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La radice di Lorenzo Carlucci

Articolo postato martedì 20 gennaio 2009
da Valerio Cuccaroni

I due libri di versi pubblicati lo scorso anno da Lorenzo Carlucci, La Comunità Assoluta (Lampi di stampa, Milano, con una nota di Claudio Damiani, 2008) e Ciclo di Giuda e altre poesie (L’arcolaio, Forlì, con postfazione di Matteo Veronesi, 2008), sono opere fra loro distanti, nonostante la vicinanza cronologica: la prima è, per usare un aggettivo abusato, più sperimentale, composta da versi e prose, o meglio, Canzoni - Dialoghi - Soliloqui, come recita il sottotitolo; la seconda è un vero e proprio poema, scandito in cinque movimenti, introdotto da Un Lamento, per dedica e seguito da sei poesie: La Tela Rossa (tre poesie); Fleuret (tre poesie trancesi).

Ho in bocca le parole di mio padre,
che stanno chiuse, come il nome,
nello stesso cassetto nel quale è chiusa la pistola
che adesso ho in bocca, in bocca perché
non parlo con nessuno, non sto parlando
con nessuno. E non sono parole gentili
e stanno chiuse in bocca a un morto
che somiglia a qualcuno al quale io somiglio
e che non conosco.

Questa strofa di N.A., la poesia che apre La Comunità Assoluta, ha il sapore di una dichiarazione di poetica. Come ha giustamente notato Damiani, la poesia di Carlucci nasce infatti da un dialogo continuo, ma spesso afasico, con una presenza-assenza, da cui si lascia possedere, a cui presta la propria bocca, una bocca «nera», che l’amante non vuole baciare. Figura di un disagio della lingua che è del poeta e, allo stesso tempo, della nostra epoca. Ecco dunque che l’Io lirico di Carlucci si fa volentieri Noi, anzi Loro:

Io sono la coppietta di orientali,
leggera in mezzo al centro commerciale.

E sono il negro che si appoggia allo schienale,
e aspetta la sua negra, che ritorni,
con i bambini e con la spesa.

Un Io che tenta una comunione solitaria con il mondo, in un viaggio verso i centri (commerciali) dell’Occidente e i decentramenti (esistenziali) dell’Oriente:

io sono davvero un ebreo, con la luna, il masìah, tutto il resto. che per vivere al mondo, e godersi la luna, la notte, la sua shekinàh, poi gli spazi, ha un nome da non pronunciare. sopporta.

Leggendo La Comunità Assoluta e Ciclo di Giuda si ha l’impressione di ascoltare un discepolo contemporaneo e surrealista di Averroè, sia per i continui riferimenti al mondo medio-orientale, che per il tentativo di trasporre da un linguaggio a un altro una verità sapienziale, coniugando poesia e filosofia.

- facendoti bella per me è inevitabile che ti faccia bella per altri.
- ...
- e questo “ti faccia” vuol dire “diventi” e “ti faccia”
- ...
- è inevitabile, non semplicemente, come accidente essenziale: piuttosto è insito nella tua stessa intenzione di farti bella per me.
- ...
- nella tua stessa intenzione di farti bella per me c’è l’intenzione di travalicarmi, un abbandono.

Se La Comunità Assoluta ha l’aspetto di un diario di viaggio, in cui si sono accumulate nel tempo scritture diverse, ispirate a esperienze diverse, in luoghi e tempi diversi, il Ciclo di Giuda, come si diceva, è un’opera più unitaria. Un poema tragico-matematico, per così dire.

mentre sta lì che pende come un frutto
i venti esplorano i possibili
volumi possibili dei venti
in moto sopra i campi

[...]

chi si è impiccato fa da misura ai campi

Nella terza sezione del Ciclo, intitolata Libro di Judah, il calcolo finisce per prendere, però, il posto della poesia, che resiste in scampoli di parlato:

Primo Rabbino . rasségnati. tu non sarai capace a sviluppare dell’esser suo il fiorire o il florilegio. manco sarai capace a riallacciare i lacci del suo nome all’osservanza del Nome Grande.
Secondo Rabbino . sia questo il mio problema, il primo, ma dimmi padre tu come sopporti la rimozione del suo dire dal nostro conventicolo.
Primo Rabbino . la porto per sostituzione.

Qui Carlucci smette di parlare e sembra avvitarsi su se stesso, muto, chiuso nel suo guscio:

Secondo Rabbino . nessuna luce spirale può eguagliare il torneo che il suo spirito imprime all’intelletto nostro. no, nessuna. e sarò muto, accoccolato in basica conchiglia.

Così come chiusi nel loro sarcofago, avvolti dalla polvere, stanno i coturni e le clamidi, che a tratti appaiono fra la trouvaille raccolta dall’autore nei suoi vagabondaggi. Più vivificante, sebbene a tratti canzonettistica e - certo - meno iperuranica, appare, a conti fatti, la vena melodica che scorre sotto la pelle di molti versi ed esplode vermiglia in alcuni componimenti:

glossolalia d’amore

lalla ha il cuore d’oro, scoppia come una spora
ciliegio bianco in fiore, qualcuno t’ha piantato
chi prevedeva allora, la forma tua di oggi?

nude le braccia avorio, tatuate primavere
donna d’argento e nero
la grande camomilla,
contro i ciliegi in fiore

filo di lana bruno busto di uomo nero
fatto di pane e denti dammi una sigaretta,
tumori delle piante contro l’aria
in cima ai morti stiamo come i fiori
in cima alle radici

poi tu cadrai tra i chiodi della vita
ombra del tronco e d’oro, il riso tuo
tra monti curvano i delfini

donna grande,
donna piccola e verde che interrompe
con la sua veste verde il verde addormentato
il verde spastico del prato digitale

su piccoli cotùrni verso una gran tragedia

dov’è la radice, dov’è la radice
di questa mia terra?

piccolo intrico d’ombra cespuglio non ancora
pieno di fiori invece nudo ed incomprensibile
e come un cagnolino, idrante giallo e muto
le braccia nude e il fumo, presso la biblioteca

lejàndra aspetta a casa con il vestito rosso
il cuore mio ne è scosso, fino a scoppiare

cane al guinzaglio guidami, camelia in cima al ramo
destino d’occhi e mossa, dal vento bello

le scimmie a spasso con i cardinali

Lasciamolo qui, Lorenzo Carlucci, domandandoci con lui se per conoscere la natura non si debba estrarre la radice della cultura.

10 commenti a questo articolo

La radice di Lorenzo Carlucci
2009-01-31 23:00:41|di Matteo Veronesi

Forse perché il ricordo dei pomeriggi dipartimentali ha ridestato in me una certa quale vena pedantesca di accademico mancato ("accademico di nulla Accademia", come Giordano Bruno), mi sento di ribadire l’utilità dei raffronti fra autori (il lettore dei classici, diceva Pontiggia, è per sua stessa natura amante delle analogie: e lo stesso credo valga per il lettore dei moderni).

L’analogia fra le arti, il "girotondo delle arti" affiorano e prendono corpo anche e proprio intorno a questo aspetto. Come in storia dell’arte esistono le tipologie figurative, così in letteratura esistono i "topoi", i "loci communes", le isotopie - le linee di continuità, i motivi ricorrenti e riconoscibili, pur se sempre, e magari solo impercettibilmente, ma essenzialmente, variati, i debiti protratti, ereditati, trasmessi di generazione in generazione, ma infine fatalmente saldati.

I raffronti fra diversi autori mettono in risalto questo nodo fondamentale intorno a cui si articola e si dipana la continuità (e la discontinuità) della tradizione. La semiotica delle arti e la teoria dell’intertestualità trovano così (esercitandosi nell’individuazione e nella disamina di questi typoi/topoi, di questi archetipi e di questi "spazi" espressivi, di queste aree di dicibilità) la loro giustificazione, e insieme la loro utilità (oltre a rappresentare per il lettore e l’ermeneuta una sfida entusiasmante e sempre nuova - ammesso che tutto ciò che facciamo abbia ancora un senso).

Ciò varrà a maggior ragione per un autore come Lorenzo, dalla scrittura complessa, stratificata, polifonica, estremamente ardua, che spesso si può delucidare (o almeno rischiarare un poco, ma, nel contempo, ulteriormente problematizzare) proprio, come dicono i filologi, "exempli causa", attraveso il richiamo ad antecedenti e referenti cuturali consapevolmente, quasi dichiaratamente presenti nell’orizzonte del creatore, e dunque del fruitore, e che fanno così parte integrante dell’opera - allo stesso modo che l’esegesi dei classici è ormai, diceva Sainte-Beuve, "entrata nel testo", secondo l’esempio paradigmatico della "glossa intrusiva", fino ad essere di fatto da esso inscindibile, e che (come in quella tradizione talmudica a cui il discorso di Lorenzo in certo modo si riallaccia) il commento finisce per essere esso stesso un genere della letteratura, una forma in certa misura autonoma di pensiero e di creazione.

Forse solo i Grandi Antichi, gli antesignani e i fondatori più remoti delle tradizioni (Omero, Eschilo, Prassitele) sembrano non avere maestri, sorgere come una limpida aurora da un mare di tenebra assoluta.

Ma ciò potrebbe dipendere, semplicemente, dal fatto che i loro antecedenti (l’epos preomerico, ad esempio) sono stati oscurati, e pressoché cancellati, dalla loro grandezza e dalla loro poderosa, per quanto dialogica, identità. Neppure la Bibbia, il grande codice per eccellenza, sarebbe pensabile senza i grandi testi mesopotamici - né Platone senza l’Orfismo e la "sapienza italica".

"On est toujours fils de quelqu’un" - a meno che non si voglia credere ancora al devastante mito, romantico così come avanguardistico, della "novità", dell’"originalità", dell’unicità.

Ho ridestato un po’ della povere e del soave, indugiante tedio dei pomeriggi bolognesi. Erano bei tempi. I tempi delle illusioni.....


Super Veronesi
2009-01-30 17:29:27|di Leopardo di Capro

Che bello ritrovarti, Matteo, dopo tanto tempo! Ricordo ancora con uno sbadiglio di terrore quei pomeriggi persi in quell’angolo del dipartimento.. e tu, rimembri ancor?

A proposito di Parco poesia, ricordo quella gaffe meravigliosa della meravigliosa gaffeuse Isabella: quella sera ne infilò una dopo l’altra. E non ho dimenticato nemmeno, sai, quelle tue poesie, "invero piuttosto luttuose", che mi regalasti, mi pare proprio a Parco poesia: mi hai fatto venire voglia di riprenderle in mano!

Se posso permettermi, però, dopo tanti elogi (tutti sinceri), un appunto (forse antipatico, ma onesto e doveroso) sulla superfetazione del metadiscorso: leggendo la nota al Ciclo nel tuo blog http://rebstein.wordpress.com, mi sono ricordato che, un giorno, un bravo docente di storia dell’arte mi mise in guardia dal fare paragoni fra autori. Preferisco che i testi si smontino, come, del resto, tu sai fare benissimo, piuttosto che si addobbino.

Con grandissima stima e simpatia, il tuo

Leopardo


La radice di Lorenzo Carlucci
2009-01-30 11:06:59|di Matteo Veronesi

Mi hai rovinato tutto.

In verità, io sono alto, magro e chiomato. E’ il "genio maligno" che mi fa apparire quale appaio.

Ah, parcopoesia.

Un’esperienza singolare.

La brava, e anche lei bella, Isabella Leardini (che del resto, se non fosse bella, si chiamerebbe Isabrutta) disse che dopo aver letto le mie poesie (invero piuttosto luttuose) sua madre si era messa a piangere. Gli spettatori trovarono in questa osservazione qualcosa di risibile.

D’altra parte, forse è vero (come dice Palazzeschi nel Controdolore) che le bare dovrebbero essere riempite di coriandoli, e fatte portare dai pagliacci.

Ma ormai siamo finiti out of topic.


La radice di Lorenzo Carlucci
2009-01-30 10:40:33|di lorenzo

"Ad ogni modo, forse non è casuale che in rete non circoli di me immagine alcuna." (Matteo Veronesi)

cfr. qui:

http://www.parcopoesia.it/photogall...

;)
lorenzo


La radice di Lorenzo Carlucci
2009-01-30 03:07:57|di Matteo Veronesi

"Il poeta (...) si deve ben guardare dal dar sospetto ch’egli sia brutto, perché nel leggere una bella poesia noi subito ci figuriamo un bel poeta. E quel contrasto ci sarebbe disgustosissimo" (Zibaldone, 221). Detto da "er gobbo de Leopardi", è il colmo.

Ad ogni modo, forse non è casuale che in rete non circoli di me immagine alcuna. Alla faccia di Facebook. Così le donne possono solo immaginare cosa si perdono.

Anzi, a dire il vero io non ho nemmeno un corpo. Sono solo un cervello in vasca (o almeno la vasca c’è), e voi gli scienziati pazzi.

Come che sia, scherzi a parte, proprio lo scritto di Cuccaroni (che, dico sul serio, assomiglia a Leonardo Di Caprio - anzi a ... Leopardo di Caprio, ah ah ah ah) ha sollecitato alcune mie ulteriori riflessioni, che si trovano qui:

http://rebstein.wordpress.com/2009/...

"Superfetazione del metadiscorso"...

P. S. Quanto a Eno, il suo influsso sulla new wave italiana è stato certo salutare. Ascoltate il recentissimo "Come il vetro" di Garbo. Poesia nel senso più alto.

http://www.myspace.com/regarbo


La radice di Lorenzo Carlucci
2009-01-28 22:42:55|di lorenzo

caro Raimondo, grazie per la spiegazione. non do molto peso a quel che io penso di ciò che scrivo, ma mi ritrovo con piacere in ciò che dici tu: i "dilemmi" sono affrontati "prima" del testo. io vedo ogni espressione artistica come una proposta soluzione (si dice "soluzione espressiva", no?). e sì, una soluzione che si possa adattare anche a problemi altrui (come le carte "oblique" di Eno), e al limite anche ad altri problemi (e per questo va bene che il problema che precede il testo sia tolto, risulti a volte "inaccessibile", come indichi tu).

ciao,
Lorenzo


La radice di Lorenzo Carlucci
2009-01-27 10:32:33|di Raimondo

Le "oblique strategies" sono una serie di carte, ognuna contenente un’indicazione (sotto forma di breve frase) per affrontare un dilemma o un momento di "stallo", nell’atto "creativo" così come nella vita.
Per esempio (sono in inglese):

- Define an area as ’safe’ and use it as an anchor
- Work at a different speed
- Honor thy error as a hidden intention
- Humanize something free of error
- Not building a wall but making a brick

Si può dunque pescare a caso una carta in un momento di necessità. Ovviamente starà a noi trovare il legame tra l’indicazione e la nostra situazione...

Mi sono venute in mente perché molte volte mi sembra che tu segua delle guide simili. Ossia mi pare tu affronti i tuoi "dilemmi" prima della scrittura, e non durante...


La radice di Lorenzo Carlucci
2009-01-26 23:56:23|di lorenzo

ciao Raimondo, non conosco le "oblique strategies" di Brian Eno. cosa sono e perché ti sono venute in mente?

lorenzo


La radice di Lorenzo Carlucci
2009-01-26 20:48:10|di Raimondo

Arduo e forse arbitrario riassumere criticamente la poetica di Carlucci in poche battute, soprattutto di fronte a due testi, come si è detto, così diversi tra loro (Carlucci est un autre). Conosco solamente uno dei due, La Comunità Assoluta. In uno dei brani di quel libro, Carlucci scrive:

"Sembra infine, all’analisi attenta, che tutto il lavoro della nostra saggezza si possa ridurre a qualcosa che saggio non è. L’attenta analisi dei fatti, che passa attraverso l’analisi della costituzione dei corpi, dei bacìni, il precario equilibrio della grazia, in un pomeriggio, ci costringe alla fine a riconoscere che non vi è, sotto il sole, né nulla di nuovo e neppure qualcosa".

Se Carlucci si manifesta già oltre l’attenta analisi, occorre probabilmente che anche il suo lettore lo sia.
Ogni autore presenta un proprio grado di sistematicità, o meglio la sua sistematicità si può individuare a livelli diversi. Quella di Carlucci mi sembra da ricercare in un ordine molto antecedente alla realizzazione/scrittura dei testi. I quali, altrove se ne era parlato, per molta parte si direbbero frutto di improvvisazione. Si potrebbe quasi dire che sono poesie auto evidenti; con una fortissima coerenza interna. Tanto che alle volte sembrano inaccessibili. Il che non è necessariamente un difetto.

Chiedo en passant a Lorenzo se conosce le "oblique strategies" formulate da Brian Eno.


La radice di Lorenzo Carlucci
2009-01-26 17:20:50|

Un bel ragazzo... Niente da eccepire a proposito,

erminia


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