Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Marco Aragno è nato a Villaricca, in provincia di Napoli, nel 1986. Attualmente risiede a Giugliano in Campania e frequenta la facoltà di Scienze Giuridiche presso la Seconda Università degli Studi di Napoli. Ha vinto il terzo premio (sez. inedita) al ‘Premio Internazionale Mario Luzi’ nel 2008 ed è stato finalista al ‘Premio Nazionale il Fiore’ nel 2010. Suoi inediti sono stati pubblicati sulla rivista internazionale ‘Poeti e Poesia’ diretta da Elio Pecora (n.19, 2010). Zugunruhe(Lietocolle, 2010) è la sua opera prima.
Testi
*
Mi riempie allo stesso modo quel gesto
che ti fa chiara come le fontane
quando trasali nel vano della stanza
al suono della mia voce.
Ma ora non so dietro quale sonno
mi starai ad aspettare, se il grido
che lanciavo ha scampato gli anni
sino alle porte di questo mattino.
So solo che dalle persiane
rompono i primi picchi del giorno
e tu mi sei ancora accanto
tu che non ti svegli, dormi in silenzio
dentro quella notte che non conosco.
*
E la luce, l’abbaglio improvviso
di una soglia mattutina sul pavimento
lucido della casa mentre eri
distratto, quasi svagato dal mondo.
E’ la stessa, appena
velata dall’ombra degli alberi
di questo parco, la stessa che rimanda
il tuo sorriso dalla bocca
al ciondolo che sfiori
tra due dita, come per la mania
di averti con poco, di tenermi nascosto,
in silenzio, dalle nubi del tuo viso.
Zugunruhe
Solo da qui, da questa parte
voglio ripassare sul marciapiede
qui dove tra due palazzine
si rischiara il giallo dei platani
e pare quasi di tenerti nel tempo.
Tremano i nomi, Giulia
quelli che senti in una piazza
in un chiosco con i giornali
lasciati sui tavolini all’aperto.
Si resta soli la sera
quando intorno si fa la città
e si scrollano i piccioni dai rami.
Gli oleandri
Ancora lentamente usciamo qui
in questo mondo, usciamo dalle pale
di un ventilatore, dal suo sbuffo
quando tutto il sonno dell’ospedale
raccoglie il suo silenzio
nelle sedie verdi della sala d’attesa.
Ma troppo vaghe le mani, le porte
non hanno maniglie e qualcuno fugge
nel colore delle tende, nel rosso
degli oleandri che s’accende
dal fondo dei corridoi, in penombra,
se un po’ di vento riporta la vita.
*
Al sonno la tua immagine s’arrende
e si divide sempre più dal volto
pallido che hai lasciato
nella forma delle mie mani.
Perché sei uscita fuori dai nomi, adesso
e come da un fondo
ti inoltri nel buio delle cose.
Ma posso crederti ancora qui
se in questa cella chiusa dal tempo
ti trattengo per i capelli
ti afferro che scivoli fuori dal mondo
nel colore che non distingue.
*
Ora che è calma tutta l’aria intorno
e un fremito lontano, come un mare,
mi sveglia fuori dalla mente
l’inizio è camminare questa terra
questo mucchio di radici strappate.
L’unica certezza sarà saperti
rifiorire improvvisa da una zolla
come una rosa, un’impronta di luce
in cui ritrovarci per sempre.
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