Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

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Marco Giovenale

Criterio dei vetri

Articolo postato lunedì 21 maggio 2007
da Maria Valente

Marco Giovenale

né mistero nei viaggiatori
locali, con i borselli a ordito onesto
neri laminati, beaux temps,
e la plastica del berretto, sua falda tutta scoria.
non fa, non fanno, storia. venti, trenta
secoli e una parte di urto antropico non è
variato; genera dal sonno, dorme, scorta
il sacco, torna
indietro, sotto le polveri vulcaniche
- muore nella pagina di paglia per paura
dell’eclisse, prima che finisca.
culla, non cura

*

sognando sogna gli stessi
movimenti degli occhi sotto i gusci -
le membrane e: morbido e: spostamenti
veloci della fase, nella stanza opaca che non è
sua e va lasciata
alle prime donne note che nemmeno
loro hanno casa - ma già una loro
logoalgia,

               un dolore al centro 

*

che non vuole allearsi con il finito
che in nessun caso con il teatro.

«che oggi, essendo»: già una frase
che inizia molto male.

il figlio disinfetta gli strumenti,
li tiene nella borsa scura.

risalgono dall’interrato del ristorante
è stato un lavoro come poche altre volte

pulito e impegnativo. già due mesi
prima aveva rilevato i fondi.

una volta era un varco, qui, al mare,
prima un macello, qui le ombre

dei ganci o andavano i vitelli
la grafia non è molto precisa ma

non inibisce, vuole iniziare a contare i soldi
prima che si esca nella strada.

l’urto dell’aria e del suono fuori
per un’apertura, il riscontro del vento

gli getta una legge che ha chiara
ma senza contorni, e che lo implica

si sente di smettere e smette.
si sente smettere

*

Testi tratti da Criterio dei vetri
[2001-2005]

Oedipus, 2007

Nota biobibliografica

Marco Giovenale è nato nel 1969 a Roma, dove vive. È stato organizzatore di mostre. Lavora in una libreria antiquaria. È redattore del sito di scrittura di ricerca GAMMM Partecipa a poeticinvention, fluxishare, italianisticaonline. Cura, con Massimo Sannelli, la lettera-dono «bina». Collabora a «il manifesto», «Sud», «Le Voci della Luna». Suoi testi sono comparsi su «Nuovi Argomenti», «Poesia», «Nuova corrente», «Rendiconti», «Semicerchio», «l’immaginazione», e altre riviste.

Libri di poesie: Curvature (La camera verde, 2002, immagini di Francesca Vitale, prefazione di Giuliano Mesa), Il segno meno (pubblicato, come vincitore del premio Renato Giorgi, da Piero Manni nel 2003, con prefazione di Loredana Magazzeni), Altre ombre (La camera verde, 2004, postfazione di Roberto Roversi), Double click (Quaderni di Cantarena, 2005, postfazione di Florinda Fusco), Superficie della battaglia (sei fotografie e sette poesie, cartella de La camera verde, 2006), e Criterio dei vetri (Oèdipus, con postfazione di Cecilia Bello Minciacchi). Ha pubblicato inoltre l’ebook di prose Endoglosse (Biagio Cepollaro E-dizioni, 2004): altre prose sono uscite nel 2006 nella collana ChapBook delle edizioni Arcipelago (Milano). Una pagina di esperimenti in inglese si trova su differx È presente in Parola plurale (Sossella, 2005) e nel Nono quaderno di poesia contemporanea (Marcos y Marcos, 2007, a cura di Franco Buffoni). Criterio dei vetri include alcune poesie di Double click, èdito dai Quaderni di Cantarena a cura di Mario Fancello.

Biobibliografia completa e link a pagine web:
biobiblio e slowforward.

Photoarts di Luisa Lambri

13 commenti a questo articolo

Marco Giovenale
2007-06-19 22:34:20|di scheggia

Incredibile,mi chiamo anche io Marco Giovenale e sono nato nel 1969!
Ciao a tutti.


Marco Giovenale
2007-05-26 23:00:13|di Alessandro Ansuini

Non avevo mai letto giovenale. peggio per me.

A


.

Marco Giovenale
2007-05-26 11:41:18|



ma un tuffo al mare, con ’sto caldo?

no more tears!


Marco Giovenale
2007-05-25 11:43:44|di lorenzo carlucci

maria, che dici "non ho capito perché tu ti stupisca se esiste una bibliografia sterminata ormai su questi argomenti", ti dico che io mi stupisco di trovare - quarant’anni almeno dopo la fioritura del PM - un individuo che ne ripeta il catechismo in forma sì sintetica e non problematica - dando valore di verità "vero" a proposizioni del tipo "Non esistono una coscienza, un’individualità autonome sopravvissute al bombardamento mediale", o "noi siamo delle reazioni nervose a degli stimoli che vengono dall’esterno e da cui non possiamo in nessun modo sperare di preservarci" che ai miei occhi insultano e deprimono l’intelligenza e la dignità umane e che - una volta SUPERATA (da anni!) la possibilità di una loro funzione polemica - restano affatto vuote e inutilizzabili. di questo mi stupisco e sono lieto di stupirmi. e piuttosto che chiederti perché io citi matrix e non baudrillard potresti chiederti come mai tanto del contenuto e dell’estetica di questa filosofia di cui ti fai vestale si è riversato proprio nell’estetica della comunicazione di massa, tranquillamente, comodamente.

ma io, come te, sono stanco, stanco di tutte le incomprensioni, mi fan venire le lacrime agli occhi e allora possiamo se vuoi lasciare da parte i massimi sistemi per ora e se ti fa piacere potresti spiegarmi in che modo (a livello letterario) questi testi di MG siano un esempio di ciò che chiami "Una scrittura che porti alla luce l’ambiguità di quei meccanismi che ci governano è non utile, ma necessaria".
perché non lo capisco, se non riconoscendo un uso puramente mimetico del verso, impressione supportata dalla tua "parafrasi" del testo. c’è dell’altro?

saluti,
lorenzo

ciao,
lorenzo


Marco Giovenale
2007-05-25 00:22:55|di Martino

Trovo che la poesia di Marco Giovenale ci indichi veramente una modalità di salvezza da questa modello inumano e assurdo di società. Finalmente una realmente praticabile via di uscita dal dominio della tecnica.


Marco Giovenale
2007-05-24 22:48:16|di maria

Lorenzo io lo sapevo che finiva in polemica, ma poiché, davvero, al momento non posso, e rischio solo di recar danni e commettere imprecisioni, ti dico solo questo:
il fatto che la prima cosa che ti venga in mente sul postmoderno sia matrix e non Burroughs o Pynchon tanto per dire, è una verifica della colonizzazione mediale in atto in te in questo momento, che tu voglia riconoscerlo oppure no.
Non ho capito perché tu ti stupisca se esiste una bibliografia sterminata ormai su questi argomenti, Jameson è un filosofo marxista, non uno scrittore di cyberpunk come potresti pure considerare Baudrillard, e poi di Postmoderno e postmodernismo critico se ne sono occupati, in Italia, gli stessi Voce e Cepollaro.


Marco Giovenale
2007-05-24 19:52:51|di lorenzo carlucci

io sono stupito e profondamente rattristato da quanto scrivi maria.

davvero, quando leggo questo paragrafo:

"vivere è divenuta un’ipotesi assurda, insensata in un mondo tecnocratico, dominato dalla logica invasiva del mercato e mercificazione di tutte le cose e i valori umani, per cui l’umanesimo è una mistificazione, l’annuncio corretto non era quello della morte di dio, ma della morte dell’uomo, le tracce che credi di vedere attorno sono proiezioni massmediatiche e nulla di più autentico. Non esistono una coscienza, un’individualità autonome sopravvissute al bombardamento mediale in cui siamo costantemente immersi, ciascuno è alla confluenza di un fascio di stimoli artificiali artatamente indotti, noi siamo pensati e siamo strigliati, ci si pensa e ci si striglia da parte di un flusso che prescinde totalmente dalla nostra volontà e consapevolezza, inducendo in noi isteria e schizofrenismo, noi siamo delle reazioni nervose a degli stimoli che vengono dall’esterno e da cui non possiamo in nessun modo sperare di preservarci."

mi chiedo come si possa arrivare a convincersi della credibilità di uno scenario alla MATRIX di questo genere. e mi chiedo se sia davvero possibile dialogare con chi abbraccia una visione tanto impermeabile del reale. la visione che delinei mi pare il risultato dell’automatismo teologico, perché c’è l’ineffabile, il mistico, il soggetto di questa grande trappola in cui ci troviamo. non so in cosa tu lo riconosca, forse nel "sistema" (?). e c’è il dualismo tipico del cristianesimo, perché lo scetticismo non si estende al mondo tutto, ma soltanto alla società "tecnocratica/mediatica", falsificatrice del "vero" (irrecuperabile, paradiso perduto). io ti giuro che non so di cosa parli. leggo le tue parole, mi guardo intorno, e non vedo dove calare questi concetti. sarà la mia miopia. non vedo cosa questi concetti spiegano, oltre la poesia di giovenale. e se le profonde elaborazioni teoriche che servono a capirla sono queste - lo dico senza alcuna ironia - preferisco non capirla. e mi pare tanto chiaro, e limpido, che Cage, nella citazione che fai, arriva nientemeno che al concetto di causa sui ("Se voi lo permettete, sostiene se stesso"), e alla giustificazione estetica dell’esistenza
("ogni cosa è la celebrazione del niente che lo supporta"). e queste soluzioni - per quanto non nuove - sono un marchio della profondità di pensiero di Cage, quasi un corollario di ogni nichilismo possibile e non solo verbale. ma sembra che tu voglia escludere anche queste soluzioni dalla tua visione. e cosa resta, dunque? davvero, MATRIX, e Giovenale-Neo?

l’altro grosso problema - ai miei occhi - è l’appiglio alla coscienza: "io sono perfettamente consapevole di essere parte integrante della stessa finzione che dovrei smascherare, e questo è il mio limite, di cui non taccio."
non serve arrivare a Goedel, ma basta Dostoevskij per convincersi che "la coscienza non redime", che l’aver coscienza della propria situazione è in un senso impossibile e in un altro inutile. tutto ciò mi ricorda terribilmente, orribilmente quasi, i "rivoluzionari" di 1984, i testi proibiti diffusi dal Grande Fratello.

tutto ciò, davvero, senza alcuna ironia.

lorenzo


Marco Giovenale
2007-05-24 13:34:03|di maria

Per rispondere a Lorenzo, un’operazione del genere in poetica non è senza conseguenze, distinguiamo da quello che, secondo la mia interpretazione, dice il testo di sé e quello che risulta essere il suo ruolo effettivo: io posso professare la mia inservibilità, ma se contemporaneamente io ti apro una finestra sul mondo in cui insieme siamo immersi, se la mia pagina è lo specchio che riflette una situazione più generale, che può sfuggirci proprio perché ne siamo parte, allora non sarà stata poi così inutile. Tu dici che la vita comune non è insensata, sicuramente qui c’è un equivoco dovuto ad una mia approssimazione, la vita comune che intendevo dire è la vita e basta, vivere è divenuta un’ipotesi assurda, insensata in un mondo tecnocratico, dominato dalla logica invasiva del mercato e mercificazione di tutte le cose e i valori umani, per cui l’umanesimo è una mistificazione, l’annuncio corretto non era quello della morte di dio, ma della morte dell’uomo, le tracce che credi di vedere attorno sono proiezioni massmediatiche e nulla di più autentico. Non esistono una coscienza, un’individualità autonome sopravvissute al bombardamento mediale in cui siamo costantemente immersi, ciascuno è alla confluenza di un fascio di stimoli artificiali artatamente indotti, noi siamo pensati e siamo strigliati, ci si pensa e ci si striglia da parte di un flusso che prescinde totalmente dalla nostra volontà e consapevolezza, inducendo in noi isteria e schizofrenismo, noi siamo delle reazioni nervose a degli stimoli che vengono dall’esterno e da cui non possiamo in nessun modo sperare di preservarci. Le forme sono saltate sotto la pressione del contenuto. Non c’è una realtà, un nucleo di verità, un’essenza incontaminata che giaccia sotto l’apparenza, e per questo non c’è una posizione privilegiata del poeta che indichi la direzione o faccia un cenno. Tutte le pretese naturalistiche e umaniste collassano e chi si ostina a perpetrarle non fa che condiscendere all’inganno, al generale e più profondo occultamento dei codici concreti che attualmente le sorreggono e ad impedire, due volte di più, di prenderne atto.
Una scrittura che porti alla luce l’ambiguità di quei meccanismi che ci governano è non utile, ma necessaria. In questo, la forza critica di un’operazione apparentemente inerte di mera registrazione di un dato di fatto, non è inferiore a quella di una dichiarazione di guerra, è solo la fiducia di quanto tiene dietro che è diversa. Io posso rinunciare a tutte le impalcature artificiali come il soggetto, la storia, le unità aristoteliche della rappresentazione, ma, nello stesso tempo, io sono perfettamente consapevole di essere parte integrante della stessa finzione che dovrei smascherare, e questo è il mio limite, di cui non taccio. E poi, come diceva Cage:
“E che cos’è l’inizio di nessun centro e di nessun significato e di nessuna fine? E che cosa è la fine di nessun inizio, di nessun centro, di nessun significato? Se voi lo permettete, sostiene se stesso. ogni cosa è la celebrazione del niente che lo supporta”…ma averlo solo detto è gia qualcosa.

(ma questo, sempre meglio di me, hanno detto e diranno altri)


Marco Giovenale
2007-05-24 10:38:09|di Marco

ringrazio Maria delle annotazioni.

in effetti mi sembra che, proprio in ordine a una possibile interpretazione (e più generale interpretabilità) dei testi, la lettura che Maria dà della prima poesia abbia già quasi i connotati di una parafrasi, di un percorso nel testo, di una osservazione attenta, e premessa di analisi.


http://slowforward.wordpress.com

Marco Giovenale
2007-05-24 02:47:31|di molesini

Lo dice lui, una "logoalgia".
Culla, non cura.

E in questo mantiene struttura, intelligenza, senso e misura.

Brao, Giovenale.


silviamolesini.splinder.com

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