In un cantiere si progetta e si realizza. In un cantiere di poesia è dunque normale che si progettino e realizzino libri, meglio se si tratta di libri tanto preziosi, quanto di nicchia, quei testi che l’editoria mainstream snobba, ma da cui dipende poi la qualità della letteratura che scriviamo e che leggiamo.
Dopo la pubblicazione, nel 2005, all’interno del catalogo della manifestazione, dell’ Album di poesia italiana – Ma il cielo è sempre più blu , che riuniva decine tra i migliori autori italiani del momento, quest’anno Absolute Poetry alza la posta della sua scommessa editoriale e, in collaborazione con l’editore NO Reply e il Dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici dell’Università di Trento, realizza l’edizione dell’antologia digitale completa di una delle riviste di poesia più importanti dell’ultimo trentennio, ma i cui numeri sono ormai praticamente introvabili per studiosi ed appassionati: il Baldus .
La rivista Baldus ha iniziato le sue pubblicazioni nel settembre del 1990, per iniziativa di una redazione formata da Mariano Bàino, Biagio Cepollaro e Lello Voce, creando vasta eco di dibattiti e polemiche spesso aspri, ma che hanno influenzato in modo visibile le vicende letterarie degli anni 90 in Italia.
Le pubblicazioni sono terminate nel dicembre 1996 dopo 10 numeri. Va tenuto presente, comunque che la redazione era attiva già dal 1989, qualche tempo prima della formazione del Gruppo 93 e che essa aveva preparato un undicesimo numero che avrebbe dovuto apparire nel 1997 e che invece non vedrà mai la luce.
Art Director di Baldus sono stati Gianni Sassi e - dopo la morte dell’indimenticabile manager culturale milanese - Andrea Pedrazzini. Pedrazzini ha inoltre personalmente illustrato la rivista a partire dal n. 3-4, anno IV, con una splendida serie di disegni che costituisce una delle attrazioni principali di questa riedizione.
La rivista è stata pubblicata da 3 editori, nell’ordine: Pellicani, Nuova Intrapresa, Edimedia.
Della redazione di Baldus , oltre ai fondatori, hanno poi fatto parte (in ordine di apparizione): Massimo Castoldi, Francesco Forlani, Antonio Paghi, Gian Paolo Renello, Massimo Rizzante, Gian Mario Villalta, Andrea Inglese.
Il cofanetto, a cura di Massimo Rizzante e Lello Voce, comprende, oltre a un libretto cartaceo che ospita la Prefazione di Massimo Rizzante e un saggio di Adriano Padua dedicato alla ‘ricezione’ del Baldus, un CD Rom in cui trovano posto un percorso antologico scelto dai curatori, la raccolta completa in formato .doc/rtf di tutti i numeri della rivista e la loro riproduzione anastatica in immagini PDF.
Il cofanetto, immediatamente dopo il Festival, sarà distribuito nelle maggiori librerie di tutta Italia.
Qui di seguito il primo paragrafo dell’Introduzione di Massimo Rizzante -
Marginali incompatibili moderni
Adesso che sono qui, dieci anni dopo, in questo lugubre inverno padano, fitto di nebbie e privo di sole, a sfogliare i dieci numeri bianchi e neri, punteggiati a volte di rosso, verde e blu, di Baldus (1990 – 1996), l’ultima rivista letteraria italiana del XX secolo, sono preso da nostalgia. Provo la stessa sensazione vissuta nella capitale della luce, Lisbona, un’estate di qualche anno fa. Anche allora sfogliavo alcune riviste. Appartenevano alle prime decadi del XX secolo: «A Renascença», «Eh Real», «Orpheu», «Centauro», «Exilio», «Contemporanea», «Athena», «Presença». Mi interessavo soprattutto a quelle in cui Fernando Pessoa o un suo eteronimo in incognito, Alvaro de Campos o forse Coelho Pacheco, nell’indifferenza assoluta della società lisboeta, portoghese ed europea, pubblicava per la prima volta poesie, programmi di estetica o proclami di rivolta.
Baldus, sebbene molto distante dalle posizioni dell’avanguardia «paulista» di «Orpheu» così come dal «modernismo» di «Presença», è stato un loro figlio o nipote. Ha vissuto, al suo tramonto, quella «tradizione della rottura» che era nata agli inizi del secolo passato, e ha condiviso, inoltre, un altro elemento essenziale: la concezione della rivista come luogo privilegiato in cui un cerchio di artisti può trovare, al di là delle differenze geografiche e storiche e delle diverse radici politiche, la possibilità di accedere a una «novità comune».
I creatori di riviste, così come i loro redattori, per quanto abbiano abitato in lontane province, sono sempre stati cosmopoliti. Hanno cercato il dialogo con il mondo. Il dialogo ha bisogno di luoghi rappresentativi e, nello stesso tempo di élites in grado di esprimere una funzione mediatrice tra le culture. Nel corso della storia dell’ultimo secolo questo compito è stato svolto dalla rivista, sia quando essa si è presentata nelle forme del manifesto sia quando ha voluto esprimere i valori di una tradizione inesplorata sia, infine, quando è stata in grado di coniugare la critica del presente con una visione eretica del passato.
Non c’è nulla di più istruttivo che sfogliare alcune riviste del XX secolo. Ci si rende conto di come, grazie a esse, le correnti del pensiero, le trasformazioni sociali, gli anatemi dell’arte si sono diffusi e imposti. A Lisbona, mi domandavo: perché dunque la rivista, e in particolare la rivista letteraria, è snobbata da tutti? Ma ammettiamo che sia sempre andata in questo modo. Perché oggi perfino la marginalità dell’arte ha perduto la sua aura? Perché l’incompatibilità dell’arte moderna nei confronti della modernità, ovvero il suo essere paradossalmente antimoderna, critica nei confronti del «qui e ora», sempre protesa utopicamente al di là dello specchio deformante del presente, ha perduto forza e intensità? In fondo, mi dicevo, negli ultimi due secoli l’azione di minoranze marginali e incompatibili con la maggioranza e con il proprio tempo hanno rappresentato il soffio vitale della letteratura. La scomparsa delle minoranze e delle loro manifestazioni – le riviste letterarie – segna forse la resa incondizionata dell’arte al caos delle forme e al giudizio di una supposta unanime umanità, ovvero la fine di un sogno o di un incubo individuale, l’opera, e l’inizio del paradiso terrestre di tutti, il best-seller?
Sono convinto che se una grande opera può essere prodotta in apparente assenza di profondi legami sociali, una rivista letteraria, concepita come laboratorio di competenze e parlamento di idee non può né nascere né crescere se privata di un humus di esperienze storiche e sociali, se non rappresenta interessi e tendenze di persone, e se soprattutto queste ultime non accettano fino in fondo la sua funzione mediatrice tra le aspirazioni individuali e le immense possibilità di aprirsi a un sapere comune. Riassumerei, semplificando, ma non troppo in questo modo: senza riviste non c’è società, e senza riviste letterarie, se possono ancora esistere grandi opere, non c’è letteratura, ovvero non c’è una palestra del giudizio critico e perciò non c’è gerarchia fra le opere. Di conseguenza non ci sono vere élites e perciò neppure un vero dialogo democratico. E ancora: senza riviste e in assenza di gerarchie, le opere d’arte e le opere letterarie divengono ipso facto parte del loro mondo: perdono di modernità, di incompatibilità, di marginalità. Smettono di essere oggetti parzialmente refrattari al loro tempo. Si trasformano in fossili per esegeti o in curiosità per turisti del sapere. Ricordo che vicino all’albergo dove alloggiavo, sulla terrazza di uno dei caffè letterari più celebri della Lisbona, c’è una statua di Fernando Pessoa. Il poeta, seduto, le gambe accavallate, sembra attendere uno dei suoi amici immaginari. Al suo fianco lo scultore ha collocato una sedia vuota, regolarmente occupata da un turista che sorride a un fotografo: un parente o un amico. Durante il mio non lungo soggiorno ho visto due, tre persone alla volta prendere posto su quella sedia, perfino un’intera famiglia: la mamma seduta con il proprio bebé di tre mesi fra le braccia e tre bambini un po’ più grandicelli che avvinghiati con tutte le loro forze al mito letterario formavano un commovente grappolo umano. Papà fotografava.
Ecco, mi sono detto, le due forze che cospirano contro l’arte: l’esegesi che trasforma ogni opera in monumento e il turismo che trasforma ogni monumento in parco per l’infanzia. L’arte muore per troppa ammirazione, ma non sopravvive neppure a un eccesso di innocenza. Quasi tutto ciò che Pessoa ha pubblicato da vivo si trova in rivista («A Renascença», «Eh Real», «Orpheu», «Centauro», «Exilio», «Contemporanea», «Athena», «Presença»), venerato dagli esegeti, dimenticato dai turisti. La sua arte non può sopravvivere se non in quanto décor.
Nel corso degli anni Novanta del secolo scorso, in piena trasformazione planetaria dell’opera d’arte in oggetto decorativo (in argomento da talk-show, per riprendere il titolo di un saggio di Biagio Cepollaro; in una forma di hobby, per riprendere uno scritto di Lello Voce), i poeti pensanti di Baldus hanno pronunciato un fermo «No» a diventarne gli agenti pubblicitari o gli emissari ecumenici.
3 commenti a questo articolo
Le edizioni del Festival: la raccolta completa di Baldus
2007-02-18 12:00:30|di Lello Voce
Ciao Matteo,
grazie dei complimenti, è stato un lavoraccio, ma a noi i risultati sembrano eccellenti.
non so bene ancora del prezzo, ma sarà comunque non superiore ai 20 euro, e comunque è un prodotto copyleft, come sempre.
Colgo l’occasione per aggiungere i miei ringraziamaenti a SparaJurij lab. che hanno voluto ospitare Baldus nella loro collana MALEDIZIONI.
ciauz
lello
Le edizioni del Festival: la raccolta completa di Baldus
2007-02-18 09:56:17|
chapeau ! complimenti agli architetti del cantiere :)
sapete più o meno già a che prezzo lo farete uscire ?
matteo fantuzzi.
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Le edizioni del Festival: la raccolta completa di Baldus
2007-02-18 18:22:23|
evviva: è un ottimo esempio di come rendere reperibili materiali che oggi sarebbero difficilissimi da reperire in maniera completa, metterli a disposizione in cartaceo, avere anche un’occasione per ragionare sopra gli stessi e grazie all’open source rendere tutto questo facilmente disponibile a chiunque voglia, insomma davvero alla portata di tutti. è un ottimo esempio anche di come rendere possibile una sinergia tra carta e nuovi media, insomma: fosse sempre così ! speriamo sia sempre più così nel futuro per tante altre importanti riviste italiane di letteratura.
ri-chapeau. :)
matteo.