Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce

Redatta da:

Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.

pubblicato martedì 19 novembre 2013
Blare Out presenta: Andata e Ritorno Festival Invernale di Musica digitale e Poesia orale Galleria A plus A Centro Espositivo Sloveno (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Siamo a maggio. È primavera, la stagione del risveglio. Un perfetto scrittore progressista del XXI secolo lancia le sue sfide. La prima è che la (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Io Boris l’ho conosciuto di sfuggita, giusto il tempo di un caffè, ad una Lucca Comics & Games di qualche anno fa. Non che non lo conoscessi (...)
 
Home page > e-Zine > La caduta e l’esilio

La caduta e l’esilio

un poemetto, parla Fetonte

Articolo postato venerdì 8 dicembre 2006
da Nevio Gambula

Molto spesso, timoroso, mi sono trovato a sfidare
la novità delle cose - è il mio tormento
  Ho spiato, in segreto, le cose
  nel loro farsi, ed ho scelto
  una traccia, un indizio
  di vero:
                   la contraddizione
  l'unica possibilità, o l'accanimento
  della negazione, ancora
Chiedo cose grandi, che non ci sono
Con tutto il corpo. Chiedere
         le cose è dare voce
         alle cose. Poi le cose
         portano impulsi
         a partire
C'è tutto il cielo da attraversare
per approdare alla vita che verrà
Fatemi, fatemi guidare
i cavalli che hanno ali ai piedi, fatemi
         quelli che sputano fuoco, fatemi
         guidare i cavalli veloci
La mia mèta è lontano - dissi partendo
Desisti, ti supplico - disse mio padre
che non è cosa da farsi. E mi disse
le insidie, i pericoli, le bestie
feroci. Ma presi
le briglie,
                   ugualmente
Poi la corsa, improvvisa. E la corsa
forgiava il mio terrore. Frontiere
al crepuscolo
                            La verità
sono questi cavalli, il colpo di frusta, o le nebbie del cielo, la verità
è questo carro di fuoco che conduco fin giù dov'è la terra
e vedo la terra davanti agli occhi. La verità
è questa rovina - solo macerie, guardo
avanti e vedo solo
macerie
                   Ma vedo un punto lontano
                   Mèta ambita
                   Libertà
La paura mi gelava il sangue. I cavalli
battevano nell'aria i piedi, correvano
a caso nel cielo, i cavalli
che sputano fuoco
         Ed io bruciavo le nubi, la terra
                   presa dalle fiamme, fessure
                   si aprivano, dissecata
                   la terra
arida, la terra
La cenere una realtà, e la mia folle corsa, mai conforme
una liberazione plausibile. Nell'incrocio tempestoso
dei tempi il mondo che ho incendiato
fumi caldi e caligine
         Nella corsa rovente la mia fondazione - dissi partendo
         Finché Giove, dall'alto del suo potere, mi cacciò l'anima
e il corpo mi fece cadere dal carro e i miei fuochi
con fuochi terribili raffrenò
         Il carro al suolo, le mappe
         bruciate, i cavalli
Spiaggia, cadaveri, grande frastuono, avvoltoi
Se la ricerca è un percorso, se è: se il senso
è scomposizione, se è divisione, se è: se è,
il senso, ciò che divide il reale, se la cosa
reale, cioè, è sezionata e poi convertita
in segno, se è: e se per farlo si usa
la lingua (se, lo ripeto), se è
così: allora ogni discorso non è
neutro, non è:
all'inizio
      un cielo aperto, cavalli di fuoco e una caduta
        poi la spiaggia, e una crisi, e vicoli
          ciechi, e difficoltà, conflitti
                   e rinuncia: il gioco
         consiste nel muovere cose - appunto dicevo, alla partenza
         Pioggia e sole, vento
         alta marea
         Scheletri, ossa
         dissolte - storia e natura, catastrofe
         e ricominciamento. Svenni
         tre volte, poi mi risvegliai
vengo allo scoperto, finalmente - dissi
con vivo stupore, e vertigini
         è l'alba, ai margini del cielo
         un carico di nubi, e una barca lontana, una barca
         la barca si avvicinava, la barca
         Forse mio padre, forse
         una spia di Giove
          Sono vulnerabile - pensai, il colpo
di grazia, pensai
             La barca si avvicinava, la barca
               Bandiere sui pennoni, strane
                 le bandiere, lingua
                   sconosciuta
                   Forse, la barca, con i suoi marinai, segnava l'inizio
                   di un nuovo mondo, o una conquista
                   una fuga, un esilio
                   o forse era solo l'incanto del viaggio, una vacanza
                   esotica, pausa di riflessione
                   o una spedizione
                            impossibile
         Ma la tormenta
         O piuttosto, l'uragano
         Qui, mare e cielo si confondevano
         Mare avvelenato
Qualcosa mi agitava, forse quel che vedevo
mi rendeva inquieto: gli errori
commessi, o forse
gli alberi deformati dall'uragano, gli arbusti bruciati, le vele consumate
dal fuoco, l'albero maestro sfasciato dalla furia
delle acque. La barca
non si avvicinava, la barca,
più. Quando il mare
si calmò, in questo deserto di sabbia io solo
dissi la mia speranza
         che svaniva
         Restava una capanna, sperduta tra le palme, e battevo il tempo
         lo battevo sul petto e volavano pipistrelli, avvoltoi
         i passi dei soldati, li segnavo col ritmo
         molti stesi a terra, morti
Forche, croci, ruote, altri strumenti di tortura ben visibili dalle strade
         Ogni speranza in decomposizione
                   e restava la mia confusione
                   Accompagnavo col tamburo del cuore la lama
                            all'assedio delle mie vene
                            Poi scrivere, ancora, per la bottiglia
                            col sangue, scrivere
                            questo messaggio
Questo messaggio, a dire il vero, manca di un principio
certo. La fonte
                            è la lenta agonia di un impero. Chi è Roma?
macerie e calcinacci, resti di muro, forse Berlino 1989. O forse
una spiaggia, cadaveri, grande frastuono di onde,
avvoltoi, resti di barche. Roma è fondata
sull'assassinio. Ma siamo
anche a New York
Tokyo
         Parigi
                   Mosca
                   Gomitate e spinte, e devozioni servili
                   Decisi di partire, all'inizio,
                   contro la volontà del padre,
e sono rimasto solo, nel finale
di sola sabbia, senz'alibi,
spaesato, e teste
fumanti:
                   fare del mondo un'unica città
Che il cominciare si dimentichi: presto, e guardando avanti
Il morto pesa sul vivo mentre ribadisce il caos della vita
Ma la propria prassi è qualcosa che insegna: il futuro
In palude di merci, non è facile stare dentro e dire di no
Solo quanto basta, ma per fare cosa? forse sé medesimi
Una materia - persone cose luoghi, con molte varianti
E storie accadono, storie da raccontare, come scoperte
In breve: son le cose che odio: altri nessi è faticoso
In pochi mesi difficile strappare al buio un solo grido
E' senza dubbio una cosa fattibile, purché ci riesca
Che ha luogo sempre nella sua prassi la contraddizione
O l'esplodere di nuova conoscenza, entro questi limiti
Siamo dentro un paesaggio definito ma guardiamo oltre
Altre persone, insieme contrari, per ragioni sostanziali
Le cose del mondo, o il mondo delle cose: mi frugo in tasca
Di solito a quest'ora del giorno mi frugo sotto le mutande
Coito di corpi ruvidi, musica
di bocche
                    chi dice lacera la viva sintassi
Se ogni discorso è come un tumulto, se è: la vibrazione
dei segni, allora, oppone resistenza, se: e se la precisione
è una qualità fondamentale, se è: anche il vandalismo
può diventare, con l’uso sobrio, una traduzione
della lingua delle cose nella lingua dell’uomo
C'era la spiaggia, dunque, e c'erano, minacciosi, gli avvoltoi, e la prosa
del sudore, c'era, mentre insistevo, mio malgrado,
a perdere sangue. Prima, in marcia
tra le nubi - nessuno o tutti,
dissi partendo. Poi,
in quel limite di sabbia
mi accorsi di Roma,
e vomitai
mentre parlavo, ancora
parlavo col corpo la lingua del lavoro, parlavo, ancora
Conviene, dissi a me stesso,
che ti adegui, conviene
stare segregati,
conviene
Il denaro vuole governare senza intermediari - dissi
nel mentre parlavo, col corpo operoso, la lingua
infaticabile della competizione:
e il mio sussurro
dissi, si faccia irrisione: c'è la caduta della ragione
o la sua disposizione matura alla funzione allenata del lavoro
come misura preliminare una confusione
  E questo vuol dire: che in principio c'era un turbamento, il moto
  del mio braccio, poniamo, vincolato allo strumento, ad insistere
  sulla materia - poi il mutamento, questo accadde
    In più nevicava, ed avevo freddo, paura,
    la natura mi apparteneva, mi sovrastava,
    nel mentre le davo forma mi soddisfava,
    poi parlavo
         E' nell'uso delle parole la verità, dissi
                   Bisogno, impulso e scopo: la mia idealità
                            parte da qui, dalle condizioni
                            che creo, aggiunsi
come scrivendo col corpo
Semplice: ogni perturbazione è transitoria, ma la storia
ha confermato la negazione della mia esistenza
naturale: una patetica variante
del produttore di merci, o strumento vivente, servo
che lavora per altri fin nel cuore
della notte - e feci questo discorso
devastando la lingua. E ripetevo, spesso, io produco
la mia morte, il denaro altro denaro
Dissi a me stesso: sono il risultato del mio rapporto con l'altro,
legati insieme in circostanze e in quel contesto ci rivolgiamo
alle cose come cose noi stessi. Ma nel tempo altri
si sono serviti di me, mi hanno utilizzato
per scavare un pezzo
di rame
         Loro gli attrezzi, loro i frutti del mio lavoro. Tentai
la fuga diverse volte, finché mi vidi circondato
da guardie - a controllare il mio lavoro
Sarebbe cominciato il millennio, si diceva, allora inizierà
un'epoca nuova, entrarci non è facile, ma il massacro
scrisse le sue pagine, e fu l'unica cosa. L'urto
ci fece esuli in tanti luoghi e tanti posti visitammo
per lavorare andammo sparsi, separati, col sogno
del ritorno: ad ogni pausa una speranza: ritornare
alle nostre case, mogli, tra le braccia dei bambini.
Tutto, dopo ogni massacro, è ricostruito: solo
le piantagioni e i campi auriferi, solo
         Mi dilungo a raccontare
         Una cosa nelle parole, un'altra
         nel significato - ed è un parlare
         pubblicamente, discorso
         aperto, ma misterioso
         Perché il contrario di quel che è scritto risulti vero
                   O che dire altro? tornare ai cavalli
                   al volo preciso, al carro
                   di fuoco, perdonate
                   i miei eccessi. Scusa, padre - dirò al ritorno
                   nelle cose nuove ho visto la mia utopia
                   far nascere ciò che ancora
                   non esisteva - con ferma
                   e lucida mano
Col ricorso alla ragione, e all'osservazione, insieme alla fantasia
Perdonami, o padre, dirò, ma le metamorfosi
sono processi salvifici
0 restare tra le sabbie, in questa epoca
  che mi ha visto crollare
    1919 Berlino, o presso Parigi 1871, crollare
      a Torino nel '22 - non tornare
       alle origini dunque
         Roma sempre il luogo migliore
         per le competizioni
         Ma tante questioni restano, e resta il rumore del silenzio
o le macerie delle cose, la storia
da nominare confusamente
         O Agamennone, quanto
         costa in vite umane
         la guerra?
                   Ma, mio re, la strada per il Golfo
                   è ancora lunga, o i Curdi
                   massacrati sulle montagne turche
                            Arde l'Occidente
                            di gloria, o Cesare
                            ad ogni tuo passo un diluvio di sangue
                                     La morte, vecchia troia
                                     o Europa insaziabile
                                     questo angusto trono di re
                                     Nel mercato la lite
                                               si andavano armando
                                               ed io pensavo, in silenzio
                                               il silenzio è doloroso
                                               e doloso
Pensare alla guerra in corso, o alla prossima
che ci sarà, è garantito
Petti deliranti
Incantati
                   dalla voce del cantore, di nuovo
Per questo vi dico di Roma, o dell'impero e della decadenza
dove la disciplina e la collaborazione sono la lingua
madre, nel regime di accumulazione
Molti i cervelli malati - una danza
macabra, qui ha corso
una danza:
 
         POPPER
         Nel limite della funzionalità
         decoro, polizia
         controllare tutto
 
         BOBBIO
         La carica dell'Ottobre
         la più grande catastrofe della storia
         Il denaro nostra unica lingua
 
         WOJTYLA
         La discesa dal Cielo
         nostra speranza
         lo sceriffo americano
 
         DAHRENDORF
         comunica, e ti sarà dato
         non la classe, né la sua lotta
         un nuovo contratto sociale
 
         PRODI
         la legge e, talora, il costume
         in modo efficiente, con l'accordo
         tra le parti, consenso
 
         D'ALEMA
         e così alla fine i sassi
         si arrossiranno del sangue altrui
         far saltare i treni è necessario       
 
         NEGRI
         l'esodo, o la fuga
         che star qui non conviene
         o forse nell'immateriale è il futuro
 
         INGRAO
         ma non la rivoluzione
         magari una ricerca, anche politica
         uniti alla borghesia illuminata
 
La storia è questa, la storia che non si racconta mai
a stento si resiste, sabbia, e l'orizzonte
è disumano. E la solitudine
torna a volte. La storia
è questa danza,
macabra
                   Poi la merce
si fa bella, ritorna in pista, le società per azioni
         stroncano legami - un gorgo incolore
         inghiotte
         le cose o i segni, è l'afasia, il mercato
         come guerra, dove a crollare
                   è il solo tentativo, e disperato,
                   di Fetonte, il mio tentativo
                   di aprire varchi
Resta la preistoria, ancora
 
 (questo poemetto è compreso nel volume "Per labbra recitanti nella febbre" liberamente scaricabile cliccando qui)
 
 

1 commenti a questo articolo

> La caduta e l’esilio
2006-12-09 20:39:28|

ok ok cambia


Commenta questo articolo


moderato a priori

Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Un messaggio, un commento?
  • (Per creare dei paragrafi indipendenti, lasciare fra loro delle righe vuote.)

Chi sei? (opzionale)