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Massimo Ferretti commentato da Franca Mancinelli

Articolo postato sabato 26 aprile 2008
da Valerio Cuccaroni

Rispondo a circa un anno di distanza alla "chiamata" di Luigi Nacci che qui invitò a rileggere un grande poeta marchigiano trascurato, Massimo Ferretti.
Rispondo trascrivendo un intervento di Franca Mancinelli, che al terzo appuntamento dei laboratori de La punta della lingua, il 24 febbraio scorso, ha letto e commentato alcune poesie di Ferretti, seguendo una consuetudine anti-narcisistica dei laboratori di NIE WIEM (ogni poeta invitato deve prima di leggere propri versi, deve leggere e commentare quelli di un suo autore di riferimento.
Tralascio i dati bio-bibliografici di Ferretti, già presenti nel post di Luigi, e trascrivo le singole poesie con relativo commento. Preciso che molte parole sono andate perdute, ma i versi e le poche righe che sono riuscito a fissare spero rappresentino uno stimolo in più a riscoprire questo grande autore dimenticato. Naturalmente invito Franca a integrare laddove riesce e vuole.
In segno di ringraziamento e di stima nei suoi confronti, infine, prima di lasciarvi alla trascrizione del suo intervento, segnalo che nel numero di aprile di «Poesia» potrete trovare una mia recensione al suo primo libro di versi, Mala kruna.


Massimo Ferretti
Allergia (1952-1962)
Marcos y Marcos, Milano 1994 [Garzanti, 1963], Postfazione di Massimo Raffaeli

da Deoso (Siena, 1954)

Polemica per un’epopea tascabile

Sono un animale ferito.

Ero nato per la caverna e per la fionda, per il cielo intenso e il piacere definitivo del lampo: e mi fu data una culla morbida ed una stanza calda.
Ero nato per la morte immutabile della farfalla: e l’acqua che mi crepò il cuore m’avrebbe solo bagnato.
Ero nato per la felicità della solitudine e il panico vergine dell’incontro: e mi sono ritrovato in una folla di eroi incatenati.
Ero nato per vivere: e m’avete maturato nella morte autorizzata dalla legge, nell’orgoglio delle macchine, nell’orrore del tempo imprigionato.
Ma resterò. Resterò a rincorrere la vostra perfezione di selvaggi organizzati nelle palestre, educati nelle caserme, ammaestrati nelle scuole: per la morte veloce delle bombe, per la morte lenta degli orologi delle seggiole dei telefoni. Ma sappiate che io non so nuotare: e il coltello dell’odio e dell’amore l’ho sepolto nel mare.

Commento di Franca Mancinelli
Massimo Ferretti (Chiaravalle 1935-Roma 1974) ha scritto le poesie contenute in Allegria fra i 17 e i 27 anni, vicendo con questa raccolta autobiografica il Premio Viareggio.
Pasolini, che aveva ricevuto dall’autore una delle due prime plaquette auto-prodotte di Ferretti e ne pubblicò uno stralcio su «Officina», rilevò "qualcosa di preistorico" nella sua poesia. Pasolini in effetti colse qualcosa di familiare nei versi del marchigiano: in effetti, la poesia Polemica per un’epopea tascabile è una dichiarazione d’amore per la realtà, sebbene riveli già la difficoltà di socializzare, il senso di solitudine ("Ero nato per la felicità della solitudine e il panico vergine dell’incontro") che sempre caratterizzeranno l’opera di Ferretti.

- - -

Anch’io sono il mare

Spolperanno le montagne fino allo scheletro del corallo
ruberanno la fiamma al fuoco
e violeranno l’aria fin dove sospira,
ma il mare resterà il mare:
l’eterna emozione
l’elemento senza futuro.

Si sanno le piaghe aperte dalle navi
i delitti delle reti
e i tatuaggi carnali dei pescatori di perle,
ma il mare non cambia colore.

Non dico questo
perché ho segreti di conchiglie ribelli,
e l’amo perché la sua bellezza non mi fa soffrire.

Da piccolo mi ci portavano per farmi crescere forte
ma la mia stella incrociava altre acque
e nel libro del buio stava scritto
che il volto delle meduse
lo avrei trovato nella gente di terra:
e gli sono cresciuto lontano
con la misera invidia per i suoi sereni peccati
fatti di sole e di carne spogliata,
e ho accettato la sua potenza,
i lividi muri alzati tra nuvolo e abisso,
e l’onda del nord senza sogni.

Ma non ho avuto pazienza:
e l’acqua è rimasta col sale;
non ho avuto pazienza
perché anch’io sono il mare.

Commento di Franca Mancinelli
Torna qui l’elemento preistorico così ben identiticato da Pasolini. Quella che viene cantata è la bellezza panica che non fa soffrire il poeta ("e l’amo perché la sua bellezza non mi fa soffrire"), sebbene già dall’infanzia il contatto con il mare si leghi a un’oscura profezia ("Da piccolo [...] terra"). Sofferiamoci su quest’ultima: che cos’è il "libro del buio"? Il futuro, secondo me. E cosa significa "il volto delle meduse/ lo avrei trovato nella gente di terra"? Molto probabilmente che l’autore avrebbe trovato il dolore fra le persone che vivono sulla terra.

- - -

In trattoria
[già valorizzata da Nacci nel suo post]

In questa trattoria di gente stanca
dove mangiare significa reagire,
dove la grazia d’una dattilografa
si percepisce nel tono delicato
d’un piatto di fagioli chiesto tiepido,
dove un viaggiatore analfabeta
emancipato per via dello stipendio
spiega a una turista anacoreta
che il rialzo dei biglietti ferroviari
dipende tutto da questioni atlantiche -
non ho ragione d’essere contento
se il cameriere lieto della mancia,
leggendo la commedia del mio viso
m’ha detto che ho una maschera da negro?

In questa trattoria di gente ottica
dove non so salvarmi dagli sguardi,
condannato al sentimento della morte,
serrato tra furore e timidezza -
non ho ragione d’essere felice
quando divoro una bistecca che fa sangue?

Il mio complesso è una tragedia antica:
devo scrivere e vorrei ballare.

Commento di Franca Mancinelli
In questa poesia tornano alcuni degli elementi tipici della poesia di Ferretti - la difficoltà di socializzare ("In questa trattoria di gente ottica/ dove non so salvarmi dagli sguardi") e la preistoricità panica ("non ho ragione d’essere felice/ quando divoro una bistecca che fa sangue?") - ma si affaccia anche un elemento che accomuna, sebbene vagamente, Ferretti a Rimbaud: entrambi infatti a un certo punto hanno smesso di scrivere. Che i seguenti versi "devo scrivere e vorrei ballare" significhino che Ferretti ha smesso di scrivere, come ipotizza qualcuno, quando ha conosciuto la vita?
Il dato certo è che il poeta lasciò la letteratura quando morì il padre, costretto a rilevarne l’impresa.

2 commenti a questo articolo

Massimo Ferretti commentato da Franca Mancinelli
2008-05-05 14:43:23|di Molesini

Me era capitato di leggere "Sono un animale ferito", ne ricordavo la verve invettiva.
Ma la trattoria e il mare mi hanno proprio convinta: voce autonoma e disarmante sincerità, inossidabilità dell’acre e musica lunga.


Massimo Ferretti commentato da Franca Mancinelli
2008-04-28 00:35:08|di Franca

Caro Valerio,
mi è difficile al momento integrare. Ti ringrazio però per l’ascolto e insieme a te ringrazio gli altri che erano presenti al laboratorio. Queste tre poesie che avevo scelto sono tratte da "Deoso", la prima plaquette pubblicata da Ferretti (poi divenuta prima sezione del libro) e sono state scritte tra il ’52 e il ’56, tra i 17 e i 21 anni; sono in effetti le poesie di "Allergia" che mi piacciono di più (di altri testi mi colpiscono alcuni versi o stralci mentre queste tre le trovo belle nel loro insieme). Quel giorno al laboratorio ho parlato di lui da lettrice, e mi ero ripromessa di scriverne; lo faccio ancora (nella benedetta estate, o appena mi si aprirà un po’ di tempo). In due parole le ragioni della mia passione per questo autore sono la sua verità, la sua scrittura che si sente nascere da una necessità biologica prima (la malattia che lo ha segnato) esistenziale dopo e solo in terza istanza letteraria. Mi piace leggere il battito istintivo di questi versi che raccontano; mi piace il suo equilibrio tra ricerca metrica e narrazione. E poi la sua capacità di parlare di se stesso, di essere autobiografico, sempre sullo sfondo della storia (vedi ad esempio anche soltanto titoli come Breviario di un ragazzo 1958 e Calendario di famiglia 1959), e questa era una lezione che poteva ritrovare in «Officina». Che dire poi? Tante cose ma sarò breve.

- La prima poesia, "Polemica per un’epopoea tascabile", l’ho fatta leggere anche ai miei studenti di prima e seconda superiore. È il canto dell’adolescenza, di un incontro mancato con il mondo, di un immenso amore per la realtà; un amore che, pasolinianamente, proprio per la sua carica di violenza e di verità, critica la realtà senza risparmio.
- La seconda, "Anch’io sono il mare", è fortemente legata alla prima. Di questa mi colpisce soprattutto quella sorta di profezia sul proprio destino, quella forma di ferma consapevolezza che c’è nei versi: «Da piccolo mi ci portavano per farmi crescere forte / ma la mia stella incrociava altre acque / e nel libro del buio stava scritto / che il volto delle meduse lo avrei trovato nella gente di terra»; una simile lucida consapevolezza la leggo anche in questi versi di Lode ad un amico poeta: «Entrerò nella turba dei falliti / con l’umiltà che sempre mi ha distinto; / brucerò tanta rabbia dentro il cuore / che l’inferno tremerà nel riscaldarmi: / e avrò anch’io un duro contrappasso: / sarò il bullone d’un ponte americano».
Ricordo che quella sera, un tuo amico, Giampaolo se non sbaglio, continuava a chiedere il significato degli ultimi versi, di quel «non ho avuto pazienza» che viene ripetuto due volte: credo che la pazienza di cui parla abbia a che fare con lo stare con le persone, con quelle capacità di relazionarsi, quelle abilità “sociali” che, con un po’ di pratica, in qualche modo possono essere apprese (stando un po’ con la gente). Ma questa poesia segna un altro tipo di vittoria, di risarcimento: quello di essere diventati potenti e inscalfibili ad ogni forma di violenza, proprio come il mare.
- Ultima poesia, "In trattoria": oltre al ritmo che mi cattura e a qualche cosa di surreale e insieme profondamente vero (nel senso che mostra la realtà nella sua ferita, nel suo essere sanguinante, proprio come la «bistecca»), mi piacciono in particolare gli ultimi due versi, che trovo di un tono simile a quelli che concludono un altro testo della stessa sezione: «Ho giocato e forse ho perduto, ma non sono pentito; mi piace scegliere e non soffro a sbagliare: il mondo si scopre nel mondo: la vostra angoscia è la mia felicità». Un’altra esultante vittoria, un altro risarcimento ottenuto attraverso la poesia.
Il riferimento a Rimbaud, ricordo, era stato un ospite del laboratorio, Francesco Conte a farlo. Io, riguardo al suo progressivo distacco dalla letteratura, avevo soltanto avanzato con tutte le cautele un’ipotesi che poi si ricollega alle penetranti parole di Pasolini: «A nessuno verrebbe in mente di avere dei sospetti sulla sua purezza. Semmai ci si potrebbe chiedere di Ferretti che cosa egli farà quando uscirà dalla malattia, dall’adolescenza, da Jesi, dal puro e conclamto dasein di Deoso» (Pasolini). Quando il “segnato” si ritrova, per un attimo, accolto dalla vita, assorbito e accettato quasi senza accorgersene, finisce, in qualche modo, anche la scrittura.


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