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MIMMO CANGIANO: Strategie di differenza (il poema disumano di L. Nacci)

Articolo postato martedì 24 aprile 2007
da Luigi Nacci

La disseminazione del senso messa in atto da Nacci nel poema disumano, giocata oltre che su un livello di segni nella moltiplicazione delle strutture ricettive mediante arti grafiche (i disegni di Ugo Pierri) e acustiche, è tesa alla costruzione di una strategia (in primo luogo di lettura, ma vedremo come la lettura sottintenda un atto etico) volta a mettere in luce scarti, fratture e aporie della “chiusa” condizione occidentale.
La scelta neometrica, ottave di endecasillabi, se da un lato segnala di un recupero della tradizione da intendersi non solo in chiave ironica, dall’altro riferisce di un conformarsi ad una condizione cognitiva prima ancora che sociale. La forma chiusa non fa riferimento solo ad un modo di essere al mondo, ma anche ad un modo di conoscere il mondo attraverso la simbolizzazione dello stesso. Simulacro di un essere assente la forma chiusa si caratterizza allora come condizione in primo luogo di memoria, come ripetizione e blocco identificabili nei termini di “malattia”: se il passaggio dall’Io al Noi si segnala nell’epigrafe come possibilità liberatoria, questa, restando per ora solo al testo, si troverà ad essere rovesciata sin dal termine di apertura dell’opera, quell’Affastellati che subito ci introduce nella degradazione di una condizione comica e espressionistica amplificata nel modus operandi di un’arbitraria catalogazione. Nacci cataloga uomini, cose, parole, lettere, l’Io di chi scrive, postmodernamente impossibilitato ad espellere da sé la materia esterna, può mantenere la propria (incertissima) sostanzialità solo al prezzo di un pronome di sfida (il Noi del poema non fa infatti riferimento a “tutti”). Questa “comunità” parla, ma parla per autoriconoscersi fittiziamente, ritrova se stessa nella reificazione e da ciò trae il senso di sé come continuità, si “sa”, ma si “sa” come ripetizione, non può che autoriconoscersi nei termini di una sconfitta.
La prospettiva di uno spazio di azione (ripeto, restando per ora solo al testo) non può che caratterizzarsi come “riserva” continuamente minacciata dall’esterno, sotto assedio. La frantumazione dei soggetti e della stessa esperienza, impossibilitata in questa sarcastica, terribilmente sarcastica, condizione apollinea, si ritrova nella condizione di un cadavere che fa riferimento all’Altro. Pur pienamente realizzata la condizione di dolore, del Corpo di dolore, invocata da Artaud, la solidarietà con l’Altro è per ora solo un’alleanza fra poveri, priva di quegli strumenti necessari per impostare una critica (una lotta) alla “maggioranza” in quanto si presta ancora al controllo di questa proprio in virtù della forma (in questo caso forma poetica) della sua derelitta e inutile protesta. Fino al paradosso: la stessa pietà può essere la causa di una sconfitta (l’io piango sostituito all’io canto ariostesco).
Amore e morte restano due temi dominanti, oscenamente veicolati sulle pagine contribuiscono al tema-ritmo titanico e ripetitivo (secondo quanto detto prima). La marcescenza, lungi dal significare novità o sorpresa, attraversa la storia nella sua ripetitività, è anzi la stessa ripetitività, concezione unidimensionale che si oppone, marcusianamente, alla possibilità di una trascendenza critica. Vi è una razionalità tecnologica che funziona secondo criteri di efficienza e precisione e nello stesso tempo è separata da tutto ciò che la lega ai bisogni umani e ai desideri individuali, interamente adattata ai bisogni di un apparato di dominio onnicomprensivo, come la forma. La società industriale avanzata (volto assente del poema) contrassegnata dalla razionalità tecnologica, funziona come un sistema che predetermina tutto a priori, anche i rapporti sociali e i modelli di comportamento, salda economia, politica e cultura e non permette la formazione di alternative ad esso. Le stesse stanze del poema sono così avviluppate da una pulsione di morte.
Siamo rimasti fin qui con Eraclito, ma, come dicevamo in apertura, il lavoro di Nacci non si limita al solo testo e nell’ascolto del CD che lo accompagna è dato di intravedere la maschera di Democrito.
Le “devianze”, letterarie, dialettali, ecc., già presenti nel testo, raggiungono nello spazio dell’ascolto il loro apogeo. La pluralità di voci, pronunce, errori, contaminazioni diventano spazio di azione e di apertura, la differenza si configura allora come atto politico che, nello spazio deviante del gioco, permette la formazione del dissenso. L’apollineo si ritrova sfaldato dall’interno. Decadono le stesse coppie oppositive che accompagnano la semplice lettura, il “noi” si apre possibilità di azione modificando le regole del suo gioco linguistico e, ponendosi oltre una teoretica dell’essere, può evitare i rischi dell’assimilazione.
Nacci attua la decostruzione del suo stesso testo, lo parodia, ne mette in crisi pretese, potere e autorità. L’orchestrazione, credo anche casuale, delle voci, si significa allora come tentativo di porsi al di fuori dei modi di costruzione e di azione dell’ordine.
La pluralità del suono si riflette dunque sullo scritto, pone su di esso un’epochè e ne attua una ricontestualizzazione infinita, non più ripetitiva ma cangiante, eccedente. La voce dunque, sciolta dal mito della sua “pienezza”, permette alla scrittura di creare differenza. Infranta la totalità del significato si infrange anche la totalità del libro, l’accidentale fa il suo ingresso, esclude gerarchie tra i significanti in una “rete pluridimensionale” di rimandi e, nell’offrire punti di vista altri, apre lo spazio di una ricostruzione.

***

Nota bio di Mimmo Cangiano: qui.

Sul poema disumano altro è stato scritto su AP: qui da Lello Voce e qui da Christian Sinicco.

15 commenti a questo articolo

MIMMO CANGIANO: Strategie di differenza (il poema disumano di L. Nacci)
2007-04-26 02:50:45|di Christian Sinicco

Cangiano, non ho parlato di disgregazione. Un uomo amputato non è disgregato. Vive.

Sulla simbolizzazione: credo di aver specificato parlando di thanatos ed eros, nel "non solo" di un processo di sublimazione, piuttosto grazie all’utilizzo formativo prima di una scelta fonica, come strumento operativo sulle immagini; dopo queste operazioni, Nacci ha scelto solo alcune sequenze ...perchè? questo è il primo indizio.

Non voglio confrontare il faldone iniziale con quello finale (malauguratamente, ho materiali di prova in più); dico ciò esclusivamente per sottolineare che il processo di elaborazione dei testi del poema non coicide con quello della scelta dei testi, non è lo stesso processo. Se vogliamo parlare di processi, non siamo solamente nel campo della simbolizzazione, poiché il mondo, la realtà c’è già (da una parte) ed è critica e paradossale, ma non è esattamente il mondo dell’opera; c’è un opera formata, e in quanto tale "integrabile" nel mondo (finché un diluvio universale non cancellerà tutte le copie del libro); l’opera formata non specifica, in questo caso, il processo cognitivo a cui tu rimandi - specifica un mondo, paradossale, dove noi cerchiamo una suggestione cognitiva perchè desiderosi di capire il mondo.

Se ci fosse di mezzo "solo" un processo cognitivo che dà senso compiuto alla realtà attraverso un’opera, e poi tu arrivi fin sull’uscio di questa casa e trovi che questo "intero" che significa, l’opera, è pure paradossale e mimetizza il mondo, beh, forse sto processo avrebbe potuto mordere subito la preda, invece di farsi cane che si morde la coda - questo è l’indizio che l’elaborazione dell’opera è più sottile, e rappresenta la criticità di un mondo, di una realtà, non necessariamente la nostra...il mondo a cui è arrivato Nacci noi lo linkiamo alla nostra elaborazione.

Anch’io leggendo il libro edito da Cierre Grafica, potevo pensare nel mio articolo ad una suggestione come quella dell’elaborazione della realtà in cui viviamo, ma ho sbagliato. Ho capito che non è così, ed in questo sta l’abilità di Nacci.

Mi invento cosa può aver pensato/fatto Nacci...ovviamente mi può smentire in ogni momento:

"Il mondo è (guerre, etc). Voglio un mondo opera. Il mondo che vivo, che osservo, a cui attribuisco senso, non può essere simile al mondo-opera, quindi gioco sul fuorigioco tra l’uno e l’altro: sono simili, ma non sono simili...come farò? Da un lato ho le immagini (non necessariamente vincolate al mondo osservato, ma anche di invenzione, di favola; un mondo, altro, immaginato), dall’altro lato ho i suoni. Mixaggio. Testo 1. Mixaggio. Testo 2. Mixaggio...Testo n. C’è un mondo ora, ma è ancora troppo mio, frutto della mia elaborazione; ci sono tutte le mie scelte; è troppo simile al mondo che ho di fronte (c’è il processo di cui parli, Cangiano, ancora), non è critico, è la mia elaborazione critica. Voglio un mondo che non opera le mie scelte, voglio un mondo per me disumano, e dunque dis-umano. Fase 2... Scelgo i testi dissimili, affinché non possano essere osservate le mie invarianze, le attribuzioni di senso che specificano quel mondo, che lo renderebbero sensato e non paradossale, a tratti, quindi non mondo, ma solo mia elaborazione. Faccio questo poiché le mie invarianze sono quelle grazie a cui io conosco, con tutta probabilità, ma non rappresentano la criticità o un mondo critico. In questo modo, l’opera formata, è essa stessa umana e dis-umana.

Forse sul termine decentramento, c’è qualche possibilità di intesa, ma in presenza dell’opera, io non sono decentrato rispetto la realtà, sono in una realtà integrata, e non più in presenza dell’opera, sono decentrato dall’opera: quindi l’opera propone un decentramento, ma attento alle tue suggestioni culturali, poiché sei tu che hai linkato essa, dopo averla visitata, al mondo, e non il contrario.

Qui sta la sottigliezza: Nacci vuole un’opera integrata, che in nostra presenza entri nel mondo, non un’opera che integri il mondo, o lo ospiti come elaborazione sensata. Nacci gioca in attacco, e conosce bene il fuorigioco.


MIMMO CANGIANO: Strategie di differenza (il poema disumano di L. Nacci)
2007-04-25 23:49:32|di lorenzo

ti ringrazio ma non ho capito la risposta.

lorenzo


MIMMO CANGIANO: Strategie di differenza (il poema disumano di L. Nacci)
2007-04-25 22:04:31|di Mimmo Cangiano

Sinicco, sono assolutamente d’accordo con la tua chiusa ("lo sguardo fisso ce l’hai sulla criticità in quanto rappresentata e non in quanto criticata"), ma mi sembra di aver detto proprio questo, semplificando: il cd audio modifica (critica) il testo scritto.
Ora, proprio in virtù di questa "criticità rappresentata", mi sembra un po’ troppo semplice concludere che le voci sono "disgregate" perchè l’uomo, come la scrittura, è saltato sulla mina. Frantumarsi non è semplicemente l’esperienza di una sconfitta, può essere anche l’esperienza di un decentramento rispetto al nucleo di potere che ha generato la società che Nacci rappresenta.
E in ogni caso io ho parlato di sconfitta solo in riferimento al testo scritto tout court, ho detto anzi che nell’accompagnamento audio questa sconfitta viene ribaltata in una possibilità di azione (e mi permetto di ricordarti che il Cd termina con una bella risata).
In ultimo, e ti chiedo scusa se sono puntiglioso, non ho assolutamente parlato di simbolismo, ma di simbolizzazione, vale a dire (col giovane Lukacs o col vecchio Cassirer)quel processo cognitivo che ci porta a dare senso compiuto (e così rispondo anche a Carlucci) alla realtà, ma come?, escludendo da essa alcune sue possibili varianti, escludendo cioè quella vocina che porta all’umorismo, al sentimento del contrario, alla disseminazione di senso, che Nacci col Cd audio fa abilmente rientrare dalla finestra.


MIMMO CANGIANO: Strategie di differenza (il poema disumano di L. Nacci)
2007-04-25 16:06:07|di lorenzo

che significa "disseminazione del senso"?

lorenzo carlucci


MIMMO CANGIANO: Strategie di differenza (il poema disumano di L. Nacci)
2007-04-25 02:40:12|di Christian Sinicco

Note: ci sono due versioni del poema...una pubblicata nella collana di Ermini, l’altro con la Galleria Michelangelo, con la prefazione di Nerli. Quando scrissi la recensione non avevo visitato l’installazione (né letto il libro con l’intro di Nerli, quello col cd): mi ero basato sul libro pubblicato da Cierre Grafica (senza cd), curato da Ermini.
Detto ciò, poiché il poema nasce in quanto installazione, ho la fortuna di dire che ciò che si sperimenta suscita fortissime (e opposte) emozioni e riflessioni.
Si tratta di un bombardamento di suoni, di storpiature della voce poiché la scrittura - come l’uomo - è saltata sulla mina, e quindi la sua voce non può che essere amputata. In presenza dell’opera facciamo esperienza di realtà, più che di sconfitta - anch’io leggendo, e non visitando l’installazione, mi ero convinto che Nacci ripetesse l’umanità perdente di Alla discarica del Signor Postmoderno, ma non è così, poiché poema disumano è uno schiaffo, è violenza, è un gesto di appropriazione indebita di ogni strumento di tortura, e il poema assume un carattere teatrale / interattivo... osserviamo dalla feritoia le immagini di Pierri, quindi potremmo essere i cecchini, non solamente i trincerati: il tutto si potrebbe interpretare diversamente (non viviamo lo stesso scenario della Scuola di Francoforte, Cangiano, e a Nacci forse interessa fotografare con uno strumento la realtà, poiché essa si presenta già critica): tu, uomo, trincerato o no, sei pure carnefice, e guardi la guerra dalla feritoia ("televisiva"...dei tuoi interessi economici...etc), e godi grazie a questo, concretamente. Non solamente per mezzo di una sublimazione di thanatos, ciò accade (pure nella scrittura), ma di thanatos ed eros assieme; e neppure (forse) grazie esclusivamente ad una sublimazione... magari si tratta di uno spostamento improvviso di un particolare momento emotivo su oggetti e situazioni, ed esse acquistano nuove dinamiche, anche grazie alla scelta fonica. Quindi non sono d’accordo si possa parlare di simbolismo, forse più di surrealismo, con la postilla che, in presenza del poema, di surreale c’è ben poco, poiché lo sguardo fisso ce l’hai sulla criticità in quanto rappresentata, e non in quanto criticata.


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