Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Michele Porsia è nato a Termoli il sei maggio 1982. Vive a Firenze.
Selezionato da Andrea Sirotti e da Vittorio Biagini per Nodo Sottile 5, ha preso parte dal 27 al 30 Settembre del 2007 a un laboratorio a cura di Antonella Anedda e Gianmario Villalta. Nel 2008 è stata pubblicata Nodo sottile 5, un’antologia edita da Le Lettere con alcuni suoi testi. Nel 2009 ha vinto il premio ’Cose a parole’, indetto da Giulio Perrone, editore che ha pubblicato Sintomi di Alofilia nella collana Lab. Nello stesso anno ha partecipato al Parma Poesia Festival e alla Biennale di Skopje dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo. Tra il 15 e il 19 Febbraio 2010 alcuni suoi testi sono stati trasmessi durante la trasmissione ’Fahrenheit’ di Radio3.
Michele Porsia: da Bianchi girari
Testi e voce
Parole polverizzate, queste di Michele Porsia, di polvere sottile da deserto post-atomico: eppure è scrittura della scrittura, tesa ad analizzare il proprio farsi, il proprio divenire. Un’analisi glaciale e asettica di come sia (ancora) possibile scrivere versi nella nostra epoca: è un "poema" di bit e byte suonato su una tastiera elettronica, un corpo sonoro minimalista e digitale (digitato), una partitura composta sullo schermo. C’è un ingrandimento progressivo dei dettagli che precipita come uno zoom di Google Earth e tutto raccoglie nella sequenza di immagini che si allacciano le une alle altre tramite una sorta di link ipertestuale fonosillabico: dal ronzio della ventola del computer fino a un "rumore bianco" in cui si stagliano città vuote, ridotte a suono nell’etere, chissà se ancora abitate. Un "esperimento sul bianco" tramite cui ricevere (come da galassie lontanissime) impulsi di corpi tecnologici. [M.S.]
verba volant
non è un filo. La parola è pensiero in polvere, il residuo grigio di una materia cerebrale.
Celebra la cenere, la terra. Arretra, se temi la parola, ma poni prima un fermacarte sulla fossa, che indichi il pericolo di questo luogo.
O il vento, senza neppure chiedertelo, prenderà la scrittura e la porterà sulla tua bocca.
Mettici una pietra sopra. Tu temi la parola perché vola.
Tu temi la parola perché vuole
***
il loro suono esatto, un cielo
non astratto a cui tenermi
I. nessuna consolazione è nelle cose
Omero è cieco come Borges mentre ripeto
un fonema senza accento lo distorco tra le mani,
come il come della similitudine.
Imito il ronzare dei circuiti elettrici
la memoria esterna del computer trascrive dati, mentre l’insonnia
va lasciando la notte incompiuta. Il pensiero gira a vuoto
precipita e la ragione è ricostruita
da una dimostrazione per assurdo. Frammenti di testi,
ipotesi incerte. Le parole fra parentesi (in ombra)
***
II. un suono basso, la vibrazione
nera delle ossa, parole, passi minimi
percorsi a stento. Tendo il cordone ombelicale,
taglio, tento le vocali e le prime sillabe
le pronuncio nella lenta disciplina dell’infanzia. Sono un uomo
di parola, eppure qui
inizia un’altra fase della pietra,
un’altra faglia. Percuoto il poema con le dita, il primo suono.
Il testo si allenta, rallenta
nella frequenza d’onda a banda larga
***
III. sento un brusio
permanere tra le cose, un residuo di voce,
un rumore di fondo nelle strade di Taos,
a Kokomo una sosta dello spazio,
l’oggetto si dilata sulle dita
mentre il vuoto stride in lontananza.
L’effetto sonoro,
la nascita del cosmo si ripete
nelle parole sospese in aria fredda e vento. Vancouver è una scia
lasciata curva sulla carta. Verso Bristol, ancora la neve,
un ritorno di gelo,
un rito del silenzio che si scioglie. Lo stato liquido del niente
***
ho lasciato un palmo
nella neve caduta sul terrazzo di casa, l’orma
è una linea aperta tra me e la Cueva de los Manos.
Il fiato condensa in una nuvola bianca
mentre traduco il diluvio sulla superficie temporanea.
Cauterio, un gesto del silenzio, del riposo
che precipita sull’incapacità di esprimere il disgelo.
Una meteorologia interna senza previsioni. Un esperimento sul bianco
esergo: S. Bre, Marmo, Torino, 2007.
Michele Porsia: da BIANCHI GIRARI
2010-07-24 20:21:26|di cé
Dalla serietà dell’epica di Omero alla leggerezza dei bit del “computer (che) trascrive i dati”... Dagli epea pteroenta come uccelli e frecce a forme ‘altre’ di volo che passano dal trito verba volant e a questo danno un nuovo significato, soprattutto quando l’insonnia e la cecità di “una pietra sopra” rendono la parola “pensiero in polvere” (omen) e un “brusio ... un residuo di voce, un rumore di fondo nelle strade di Taos”. Questo l’orizzonte meteorologico dei Bianchi girari, che ci è concesso purtroppo solo in pillole dall’autore. Ma, come ogni sostanza cambia stato, anche la parola poetica di Porsia, da “fiato” “condensa in una nuvola bianca” e dà forma ad altre forme: dopo tutto, si sa, che le nuvole “vanno, vengono ... e prendono la forma dell’airone o della pecora o di qualche altra bestia”. E’ tutto - quello che si legge di Porsia - un rito di passaggio, nel bene e nel male, nel rumore e nel silenzio, nella progressione e nella regressione (in salute e nella malattia?): “un rito del silenzio che si scioglie”. “Lo stato liquido del niente” è una verità per la parola; ma, si sa, quello della parola, apparentemente innocua, è un ‘niente’ che, se non uccide e non ferisce, può schiacciare – poeta e lettore, nessuno escluso - sotto il peso di “un’altra fase della pietra” che è diluvio (anche), neve (a volte), nulla (spesso). “Tu temi la parola perché vola. / Tu temi la parola perché vuole”: non c’è dubbio che chi scrive non si esclude e chi legge si rivede. “Sono un uomo di parola”: questa la firma del poeta; questa la cifra di Bianchi girari; questo il destino di chi legge; questo il nuovo - e più consapevole - traguardo raggiunto da Porsia dopo i suoi (primi) Sintomi di Alofilia.