come il Raspo

al sonno mi abbandono

quando penso a Maria


Commenti precedenti:
< 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6

Commenta questo articolo


moderato a priori

Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Un messaggio, un commento?
  • (Per creare dei paragrafi indipendenti, lasciare fra loro delle righe vuote.)

Chi sei? (opzionale)