Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
La biblioteca del Novecento dimenticato
Onufrio, Morovich, Anna Banti e gli altri: la letteratura italiana oltre i soliti fuoriclasse
«Quando estraiamo dei libri dalla nostra biblioteca, gli altri si mettono di traverso, nel vuoto che quelli hanno lasciato, come se non volessero più lasciarli tornare». È una bella immagine dello scrittore spagnolo Ramón Gómez de la Serna che Guido Davico Bonino evoca introducendo il suo nuovo libro, Novecento italiano. I libri per comporre una biblioteca di base, che uscirà domani da Einaudi. Si tratta in realtà di un repertorio cronologico della nostra letteratura dal 1885 al 1990: un cospicuo schedario di narrativa e poesia. Altro che «biblioteca di base». C’ è molto di più. Davico precisa nella premessa che la selezione non ha nulla di militante e dunque di imperioso, anzi si propone come «la più tollerante possibile». Ma anche solo sfogliando l’ indice dei nomi, si rimane colpiti dalla generosità con cui il selezionatore (una sorta di Donadoni della Nazionale scrittori) convoca nel gruppo, accanto ai fuoriclasse riconosciuti, autori considerati minori o minimi, quegli oscuri mediani della letteratura, quei portatori d’ acqua di cui si è quasi persa la memoria. Il tutto in non oltre 370 pagine per un libro che, lasciandosi prendere la mano, avrebbe potuto contarne mille e più. Ed è questo uno dei tanti pregi dell’ opera: riuscire a trattenere la tentazione di registrare tutto, segnalando in compenso molti titoli inattesi. In verità a qualcosa Davico rinuncia: perché esclude di proposito, per evidenti necessità operative, il teatro, la memorialistica, i racconti di viaggio e la narrativa di genere, e cioè il rosa, il giallo, l’ avventura, la satira, la fantascienza, il fantasy. Così si produce qualche paradosso che forse si sarebbe potuto evitare con premesse più elastiche. E si rischia come sempre il troppo facile gioco del chi- c’ è-chi-non-c’ è facendo notare con un certo dispiacere che, in ottemperanza alle dichiarazioni preliminari, mancano almeno uno Scerbanenco, un Revelli, Eduardo e il premio Nobel Dario Fo, e ancora uno Stajano o un Bocca, come se il giornalismo non avesse mai offerto nulla di buono alla letteratura vera e propria. E Brera? Peccato anche per lui. Peccato infine che si sia rinunciato, proprio per una «biblioteca di base», a quella prosa scientifica e/o saggistica che spesso e volentieri si fa letteratura più della letteratura (si pensi, tanto per dire, alla linea Gobetti-Gramsci-Einaudi-Pintor). Preso atto delle esclusioni preventive, va notato che le schede sono esemplari per chiarezza (mai un tecnicismo) e per equilibrio tra lo spazio dedicato alle biografie, quello assegnato alla genesi delle opere, la parte descrittiva delle medesime (senza lunghi riassunti ma con l’ aroma della trama) e la valutazione critica, che non manca ma viene spesso affidata a citazioni autorevoli. Davico non perde mai la bussola del suo lavoro, che è in primo luogo un servizio al lettore non specialistico, al quale offre ovviamente, in calce a ciascuna scheda, l’ indicazione bibliografica esatta. Tornando alla scelta. Sono ben rappresentati gli autori «ovvi». Per divertimento, se ne potrebbe fare una classifica. Narrativa, 4 titoli a un quintetto: Svevo, Gadda, Moravia, Sciascia, Calvino (ma non c’ è Palomar che forse è più rappresentativo delle Cosmicomiche). Quattro titoli anche a Volponi, ma c’ è pure il poeta. Una ventina di narratori con 3 titoli: da Arbasino a Bevilacqua, da Arpino a Tabucchi, da Pavese a Cassola, da Parise a Fenoglio (che forse avrebbe meritato qualcosa in più: manca Una questione privata). Poi ancora Tozzi, Landolfi, Savinio, Tobino, Comisso, Soldati, Primo Levi, Manganelli, Rigoni Stern e altri. E già qui le sorprese non mancano: sono le triplette del modenese solariano Arturo Loria («il maggior scrittore picaresco del Novecento» è una definizione di Massimo Romano), di Alba de Cespedes, di Gianna Manzini, di Fausta Cialente, di Anna Banti. Che aggiunte a Lalla Romano, Natalia Ginzburg, Anna Maria Ortese, Elsa Morante (tutte con tre titoli: ma di quest’ ultima, forse un po’ snobisticamente, è stata dimenticata La storia) aprono finalmente un ampio panorama di presenze femminili. Che si completano con Grazia Deledda, Paola Masino (ricordata con due titoli, evviva!), Rossana Campo, Alice Ceresa e con il fronte ancora attivo: Dacia Maraini, Rosetta Loy, Fabrizia Ramondino, Francesca Sanvitale, Clara Sereni eccetera (lasciando a parte le poetesse). In poesia, Davico propone forse una lettura ancora più orientata, come in definitiva è giusto che sia: Saba si mangia tutti con 6 presenze (ma tre sono le redazioni del Canzoniere, registrate separatamente, e tre le prose). In realtà, con qualche meraviglia, il primo poeta «puro» in graduatoria risulta essere Mario Luzi (5 titoli), seguito da Montale e Caproni (4) e da una smilza schiera di colleghi considerati degni di tre segnalazioni: Carducci, Pascoli, Moretti, Ungaretti, Rebora, Sereni, Bertolucci, Raboni, Giudici, Zanzotto. Relegati a due presenze, Quasimodo, Fortini e Betocchi. A una sola, Amelia Rosselli, che probabilmente avrebbe meritato di più. Larga rappresentanza viene data ai poeti dialettali, che Davico mostra di conoscere e di scegliere con perizia: tolti Trilussa, Tessa, Giotti, Buttitta, Pacòt, Marin, Guerra, Loi, non tutti sono necessariamente noti, ma fa piacere incontrare il genovese solitario Edoardo Firpo, La nàiva del grande Raffaello Baldini, Ernesto Calzavara, Nino Pedretti, Eugenio Tomiolo, Santo Calì e molti altri. Così come fa piacere imbattersi nei tanti nomi che si credevano perduti per sempre alle patrie lettere: outsider che Davico va a recuperare dall’ ombra. Chi si ricordava più del palermitano sfortunato Enrico Onufrio, dell’ esilarante Augusto Frassineti dei Misteri dei ministeri, di Dolores Prato, del realista magico fiumano Enrico Morovich, di un capolavoro come Fratelli di Carmelo Samonà, del poeta Giuseppe Guglielmi re dei traduttori (da Baudelaire e soprattutto da Céline), di Guglielmo Petroni (autore di un gioiello della letteratura carceraria partigiana, Il mondo è una prigione), e di tanti e tanti scrittori che non hanno mai chiesto nulla e che ora hanno giustizia. Si può anche leggere così, il repertorio di Davico, arrancando per i sentieri da capra della nostra letteratura novecentesca e non solo percorrendone comodamente le autostrade. Oppure si può aprire a caso nell’ anno di grazia 1963 e scoprire che anno è stato. Vale la pena provare.
(Paolo Di Stefano, 5 maggio 2008, "Corriere della Sera")
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