Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Separarsi oggi significa innanzitutto due cose. La prima: prendere in affitto alla stessa cifra con cui hai vissuto fin qui in un appartamento di almeno quattro stanze, un monolocale che non è nemmeno la metà. La seconda è convertirsi alla religione dell’ordine, e rassegnarsi ad applicare qualche sano principio alla disposizione della tua roba nell’armadio. Io ho iniziato cosí, raggruppando la roba in diversi mucchietti: mucchietto bianco, mucchietto di mezzo e mucchietto pesante. In alto hanno preso posto in pianta stabile le cose di colore chiaro come il pigiama, certe camicie e i sacchetti di plastica senza scritte. Nei ripiani di mezzo la lana (maglioni, essenzialmente) e i cartocci rigidi dei jeans. Giú gli scuri e i pesanti: gli stivali, le cinte, le scatole di cartone con la roba estiva. Sopra l’armadio, lo scheletro ripiegato dello stendipanni, e incastrato fra l’armadio e il muro, il catino blu del bucato con il bugliolo delle mollette. Il tappeto di macramè che mi spettava di diritto e per cui mi sono tanto battuta all’indomani della consensuale alla fine l’ho dato alla Croce rossa perché non ci stava per la lunghezza (il locale sono venti metri quadrati in tutto, bagno compreso). La coperta estiva la tengo appesa a mo’ di arazzo fin quando il piumoncino non è da insaccare. Le stoviglie nella lavastoviglie non c’è neanche bisogno di toglierle e metterle: stanno di casa lí, e quando faccio un lavaggio si lava tutto quel che c’è. Unica eccezione: le posate, che invece stanno nel cassetto insieme alle tovagliette all’americana (adagiate sotto ed estraibili nelle occasioni speciali), al cavatappi (uno), all’apriscatole (uno) e allo schiaccianoci (uno). Di cavatappi ce n’era anche un altro a forma di chitarra che faceva anche da apriscatole, ma quello l’ho buttato durante una delle prime riorganizzazioni del cassetto insieme alla vecchia fodera di carta, a un cucchiaino da caffè ritorto e a tutti i coltelli che non tagliavano (nel numero di sette). Buttate anche le vecchie presine di panno sbruciacchiate e in eccedenza, nonostante la loro tirannica forma a ranocchio; buttate le tazzine di smalto sbreccate nonostante il colore che si abbinava alla cucina; buttato infine, dopo una breve considerazione sul rapporto utilità/ingombro, lo schiacciapatate di mia madre, che lei stessa nella sua vita avrà usato sí e no quattro volte. Quanto alle pentole d’acciaio, all’oliera, alle spezie, al panno carta e a tutte le altre amenità non facilmente raggruppabili in un’unica classe, quanto alla loro sistemazione all’interno dello stipo è presto detto: dopo averle disposte su due file, avuta cura di tenere davanti quelle d’uso piú comune, ho proceduto semplicemente a sbarazzarmi di quelle di dietro. A quel punto lo spazio d’avanzo non era molto comodo da utilizzare, lo ammetto, ma l’esperienza mi ha insegnato che l’accresciuta disponibilità di spazio, anche solo mentale, è già un valore di per sé. Sarà puerile, eppure per me è rassicurante sapere che, accada quel che accada, dietro all’ampolla dell’olio e al rotolone non c’è piú niente, assolutamente. Perché è questo il punto, ragazze: per vivere in uno spazio ordinato occorre avere il coraggio di tutta una serie di gesti puliti, e un gesto pulito è innanzitutto qualcosa che non disperde inutilmente energie, che non si lascia sedurre né dal fascino di ciò che è stato, né dalla vertigine di ciò che potrebbe essere. Per la donna moderna, che vive da sola nel suo appartamento di cinque metri per quattro, tutto ciò che non riguarda strettamente lei stessa e il suo presente è un lusso, una carabattola inutile, di piú: un nemico da stroncare alle prime avvisaglie di attecchimento. Come un’infestante maligna. A che scopo tenere un apposito scrigno per le lettere incartapecorite di un ex fidanzato che semplicemente oggi non esiste? A che scopo conservare nell’armadio i propri tubini di ragazza, taglia 40-42, se non per patire le pene dell’inferno? Pensate a quanto sono infelici le donne che conservano persino le ciocche di quando si tagliarono piú corti i capelli, o le trecce. Che nel baule della casa materna hanno ancora da qualche parte, in un sacchetto segreto, i dentini di latte. E quanto piú infelici sono quelle che, di tanto in tanto, quei sacchetti misteriosi tornano ad aprirli, nell’intimità sterminata di un pomeriggio domenicale! Bigiotteria da adolescenti; relitti dell’infanzia trasformati in feticci nel transito sanguinoso verso l’età adulta. Bamboline, somarelli di coccio. Flaconi di profumo inacidito, pizzi sfibrati. Miniature di rosari in madreperla che finiranno qui la loro staffetta generazionale. No, cara Giovanna di Melzo (Mi), non farmi pensare a queste cose…
Lettere dalle ragazze
2007-03-01 10:26:36|di Luigi
Benvenuta, Silvia! (dopo Maria, finally un’altra brava poetessa si absolutizza..)