Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Però hai ragione, mia cara Valentina di Camposampiero (Pd), c’è una cosa su cui non sono ancora riuscita a intervenire: i collant. Non riesco ad assegnarli a un cassetto preciso, né a mantenerli in piega dentro alla scatola, né a liberarmene quando si smagliano. Prolificano sempre in piú nidiate aggrovigliate, su cui l’unghia non manca mai di impuntare qualche filo. Credo dipenda dal fatto che, a differenza di tutte le altre cose di cui ci riempiamo il guardaroba, i collant continuano a essere un genere di lusso. Voglio dire che a meno di un tanto non riesci mai a trovarli, nemmeno al mercato. Cosí diventano pericolosi e, soprattutto, si depositano. Si annidano nei recessi delle scarpe, attecchiscono ai margini di un cassetto, germogliano da una stagione all’altra nel cesto della biancheria. Lugubri propaggini di nylon si rinvengono talvolta perfino negli anfratti cavernosi del divano-letto. Dilagano con un falso tono fatuo nelle conversazioni con le amiche. Si espandono, per quanto mi riguarda, addirittura nei sogni, facendo da sfondo a certi paessaggi oscuri su cui grava la presenza indefinita di qualcosa indefinitamente collegata alla parola “polpo”. Collant di tutte le nuance, ma non carnicino, che è il tipo che ha sempre portato mia madre. Non carnicino, e neanche “sable”, “daim” o “vison”, che rischiano di creare delle ambiguità, specie nel caso di un velato “effetto nudo”. È importante infatti, a mio modo di vedere, che il collant sia sempre facilmente riconoscibile e, per cosí dire, dichiarato sulla gamba, in modo da poterlo fronteggiare, se non altro, ad armi pari.
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