Absolute Poetry 2.0
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Laura Pugno, "Il colore oro" (Le Lettere)

Presentazione a Roma, Caffè Fandango, 18 aprile

Articolo postato domenica 15 aprile 2007
da Marco Giovenale

Roma, 18 aprile 2007 ore 19:00

Caffè Fandango [Piazza di Pietra]

presentazione del libro di Laura Pugno
IL COLORE ORO
intervengono
Andrea Cortellessa, Marco Giovenale, Tommaso Ottonieri


Videoproiezioni delle foto di Elio Mazzacane
Al piano: Francesco Valori


Laura Pugno, Il colore oro
Le Lettere, Firenze 2007
Collana FuoriFormato, pp. 176

Foto di Elio Mazzacane
Prefazione di Stefano Dal Bianco
Postfazione di Marco Giovenale

Assolutamente trasparente e del tutto ermetica, la scrittura di Laura Pugno è quotidiana, descrittiva di gesti elementari, perfettamente terrena – tutta corporea infatti. E, insieme, minuziosamente astratta. Come un cerimoniale, una danza rituale, questa scrittura si colloca, al pari di tante manifestazioni di punta dell’arte d’oggi (alle quali non per caso l’autrice si mostra attentissima), nel territorio dell’installazione. Ad accomunarla alla sua parallela narrativa in prosa (ove la distinzione conservi un senso che non sia solo quello delle convenzioni editoriali), questa poesia ha una scintilla generativa, sempre, nell’immagine. Il lettore di Sleepwalking, e del nuovissimo e stupefacente Sirene, riconoscerà certi flash ossessivi, calmi e violenti, che abitano questi versi magari diversi anni prima della loro manifestazione in prosa. (Come se in quest’ultima trovassero sviluppo – proprio in senso fotografico – immagini già in nuce). Perciò questa prima organica raccolta poetica di Laura Pugno – dopo la già maturissima archeologia documentata da Tennis – ha un nucleo gravitazionale nelle partiture verbovisive, violentemente chiaroscurate, di Elio Mazzacane. Flash di una città di marmi e ombre, severa e distante; di un rito misterioso e conturbante; di una natura enigmatica, forse ostile.
Il fatto è che queste vulneranti immagini teriomorfiche, queste mutazioni orribili e seducenti, questi rituali incomprensibili e oscuramente necessarî, tutto questo paesaggio tremendamente alieno – preistorico e insieme futuribile – sentiamo che ci appartiene, senza scampo.

A.Cortellessa


Laura Pugno è nata a Roma nel 1970. Ha pubblicato Tennis, poesie con prose di Giulio Mozzi, Nuova Editoriale Magenta 2001; Sleepwalking. Tredici racconti visionari, Sironi 2002; il poemetto Descrizione del bosco è stato finalista al Premio Antonio Delfini di Modena nel 2005. È presente in molte antologie di poesia e prosa. Con la sceneggiatura tratta da Sleepwalking ha vinto il Premio Scrivere Cinema all’Autumn Film Festival di Verona 2005. Collabora alle pagine romane della «Repubblica» e al «manifesto». Il suo primo romanzo, Sirene, uscirà prossimamente da Einaudi.

8 commenti a questo articolo

Laura Pugno, "Il colore oro" (Le Lettere)
2007-04-18 15:53:09|di Marco

www.laurapugno.it


Laura Pugno, "Il colore oro" (Le Lettere)
2007-04-18 13:10:22|di lorenzo

io non posso. buying the book is an option.

lorenzo


Laura Pugno, "Il colore oro" (Le Lettere)
2007-04-18 10:53:53|

potete postare qualche testo?


Doppio Sogno con kayak
2007-04-18 01:30:07|di lorenzo carlucci

il libro di lp - di cui ho avuto la fortuna di leggere le bozze tempo fa (e sulle bozze esclusivamente mi baso per l’analisi qui sotto) - ammette almeno
due letture, che vorrei proporre al vostro giudizio.

secondo la prima lettura ci troviamo di fronte ad una proiezione di un mondo possibile e futuro, creato ed esplorato attraverso la poesia, ossia attraverso il linguaggio.
cosa questa che è propria di tutta la grande poesia: l’investigazione
linguistica di un possibile stato dell’uomo, come individuo e come umanità.
poesia e linguaggio sono in questo caso tanto il mezzo che permette la
proiezione di uno spazio esplorabile - di uno spazio nuovo, perché unico -
quanto gli strumenti dell’esplorazione. e l’esercizio di scrivere sul possibile,
è l’esercitazione della capacità del linguaggio ad adattarsi - comprendere e ordinare - lo spazio incognito: "questo è un quaderno per cacciare col falco" è il titolo che apre la raccolta.
nella sua funzione proiettiva il linguaggio poetico connota e così delimita lo spazio d’esplorazione, e tra i connotati dello spazio poetico-cognitivo proiettato da lp sono da riconoscersi i seguenti: un setting di "dopo storia" e - quasi - di "dopo cataclisma", ambientazioni prevalentemente antartiche e orientali (giapponesi sopratutto), quasi la proiezione di un futuro - non distante da quello che ci è noto da alcune opere di sf - in cui
l’umanità vive in un ambiente ostile, le strutture sociali che reggono la nostra
esistenza sono dissolte e l’uomo è messo in bilico tra la pulsione alla regressione animale e la necessità di conservazione della propria identità.

In questo senso il libro di lp vorrebbe invitare il lettore ad un viaggio di
esplorazione di un territorio del quale sono rivelati soltanto alcuni aspetti
e in cui il linguaggio è l’unica guida possibile, in modo tale che il lettore stesso si trovi sfidato ad adattare il proprio linguaggio - e per esso il proprio pensiero e la propria natura - ad ua realtà possibile ma incognita.
La sfida che questo libro si propone è dunque - secondo questa lettura - una delle più alte sfide che la poesia possa affrontare: causare simultaneamente una regressione ed un balzo nel futuro ponendo il lettore nella condizione di non avere altro appiglio, per orientarsi e per difendersi (perché molti sono i pericoli), se non il linguaggio.
In primo luogo il linguaggio offerto dal poeta, ma in secondo luogo - e più radicalmente - il linguaggio del lettore stesso.

Perché il linguaggio offerto dal poeta è ellittico, tiene il contesto in bilico tra attualità e virtualità, tra logica della descrizione e logica del sogno, vira subitaneamente dal realismo
al canto rituale, accoglie eco di culture primitive e ultramoderne, in special modo sembra ispirarsi
a culture primitive, in particolare ai canti degli sciamani eschimesi, e, all’altro estremo, prende
spunto dal linguaggio dei videogame, della realtà virtuale, finanche delle chat line e delle odierne
forme di erotismo virtuale, fondendo insieme esorcismo rituale e pratiche sadomasochistiche, feticistiche
ed orgiastiche dei nostri giorni.
Il lettore è "messo in situazione" dall’uso del "tu", che sembra rimandare - oltre che ai suoi precedenti usi nella letteratura "alta" - all’universo del gioco di ruolo, del libro-game,
del video-game. E’ con tali espedienti retorici che lp vuole proiettare il lettore nello scenario semi-ignoto del "dopo storia", e lasciarlo lì in preda a minacce continue - le violenze
subite o evitate dal "tu" del libro sono numerosissime - avendo come solo appiglio il proprio linguaggio e la capacità di questo di adattarsi all’ignoto, e come unico punto
di riferimento alcune parole-guida (quasi animali-guida, come, ancora, nell’universo sciamanico):
l’oro, l’uovo, il falco (figura del benigno e del maschile), la sirena (figura del maligno e del femminile).

L’ "oro" del libro diviene quasi l’oggetto di un culto primitivo, si fonde significativamente con "l’uovo", e sembra essere la figura di uno stato insieme originario e terminale dell’essere umano: il momento che precedette il primo atto linguistico dei nostri progenitori e il momento che seguirà il dissolvimento della nostra specie in qualcosa di nuovo e di futuro. E’ nel tentativo di afferrare
questo doppio istante che il libro sembra tendersi. Il "tu" del libro segue un percorso che è insieme in avanti e a ritroso, diventa "bambina-aidoru" nel momento in cui diventa donna, e non a caso la sezione del libro che precede la soluzione finale, il dissolvimento nell’origine e nella fine, è la "serie con kayak". "kayak" è un palindromo, e sembra essere figura di questo tentativo di riunire l’istante primigenio con l’istante risolutivo, uovo e oro, riuniti in "uovo oro". Abbiamo qui il segno più chiaro del fatto che l’autore vuole proporci un percorso di "educazione" ossia un percorso iniziatico: "kayak è una parola", "ora scrivi/la parola kayak perfettamente,/[...] con la neve, si scioglierà come neve". Qui anche abbiamo un chiaro indizio che l’educazione - e quasi l’esercitazione - alla quale il libro ci invita o ci costringe è tanto fisica quanto linguistica - perché l’adattarsi del linguaggio al nuovo mondo è, per l’uomo, la condizione necessaria dell’adattarsi del corpo al nuovo spazio: il palindromo
"kayak" trova il suo correlativo nel corpo femminile del "tu" che si ribalta su se stesso:
"il corpo ripete il suo cerchio/la nuca e le ginocchia," formando un palindromo fisico e ovviamente erotico - la posizione della donna con le ginocchia portate alla testa.

Se questi qui sopra sono gli intenti che questo libro si è proposti, la direzione in cui quest’opera vuole guardare e farci guardare, resta ora da giudicare l’effettiva riuscita dell’operazione. A tale proposito mi sembra di poter affermare che il lavoro di lp si sbilancia eccessivamente nella connotazione della "dimensione ignota" che il poeta vuole esplorare e far esplorare al lettore che semba spesso far scivolare il "quadro" o i "quadri" in pure atmosfere da sf, da video-game, o da "histoire d’O", quasi che il poeta
cadesse nella trappola delicatissima che sta tentando d’approntare, e subisse eccessivamente il fascino
delle atmosfere evocate. Se ciò è vero, è a rischio l’intento "educativo" del libro ("questo è un quaderno
per cacciare col falco") in quanto l’eccessiva connotazione dell’ambiente nel quale questa "educazione"
dovrebbe avvenire ha come effetto un disinnescamento dello spaesamento, del denudamento del lettore, quando il gioco di elementi che compongono lo "spazio ignoto" si fa troppo evidente e troppo "leggibile".
La riconoscibilità degli elementi di primitivismo, di sf, di realtà virtuale, di sm, aiutata dalla loro ricorrenza ossessiva nel testo (di questo aspetto ossessivo si parlerà qui appresso), rischiano
non di rado di causare un disinnescamento del pericoloso e alto gioco che - come abbiamo ipotizzato -
l’autore s’è proposto, facendo scendere il livello di azione del testo da quello di sfida profonda
alle possibilità del linguaggio a quello di "messa in scena" di una realtà fittizia. E come da ogni
realtà fittizia, un qualunque lettore può difendersi con estrema facilità, escludendosi dal gioco e
contemplandolo come mera fantasmagoria.

Una debolezza che abbiamo creduto di riconoscere qui sopra nel lavoro di lp ci
apre la via ad una seconda lettura di questo lavoro. Una lettura che potrebbe dirsi "psicoanalitica" se
chi scrive avesse la competenza necessaria per renderla effettivamente tale.
Secondo questa lettura, il testo è il frutto - personalissimo - di un lavoro sul rimosso dell’io
poetico (quanto questo possa coincidere con l’autore è fuori discussione).
In quest’ottica le ripetizioni e le ricorrenze, la "parola oro", che, secondo la prima lettura venivano letta
in chiave sciamanica rituale o anche metaforica, vengono qui lette in chiave ossessiva. Ripetizione come
linguaggio del rimosso. Ripetizione ossessiva come segno del rimosso, come linguaggio del trauma.
Da questo indizio mi sembra possibile rileggere il testo tutto come una vera e propria narrazione delle
circostanze di un trauma originario - e rimosso - dell’io poetico. In quest’ottica anche, l’uso del "tu",
piuttosto che essere un espediente retorico destinato ad agire sul lettore, andrebbe letto come un tipico segno
di un tentativo di oggettivazione dell’io, ossia come un tipico espediente di "distanziamento" e di difesa
in una ricostruzione schizofrenica di un evento traumatico.
Sembra allora possibile leggere, nei continui rimandi a pratiche erotiche e orgiastiche, nelle continue scene
di seduzione e di violenza, una narrazione distorta di vicende che possono coerentemente svolgersi nel mondo quale lo
conosciamo, ma che vengono proiettate in un mondo monco e distorto - mitologizzato - per un meccanismo
difensivo dell’io poetico - ancora, un meccanismo tipico di un approccio al rimosso traumatico.
Come la bambina violentata può identificare e nominare - anche in età adulta - il proprio violentatore
col nome di una bestia o di un personaggio favoloso, e conservare nel profondo della propria psiche e dunque
del proprio linguaggio distorsioni fantastiche, o ancora ad esse ricorrere per rielaborare il trauma,
l’io poetico di lp ricorre ad un linguaggio sostitutivo per affrontare la ricostruzione - ed ogni ricostruzione
è un tentativo di giustificazione - di un trauma pregresso.

Un trauma che sembra essere legato ad una maternità legata e ad una forma di violenza sessuale,
forse violenza di gruppo o semplicemente orgia rituale: "il laccio ti lega i polsi/allo schermo,",
"tra uomini dalla pelle dorata/leggi le uova,"
"viene il capo delle nostre forze//siamo statue bellissime/ci toccherà con la mano", "ti prenderanno per le
spalle/sedendo sul bordo del letto".

Nelle ultime sezioni del lavoro il centro traumatico diviene più chiaro, tanto che sembra quasi di poter leggere
una parabola che va da una violenza sessuale ad una maternità negata o interrotta.
In "è morbida,/è dorata,/porta il nome di una bambina,/è una cosa come riso o pasta di pane:/la tua statua,/forse la tua
statua viva" non sembra difficile riconoscere l’allusione ad un feto "una cosa come riso o pasta di pane" e ancora "carne
dolce/e carne come uovo", "scatola nera, uovo/ con dentro polpa di riccio", una figlia ("la tua statua")
la cui vita è ancora incerta "forse la tua statua viva". Una figlia minacciata e identificata con
la "bambina-aidoru" in cui il "tu" poetico si è da ultimo trasmutato: "aidoru,/il pugnale di plastica ti ferirà,".
Possibili figure del feto occorrono anche nelle sezioni di poco precedenti: "hai in tasca/sushi vivo",
"bambina, non sei fatta di carne".

Nell’oro (e nelle figure correlate del latte e del riso) e nella sua relazione privilegiata con l’uovo
va forse riconosciuta una figura dello sperma? L’oro trascolora nell’uovo senza soluzione di continuità
"oro fatto uovo", "l’uovo, il colore oro", e ancora "gelatina d’oro".
Lo stesso vale per le figure correlate del latte, riso, e sole: "ti coprono di latte e di cose bianche", "è l’uovo
adesso,/rosso che ti cola in bocca//semplicemente tutto nella lingua,/sulle tue dita", "saremo ingordi,/saremo pieni d’oro,
presto,/in gola, in bocca,".
Assistiamo ad un trascoloramento insensibile di una cosa nell’altra, seguendo la parabola che va dal seme
all’uovo fecondato e dunque al feto, alla materia/non materia del feto, fino al trascoloramento - e annullamento -
finale nel sole e poi nel puro "colore oro". Anche la "lady marmalade", la "ragazza marmellata" di una sezione
precedente può essere letta come figura fetale, in cui il "tu" protagonista del libro e il suo feto si confondono
nell’unica cosa che sono, un "nuovo corpo dall’uovo,/fatto perfetto dal mare" e che, finalmente, "si scioglierà nel mare".

Il dualismo che oppone le uova di falco alle uova di sirena ("uova di sirena e uova di falco/si mescolano nel
tuo corpo") è qui leggibile ancora non come resa simbolica di attività e passività, ma come il segno di una psiche
schizoide, che oscilla tra l’ascrivere a se stessa la causa del trauma (e dunque regredire al rango di bestia,
darsi in pasto alle sirene che "verranno a mangiare strisciando,/facendo forza sulle mani" e che "ti morderanno alla gola"
se non lascerai loro in sacrificio "latte bianco e piccante") e il fare scudo di una propria identità ricostituita
a difesa dal mondo esterno, fino a un esito in cui la vittima - del trauma - trasforma se stessa in carnefice:
"impara a scagliare il falco/imparerai a nasconderti/così, bambina-aidoru", "farai guerra,/tu-sirena,/tu con il tuo nome".
E’ da notare qui il "tu-sirena" segna la consapevole identificazione del "tu" ossia dell’io poetico
con la figura che nel libro rappresenta l’elemento maligna (non tanto la minaccia esteriore quanto la propria
femminilità), è però in questa chiusa riconciliato con l’elemento benigno - e maschile - il falco, che si impara
a scagliare. Anche da notare che si ha qui un ritrovamento del proprio nome, ed è questa un procedimento tipico -
nel soggetto traumatizzato o schizoide - della relazione con la propria identità.

Il "quaderno per cacciare col falco" sarebbe in questa seconda prospettiva una autoeducazione dell’io poetico
dell’autore a venire a patti con un trauma - immaginario o reale che sia - attraverso un percorso a ritroso
fino alla sua fase originaria, in cui "oro" e "uovo" sono tutt’uno. Un percorso di natura psicanalitica ma compiuto
attraverso la poesia, ma un esemplare percorso di risalita alla causa dell’evento traumatico.
La stessa fase originaria che nella prima lettura rappresentava una fase originaria dell’essere umano, il momento del "first
act" di produzione linguistica e il momento della dissoluzione del linguaggio in un nuovo stadio della specie.

Secondo questa lettura il lavoro di lp appare come l’espressione di un dolorosissimo ma anche personalissimo,
percorso di autoanalisi, nel quale la necessità della lingua poetica potrebbe giocare un ruolo soltanto accidentale,
come mero linguaggio del rimosso. Una tale ipotesi impoverirebbe le potenzialità letterarie del testo, in quanto
il linguaggio del rimosso non è quasi mai creatore di significazione bensì essenzialmente sostitutivo e apotropaico.
In altre parole questo livello di lettura annullerebbe o meglio disinnescherebbe il primo livello di lettura proposto qui

sopra, rendendolo piuttosto dubbiamente sovrapposto e estraneo all’intima semantica e all’intima origine del testo.
Anche in questo secondo caso dunque, ci troveremmo di fronte ad una fantasmagoria, evocata questa volta non per
sedurre il lettore, ma l’autore.

Quale tra le due letture proposte qui sopra sia la più appropriata, se siano entrambe del tutto inesatte, o se
possano conciliarsi in una unica più ampia visione che meglio renda conto della indubbiamente altissima consapevolezza letteraria di lp, non è dato a me sapere.

Lorenzo Carlucci


Laura Pugno, "Il colore oro" (Le Lettere)
2007-04-18 01:10:58|

eh? scusa puoi ripetere le ultime 1441 parole?


The Pugno’s Dream
2007-04-17 18:16:48|di Jacopo Ricciardi

The Pugno’s Dream

Questo è quello che abbiamo oggi! Ok! Questo è quello che abbiamo oggi. Noi vogliamo poesia. Sì. Ok. È chiaro che nessuno di noi si nasconde, quindi tra i trenta e i quarant’anni il poeta da’ i lavori della prima maturità… deve essere così, sennò che poeti siamo, meriteremmo allora un bell’elettroshock! Eppure ai miei occhi la poesia di oggi è così sfuggente, è come una bella bionda che in riva al mare se ne sta su una sedia a sdraio di fronte al mare in una giornata di sole e tiene in mano un bicchiere con un buon miscuglio alcolico e dopo aver bevuto un sorso si infila un dito in bocca tra le belle labbra e con l’unghia lunga e curata di smalto cerca di togliere qualcosa tra i denti… e poi scoppia a ridere…eh sì un po’ sguaiata: tirati su le mutande poesia! Non dico di sottostare alle regole della buona educazione, ma almeno di far vedere in che direzione guardi, e poi, sì, poi, mi piacerebbe anche vedere quello che stai guardando! Ecco questo voglio: quello che stai guardando, quello che è unico e diverso per ogni poeta. E non sono così ingenuo: in voi c’è la direzione, sì, in voi c’è anche esatto e squisito ciò che la vostra poesia inquadra, eh sì, ma, pensateci bene, è così soltanto perché in ogni cosa che esiste c’è un obbiettivo a cui si dirige, e, considerando che stiamo parlando di poesia, che è manifestazione squisita dell’uomo, essa non può nascondere ma rivelare – o, state attenti, semplicemente, essere leggibile! Allora di cosa mi lamento? Non ci arrivate? Che quella donna sdraiata in riva al mare tiene gli occhi aperti e si accorge solo delle cose che le stanno intorno. Che c’è di male nel tenere gli occhi fissi su una cosa o su un angolo di mondo? Che non è lì che sta la poesia, scaltra com’è! La poesia sta chiusa nella mente del poeta e lì rimane, e ti impone di chiudere gli occhi e di raccogliere il mondo che c’è intorno a te. E, miei cari poeti, voi chiudete un occhio e lasciate l’altro aperto. Come mai? Non voglio leggere più dei testi di cui anche un solo livello sia prostituito all’ovvietà del mondo, perché niente è ovvio in poesia! La mente ricrea il mondo, in poesia, non lo filtra. E voi, come molluschi nel mare, filtrate, oh come filtrate, a più non posso, per di più incrostati allo scoglio che vi siete costruiti. Il poeta non costruisce la poesia, questa se è tale si forma, da sé, e non pensate alla magia, riflettete piuttosto alla profonda esistenza delle cose che vi circondano che non avete ancora raggiunto, perché è in profondità che le cose parlano con una sola voce…e quella voce è quella del poeta, non altre. Delle cose che colpiscono il vostro occhio, la poesia non se ne fa niente, dei fatti accaduti nel vostro passato pure, sono apparsi per svanire, qualsiasi chiodo teorico che inchioda la libertà del gesto poetico nel momento in cui si crea è peccato, sacrosanto peccato per un poeta, e se il vostro verso non è fatto di una materia nuova e irripetibile come volete che la poesia riveli le particolarità della sua presenza in una realtà dentro la quale si crea, diversa da tutto il resto, e quindi unica come ogni altra cosa. Questa ultima precisazione descrive ciò che in poesia è vivo, e per finire: le parole in una poesia si impossessano di un significato che penetra la realtà – che non la segue – e trova l’uomo, la sua identità, il suo nome, altrimenti indefinibili. State attenti: la parola poetica mai si afferra alle cose rimaste in superficie al reale, perché altrimenti le sbriciolerebbe, e ne farebbe cenere: la realtà è la prostituta della poesia, non il contrario! La parole utilizzate dalla Pugno vogliono sedurre, vogliono suggestionare, ma questo linguaggio non rimane cifrato e sospeso come potrebbe sembrare a una lettura superficiale e suggestionata, ma ricadono come piombo nella descrizione di precisi fatti biografici dell’io narrante inscenando una fiction psicologica, che va contro natura – e qui intendo la natura umana. La Pugno magari si ecciterà al pensiero di aver creato un mondo contro natura, ma se la poesia nei secoli e nei millenni ci ha insegnato qualcosa è proprio che essa consiste nello svelare volta per volta un ulteriore suo segreto naturale, di essere quel segreto che sta nella realtà. Si potrebbe allora inventare che la Pugno sovverte una regola millenaria della poesia e tessere così le sue lodi. Ma noi, poeti e attenti lettori di poesia, non ci confondiamo. Ed è proprio perché la poesia è uno dei mestieri della vita, che possiede un’arte, che deve essere rispettata, non per fede morale, ma perché altrimenti non si farebbe più poesia. Come accade questo misunderstanding operativo nella nostra poetessa? La poesia non ha una psicologia, né umana né sua, perché la psicologia esiste già in natura e appartiene all’uomo in natura, quindi non può adattarsi a vivere in un altro involucro: le sue regole sono legate all’uomo e in alcun caso sono trasportabili alla poesia, e non è possibile adattarle, reinventarle, poiché l’uomo le riconosce proprio nel loro legame con l’uomo e non con la poesia. Lo stato psicologico della mente contribuisce all’apparire della poesia – è stato così in passato e sarà così in futuro – non può vivere nella finzione della mente sdoppiata dell’io poetico-narrativo. Se una natura psicologica compare in un testo pretendendo di essere un’entità psicologica naturale, diventando l’oggetto e la rivelazione della poesia, questa ricade come piombo sul duro suolo della realtà, quando invece dovrebbe penetrarlo per mostrare qualcos’altro, e invece qui altro non si vede che un’ossessione romanzata, ossia non esattamente poesia, ma piuttosto un intrattenimento futuribile. L’ossessione in poesia non può essere quella del poeta, ma quella, al limite, della poesia stessa, e non di una sua sola parte, come per esempio quella di una psicologia inscatolata, ossessivamente più di una volta, nel suo destino poetico innaturale. In breve: non può esistere a questo mondo una poesia implicita, che chiude le porte davanti al lettore e si comporta come un indovinello, perché è bene ricordarlo una risposta all’indovinello c’è sempre, e non è mai cosa elegante per la vita, poiché ha il comportamento di una trappola. In poesia invece tutto è esplicito e a ogni stadio si libera maggiormente. Tutto è brutale chiarezza, e anche l’indovinello può esistere in poesia, solo che deve essere esplicito, messo subito davanti agli occhi del lettore. Capite? Questo è il difficile della poesia: che è il nuovo, e che lo dice naturalmente davanti agli occhi del lettore, non c’è gioco, niente prestidigitatore, nessun bricolage: questa è la parola creare, quel produrre un effetto che parla di per sé staccato dalle mani dell’artefice – e una cosa non si stacca dall’artefice solo perché finita la poesia questa viaggia verso altri occhi, ma invece perché niente dell’artefice rimane in essa. La creazione è quel meccanismo che si libera dalla sua schiavitù nel momento in cui lo si aziona. Il lettore è colui che sente tirare la rete del pescatore e tira su nella propria anima quel risultato di fertile umanità. Il lettore non va mai a caccia, così come il poeta non espone la preda al colpo mortale del lettore. Anche il poeta non caccia, solo la poesia è capace di cacciare se stessa. Cosa fa il poeta? Chiude gli occhi e porta la sua mente nel mondo fino a sentirla, oggi, e nell’oggi apre il proprio futuro, nell’unico modo in cui oggi è possibile. E ora viene da porre l’ultima e più interessante domanda: se sei un poeta sarai di sicuro capace di dare la tua definizione di questo oggi che stiamo tutti vivendo; sei sicuro di saperlo fare, adesso, rispettando tutto il passato e tutto il futuro, e restando con attenzione entro quest’oggi che ci contiene, senza cedere neanche una volta, neanche per un istante, al fingerti in quel passato e in quel futuro?

La poesia è estrema lucidità, altro non è, e questi occhi riescono quasi a vederla oggi, dopo che è stata sentita tanto a lungo, nel passato. L’oggi lucidamente si proietta nel futuro, senza invaderlo, e su di esso non verrebbe mai traghettata una psicologia, eccessivamente legata al proprio presente per costituzione, e resta ferma, e per forza della poesia che la contiene diventa morta. Concludo: una poesia, se è tale, non nega nessuna altra poesia, e il poeta se è tale non è contro nessun altro poeta, e quando invece questo accade una tristezza immensa abita questo mondo e le nostre anime.


Laura Pugno, "Il colore oro" (Le Lettere)
2007-04-15 17:58:45|di Marco

( grazie a Lello e Adriano per aver corretto il post :)


Laura Pugno, "Il colore oro" (Le Lettere)
2007-04-15 16:32:55|di Marco

corrige recentissimo: l’incontro non è alle 19:30 MA alle ore 19:00, come da comunicato Fandango

 


http://slowforward.wordpress.com/20...

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