Absolute Poetry 2.0
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Orso polare

di Francesca Matteoni

Articolo postato martedì 15 giugno 2010

Il testo si ispira ad una fiaba norvegese, A est del sole, a ovest della luna, la cui protagonista va in moglie ad un orso polare, in realtà un principe vittima di un sortilegio dei troll. Nel poemetto tuttavia ho preferito non evidenziare la natura umana, ma al contrario quella animale.
QUI c’è un mio lungo scritto in prosa al riguardo. Con un’illustrazione dell’artista finlandese Susanna Majuri, il poemetto è apparso sulla rivista "Metromorfosi"(marzo 2010).


Testo: Francesca Matteoni
Fotografie: Mariagrazia Falco


Orso polare

(cose nascoste dietro le porte)

Una porta non è un luogo, ma quando
l’attraversi tutto cambia per sempre.

Non è come guardare alla finestra,
lasciare le serrande sollevate
l’aria da fuori che diventa acqua
come un corpo nello sforzo di entrare.
Non c’era niente, quella notte, da vedere.
Nessuna stella, lampione, nessuna
luce dalle case vicine.
Dalle montagne brune dell’autunno
soffiava il buio, l’onda di un lamento.

Il mondo non è reale. Né mai
lo sono i volti dietro le parole.
Le forme che tu credi di scorgere,
toccare, si ritraggono
in una vita interiore, le bocche
color ruggine trafitte di vento.
Ma qui nel chiuso di questa cucina
è come quando il sogno mi trattiene
un nucleo d’universo senza storia
e cerco senza pace oggetti amati.

Gira la casa come nella fiaba
si arresta sulla scia del settentrione.
L’odore ruota obliquo nella testa
prende la trama dei tessuti,
le mani, da dietro la vetrata.

Ci sono molti modi di mentire
ma solo uno di essere sinceri.
Da così lontano vieni
da oltre i ghiacci, la terra dei muschi
– la pelliccia ti aderisce alle ossa
umida, piena di polvere, croste,
ma il tuo sembiante è nitido, compatto -
ogni rumore un gesto d’estinzione
una lesione accesa sopra il cuore.

Bussi nella mia stanza con le unghie.
Sono io stessa porta e poi terrore -
lo scarto dell’ombra sopra le pareti.

In piedi sulle zampe l’animale
fatto di nube spessa, fiato, denti.
Sei tu la forma dell’amore?

Il re del nord, del tempo immateriale
l’orso polare altissimo, s’inchina.

(la malinconia dell’orso)

La landa da cui scendi è solo bianco
a lame irregolari dentro il mare.

Non hai compagni, dopo il terzo anno.
La volpe artica mantiene la distanza
non conosce le lente migrazioni degli iceberg
il muso quando fende la patina di schiuma
l’acqua metallica, il sale rarefatto
attorno come il cielo.
Lo sfiatatoio dove la foca aggalla,
l’attesa della caccia, senza strategia.
Né l’orso né la foca hanno una via sicura.
Respiro, zampa, sangue di pesce –
fame, paura. Taglio, colpo di pinna
luce appuntita, immobile sugli occhi.

Ogni stagione devi nuotare più a lungo
verso isole di roccia e pulcinelle,
adattarti al crescere dell’onda, al ruvido del
sasso sotto i polpastrelli, al sole fatto avverso.
Sei il corpo di un regno in dissolvenza.

Il sonno ti erode dentro la memoria
l’umore melanconico, il male
degli stolti, di chi affoga
gli spiriti in abiti bestiali.

Ritorno nell’oscurità a pensarti,
quando si è liquidi tra le coperte,
la polvere galleggia sulle gambe,
nelle corde vocali. Allora è come stare
dentro i venti, perdere i chiodi ai muri,
fischiare d’ossatura vuota e rostri
disidratarsi a foglia, trasformarsi.

Così io ti raggiungo e vedo infranta
la mia pretesa d’esserti diversa
– indistruttibile, certo essere umano.
Anche qui la vita è bene raro.
Entro nella caverna delle nevi.

(a est del sole a ovest della luna)

C’era una vecchia pelle nella tundra
a est del sole a ovest della luna
in un paese strano, senza tramonto o aurora.

Stavano vaghe luci all’orizzonte
ma nessun astro o puntura di stella.
Salivano e scendevano dai laghi
e i laghi erano fermi
come carta stagnola.
I bastioni limpidi del ghiaccio
specchiavano le terre abbandonate.

Seguivo le cuciture con le dita,
lungo gli strappi, pezzi di filo, nervi.
Era folta e ingrigita, con due sassi
nelle cavità degli occhi.

Indossai le sue braccia, le gambe
la pancia d’orso di pezza gigante.
Le narici soffiarono nei fori.
Respiravo, ma non ero io –
il sangue si schiariva dentro i polsi
avanzavo sulle piante nude dei piedi
ed era soffice la pietra verso l’acqua.

Nessuna renna, cavallo, bestia alata
si nascondeva oltre la pianura
a est del sole a ovest della luna.

Viaggiavo nei confini con le zampe
come remi. L’odore era dappertutto.

Dietro di me, molto lontano
germogliava il dolore
indocile, pieno di desiderio
chiuso negli alberi forti.

Portfolio

Orso_di_Mariagrazia Falco Orso2_di_Mariagrazia Falco Orso3_di_Mariagrazia Falco

1 commenti a questo articolo

Orso polare
2011-07-21 16:29:36|di Chiara Catapano

che bello, scivolavo via sul ghiaccio e quasi sentivo freddo.
si scivola sempre tra i tuoi versi Francesca.
la naturalezza della saggezza.

chiara


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