di Stefano La Via

Stefano La Via si è formato presso le Università di Roma "La Sapienza" e di Princeton.
È professore associato di Storia della poesia per musica presso la Facoltà di Musicologia di Cremona (Università di Pavia).
Ha pubblicato numerosi saggi sul rapporto fra poesia e musica in varie epoche storiche, dal medioevo ad oggi.
Fra i suoi libri:
Il lamento di Venere abbandonata. Tiziano e Cipriano de Rore, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 1994;
Poesia per musica e musica per poesia. Dai trovatori a Paolo Conte, Roma, Carocci, 2006

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Anche se ultimamente il mio interesse sta decisamente calando, ho sempre seguito il Festival, sì quello di Sanremo, e per almeno due motivi. Il (...)
pubblicato mercoledì 26 gennaio 2011
La Libreria Koob di Roma (via L. Poletti 2) è qualcosa di più d’una libreria. Vi si ritrovano non solo lettori e bibliofili, ma anche scrittori, (...)
pubblicato venerdì 19 novembre 2010
La domanda del titolo non è retorica, e neanche poi così innocua. La risposta più tipica suona, grosso modo, così: “Ma è ovvio, no? Come qualsiasi (...)
 

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Omaggio a Guinga di Madureira

(ColtoPop—senza snob 2)

Articolo postato sabato 25 dicembre 2010

È successo giovedì 9 dicembre, a Cremona, Facoltà di Musicologia, Corso di Storia della poesia per musica, nel pieno delle (sacrosante) contestazioni contro il surreale ddl Gelmini. Gli studenti più vivi, insieme a qualche sparuto docente, avevano ancora tutti i capelli ben ritti in testa; forse non immaginavano che il loro grado di… sgomenta indignazione (per usare un ipereufemismo) nei giorni successivi sarebbe cresciuto a livelli esponenziali. Ma proprio quel giovedì, insieme a un sole che non si vedeva da settimane, è apparso Guinga. Come dire, in tutti i sensi: è riapparso il sole.

Ma chi è Guinga (nome d’arte di Carlos Althier De Souza Lemos Escobar)? In Italia, ahimé, lo so, è pressoché sconosciuto. A Cremona, addirittura, prima del suo arrivo, ho udito alcuni colleghi storpiarne il nome in “Giunga” e sottolinearne la rima con Bunga Bunga, così da suscitare le grasse risate di tutti i presenti (tranne uno). Nessuno che mi abbia chiesto informazioni a riguardo. Nessuno che abbia manifestato anche solo un minimo sintomo di curiosità. A parte naturalmente gli studenti, quelli più affamati di cultura, quelli più assetati di bellezza: quelli che hanno interrotto le manifestazioni per accorrere, in massa, alla più emozionante (nutriente e dissetante) delle conferenze-concerto.

Guinga è, molto semplicemente, uno dei più grandi chitarristi-compositori viventi, autore di oltre 300 composizioni, molte delle quali tradotte in canzoni da scrittori, poeti per musica e cantautori quali Paulo César Pinheiro, Aldir Blanc, Chico Buarque. Come tutti loro, viene dal Brasile, questa terra sterminata e ricchissima, miniera inesauribile di tesori culturali e artistici inestimabili—che noi, poveri italiani, ci ostiniamo perlopiù a ignorare, o altrimenti a fraintendere, banalizzare, ridurre agli stereotipi del nostro più bieco ed esotizzante eurocentrismo (al Bunga Bunga, appunto).

Diversamente da molti altri grandi artisti del suo Paese, però, Guinga ha origini molto umili: è nato, sì in una delle città più belle del mondo, Rio de Janeiro, ma in un quartiere di periferia, Madureira, al quale anche il Cristo Redentor (la famosa statua con le braccia aperte verso la baia e i quartieri alti) ha da sempre dato le spalle. Proprio come canta Chico Buarque nel suo recente Subúrbio (2006):

Lá não tem moças douradas
Expostas, andam nus
Pelas quebradas teus exus
Não tem turistas
Não sai foto nas revistas
Lá tem Jesus
E está de costas

[Niente ragazze dorate
esposte, giran nudi
per i pendii i tuoi diavoletti,
niente turisti,
niente foto su riviste,
là c’è Gesù
e ti dà le spalle.]

Nonostante ciò quella specie di angelico diavoletto, che è Guinga di Madureira, non ha mai rinunciato neanche a una fede (sincera-concreta-sincretica=brasiliana) che di fronte a noi esibisce con un misto d’impudico orgoglio e umiltà infinita. In ogni suo sguardo, parola e suono c’è il riflesso di un’esperienza umana profonda, tellurica, realmente sofferta, mai facile, sempre controcorrente. “Prima di tutto viene l’uomo”—ci ha ripetuto tante volte a lezione—“Poi viene l’artista”. Ma inevitabilmente anche l’artista ha avuto un percorso tortuoso: quello di chi ha sempre rifiutato ogni facile compromesso, di chi non si è mai piegato ai dettami del mercato, di chi non ha mai rinunciato a sperimentare, ricercare e trovare soluzioni sempre nuove e sorprendenti.

Il risultato di tutto questo lavoro rappresenta uno dei picchi mai raggiunti dalle avanguardie della Música Popular Brasileira, anzitutto nel campo del linguaggio armonico. Guinga è in primo luogo un pittore musicale di armonie: sulla scia di Tom Jobim, Baden Powell, Chico Buarque, Edu Lobo, e pochi altri grandi compositori del suo Paese, ha contribuito ad ampliare la di per sé già estesissima tavolozza armonica che la musica brasiliana, da almeno un secolo, non ha mai smesso di regalare a se stessa e al resto del mondo. È proprio dalle tinte infinite e cangianti dei suoi accordi chitarristici—così idiomatici da non poter essere trasferiti su altri strumenti se non a rischio di smarrire la propria identità—che hanno modo di sorgere melodie insolitamente angolose e oblique, non di rado dissonanti e inquietanti, eppur sempre così logiche e coerenti da risultare in molti casi ipnotiche. Chiunque ascolti una di queste melodie armoniche con le orecchie bene aperte, nel momento in cui se ne innamora, rischia davvero di rimanervi irretito per sempre.

Mi piace immaginare i letristas (‘poeti per musica’ più che ‘parolieri’) di Guinga che scrivono i loro versi in stato d’ipnosi auditiva, con le orecchie in trance. In questo repertorio, infatti, è sempre la musica a generare le parole di una canzone. Le pitture armoniche e tutte chitarristiche di Guinga chiamano una melodia che è a sua volta potenzialmente poetica: non solo in quanto traducibile in parola cantabile, ma anche in quanto portatrice, sin dall’origine, di idee e immagini, se non di interi scenari, che lo stesso autore si preoccupa di suggerire ai suoi traduttori verbali.

La musica davvero inquietante e ipnotica di Saci, ad esempio, contiene già nelle sue note il ritratto armonico-melodico, e potenzialmente poetico-verbale, di Saci Pererê: popolarissima figura del folclore brasiliano, in origine rappresentata da un ragazzo indigeno dedito a scherzi infantili (come aggiungere sale al cibo altrui, tirare la coda ai cavalli, legare i lacci di due scarpe). Durante la colonizzazione portoghese del Brasile e le prime deportazioni di schiavi dall’Africa, Saci diventa un omino nero che cammina su una sola gamba, fischietta, fuma la pipa, porta un caratteristico cappello rosso (boné), continua a fare scherzi, ma vive in solitudine nella foresta. In quest’ultima versione Saci incarna l’archetipo dello schiavo nero, in fuga dalle fazendas coloniali, che ambisce a riconquistare la propria libertà. È a lui che pensava Guinga sin dai primi accordi della sua composizione. La traduzione verbale di Paulo César Pinheiro è fedele non solo nella caratterizzazione iconografica del personaggio, ma anche nella resa del terrore (tragicomico) che esso suscita nella coscienza di una delle sue vittime: un bianco timorato di Dio che finirà per essere sepolto dalla più fragorosa delle risate. L’interpretazione vocale di un altro grande cantautore come Lenine (qui accompagnato da Guinga alla chitarra e dal clarinettista Paulo Sérgio Santos) è in tal senso davvero impressionante:

Guinga & Paulo Sérgio Santos - Saci - Lenine from Cineviola Filmes on Vimeo.

Nel caso leggermente diverso di Senhorinha, Guinga ha dipinto la sua poesia musicale proprio il giorno in cui la sua figlia più piccola, gravemente malata, aveva manifestato i primi sintomi di guarigione; sulla scia di questo commosso sentimento paterno, oltre che in risposta al carattere cullante e gioiosamente malinconico della musica chitarristica, questa volta Pinheiro si è sentito libero di scrivere una serenata, o dichiarazione d’amore, idealmente rivolta da un io lirico non ben definito (ma verosimilmente identificabile con uno schiavo nero) alla giovane figlia del padrone di un’antica fazenda. Il video che vi propongo (tratto dal film Brasileirinho di Mika Kaurismäki, del 2005), aperto da un eloquente saggio di virtuosismo calcistico, include una breve rievocazione e intepretazione dello stesso Guinga, alternata a quella non meno intensa di un’autentica leggenda della canzone brasiliana tradizionale, Zeze Gonzaga (Manhuaçu 1926 – Rio de Janeiro 2008):

È d’altra parte inevitabile che, talvolta, la personalità del ‘traduttore verbale’ sia così forte da imporsi su quella del musicista: pur mantenendo intatto ogni dettaglio formale, ogni sfumatura pittorico-musicale della partitura, il letrista ne esplora e sviluppa le potenzialità ‘poetiche’ in modo altamente personale. È questo certamente il caso di Você, você, laddove la musica di Guinga, a un tempo dissonante e contorta ma anche sospinta da un cullante quanto sensuale ritmo di habanera-lundu, ha stimolato nel letrista Chico Buarque una rappresentazione dell’archetipo edipico che è a sua volta ispirata a un ben preciso aneddoto autobiografico: “Você, você” (Tu, e tu) erano le parole che il suo primo nipotino, Chiquinho, non smetteva di pronunciare quando la madre (Helena, primogenita di Chico) usciva la sera col marito; per cercare di placare il figlio, gli lasciava nella culla una camicetta intrisa del suo profumo. L’aneddoto è raccontato dallo stesso autore all’inizio del video (prima dell’interpretazione di Chico, accompagnato alla chitarra da Luiz Cláudio Ramos):

In bocca ad un interprete adulto, tuttavia, il senso complessivo di questa “canzone edipica” (come recita il sottotitolo) risulta per lo meno sfaccettato e polivalente. In proposito vale la pena citare le parole di Adélia Bezerra de Meneses (Figuras do feminino na canção de Chico Buarque, 2000, p. 31, la traduzione è mia): “Il poeta assume l’io lirico di un bambino piccolo e gli affida la sua emozione—non esclusivamente l’emozione dell’adulto che è, forgiata da esperienze d’affetto e separazione, ma l’emozione del bambino che fu, e che mantiene iscritte nella sua memoria affettiva incosciente le tracce di una gelosia sicuramente opprimente e distruttiva. E allora iniziamo a capire, anche senza bisogno di leggere Freud, in quale misura tutta la gelosia […] è ritualizzazione di questa fondamentale esperienza infantile, provocata da una situazione di abbandono e da un’esigenza di assoluto. Ogni gelosia è trasferibile: Coração mistura amores” [Cuore mescola amori: così Riobaldo, protagonista del romanzo di Guimarães Rosa, Grande Sertão: Veredas].

A questi tre esempi potrebbero seguirne moltissimi altri, ognuno generato da una diversa confluenza di espressioni pittorico-armoniche, poetico-melodiche e verbali. Il che non toglie che in molti altri casi la musica di Guinga sia risultata, molto semplicemente, intraducibile in parole. Per capire perché basterà ascoltare (e guardare) bene questa interpretazione di Dá o pé, Loro, eccellente saggio dell’arte puramente musicale—compositiva e interpretativa—del Guinga chitarrista (qui in duo con Lula Galvão):

I quattro esempi sin qui proposti rappresentano solo una piccola parte del vero e proprio concerto regalatoci da Guinga, con generosità disarmante, durante la sua lezione cremonese. E dire che all’inizio dell’incontro mi ero limitato a sottolineare il carattere trasversale e commisto del suo linguaggio musicale, per poi invitarlo a parlarci un po’ della sua formazione artistica, dei suoi più importanti modelli ‘colti’ e ‘popolari’. Non c’è qui lo spazio per trascrivere la sua (torrenziale) risposta. Basti riportare il seguente passaggio, dove il lettore di MelosBlog riconoscerà termini e concetti molto simili a quelli già espressi, in particolare, da De André (nelle citazioni riportate in calce al post ColtoPop (senza snob)):
“Ci sono solo due tipi di musica: bella e brutta. Se sia ‘colta’ o ‘incolta’ non me ne frega niente. La musica, o va dritta al cuore, o non va. Da analfabeta che sono, io sento molta musica ‘colta’; l’ho sempre fatto, sin da bambino. La notte prima di partire per l’Italia, in questo viaggio, ho ascoltato la Sinfonia alpina [Eine Alpensinfonie] di Richard Strauss: una meraviglia, un capolavoro d’orchestrazione! Allo stesso modo, posso ascoltare Senza fine e mi emoziono profondamente. La conoscete questa canzone? [Coro affermativo.] Meno male! […] Una canzone così bisogna conoscerla, ascoltarla; non si può vivere ignorandola. Certo, l’universo della musica è immenso: nessuno, in una sola vita, potrà mai esplorarlo tutto.
Cinque anni fa, a New York, un amico giornalista mi ha regalato 90 CD di Duke Ellington. Di ritorno a casa ho pensato che non avrei mai potuto ascoltarli tutti. Finora ne ho ascoltato solo uno, ma quello che ci ho trovato è già moltissimo, è di per sé un universo sconfinato di genialità. E all’ascolto di questo unico disco ho imparato un’infinità di cose, inconsciamente. Perché, sempre, s’impara inconsciamente.”

Faccio seguire l’elenco, di per sé eloquente, di tutti gli autori e brani citati (segnalati col simbolo → quando eseguiti) da Guinga durante la sua conferenza-concerto:
(1) Repertorio classico:
Giacomo Puccini, Tosca (citata più volte, anche in relazione all’introduzione di Você, você);
Richard Strauss, “Sinfonia alpina” [Eine Alpensinfonie =Sinfonia delle Alpi];
Johann Sebastian Bach (vari riferimenti, legati al genere del choro e a Pixinguinha, “Bach africano”);
→ Maurice Ravel, Pavane pour une Enfant défunte;
→ Fryderyk Chopin, Prelude in Mi minore, Op. 28, n.4 (+ altre citazioni sparse);
Edvard Grieg; Pezzi lirici.

(2) Jazz e Song teatrale americano:
Duke Ellington (90 CD, di cui solo uno ascoltato);
Maria (Leonard Bernstein – Stephen Sondheim, da West Side Story);
Cheek to cheek (Irving Berlin);
So in Love (Cole Porter).

(3) Canzone italiana e napoletana:
Senza fine (Gino Paoli);
Dicitencelle vuje (Rodolfo Falvo – Enzo Fusco);
O sole mio (Eduardo Di Capua – Giovanni Capurro);
Malafemmena (Antonio De Curtis).

(4) Canzone brasiliana e choro:
choro lento tradizionale;

Morro Dois Irmãos (Chico Buarque); →Saci (Guinga – Paulo César Pinheiro);
Estrada branca (Tom Jobim);
Velho amigo (Baden Powell – Vinicius De Moraes);
choro di Pixinguinha;
choro di Hermeto Pascoal;
Desafinado (Tom Jobim – Newton Mendonça, imitando gli stili opposti di João Gilberto e Stan Getz);
Olha Maria (Tom Jobim – Vinicius De Moraes);
Você, você (Guinga – Chico Buarque);
Lendas Brasileiras (Guinga – Aldir Blanc);
Canção do Lobisomem (Guinga – Aldir Blanc);
Lundu inedito (Guinga);
Dá o pé, Loro (Guinga: eseguita in duo con Roberto Taufic);
Senhorinha (Guinga – Paulo César Pinheiro).

Confesso, infine, senza alcun pudore, di essermi commosso fino alle lacrime all’ascolto delle ultime due canzoni: Senhorinha e So in Love, che Guinga ha eseguito, sempre accompagnandosi alla chitarra, letteralmente con un filo di voce.

Queste, come le altre, non posso ancora farvele ascoltare nella versione ‘cremonese’. Posso però concludere proponendovi la meravigliosa canzone di Cole Porter (che Guinga ha legato al Preludio in Mi minore di Chopin) nella versione interpretata da Kevin Kline e Ashley Judd (tratta dal film De-Lovely di Irwin Winkler, 2004).
Parafrasando Guinga: una canzone così, no, non si può vivere senza conoscerla.

(Buone Feste a tutti)

3 commenti a questo articolo

Omaggio a Guinga di Madureira
2011-01-24 11:31:03|di Luca

Mi sarebbe davvero piaciuto poter assistere alla conferenza concerto di Guinga. Le sue ormai abituali venute in Italia sono un dono per tutti noi. Grazie per il tuo bellissimo articolo.


Omaggio a Guinga di Madureira
2010-12-27 20:43:22|

Grazie, Fabio, per questa bellissima versione di Cine Baronesa (titolo originale della composizione nell’omonimo CD del 2001). Si può notare, fra le altre cose, come anche il fantastico Mirabassi (un po’ come il Lenine di Saci), sia stato letteralmente ipnotizzato, e a tratti anche trasfigurato, dalla melodia di Guinga. Certo, su quest’ultimo ci sarebbe, molto, moltissimo altro da dire...
Stefano


Omaggio a Guinga di Madureira
2010-12-27 17:35:20|di fabio

il suo concerto da noi al Beba do Samba di Roma, accompagnato da Gabriele Mirabassi al clarinetto, davvero incredibile..
le sue composizioni poi nascono già come classici d’avanguardia, una metamorfosi continua del senso del suono,nella sua ricerca ulteriore, poi la sua storia personale, così particolare..

http://www.youtube.com/user/BebadoS...


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