Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Questo testo è dedicato ai poeti della voce: a coloro per i quali l’esperienza della parola è primariamente sonora. È rivolto dunque all’esercizio della scrittura vocale, e in particolare alle modalità attraverso cui la voce si confronta con i segni verbali. È un opuscolo scritto da un attore, e quindi rivendica la sua specificità sapienziale, certo incompleta; rimanda – non può che rimandare – alla concretezza di un lavoro particolare attraverso cui lo stesso attore, qui per l’occasione scrivente, si offre all’ascolto. Ogni parola scritta è meditata col corpo.
Questo testo nasce dall’esigenza di vagliare pubblicamente le forme di organizzazione dell’artifizio vocale. Aspira – senza reticenze, si spera, quand’anche goffamente – a confidare una disciplina, con lo sguardo rivolto alla connotazione “filosofica” della problematica. È infatti bene precisare fin da subito che non si tratta di un manuale, piuttosto di una confessione. Ogni parola scritta non cerca il consenso.
L’urgenza dell’espressione vocale – la sua necessità – è tutta nella volontà di affrontare il rapporto tra potenzialità creative del corpo e le convenzioni che ne limitano la portata. In altre parole, lo scopo del suo tentativo è sottrarre quanto, nella sua stessa scansione fonica, disarma la vitalità obbligandola al rispetto delle norme. Le risposte della voce sono nell’infrazione. Per tale motivo, questo testo è un modo di ostentare la propria presenza resistenziale, col disagio di chi, pur vedendosi residuale, non può fare a meno di esporre la sua coscienza sonora. Ogni parola scritta è l’urgenza di dirsi prima di cadere.
[il saggio Poesia è la voce può essere scaricato cliccando qui]
3 commenti a questo articolo
POESIA È LA VOCE
2008-12-16 20:53:01|di ng
Un manuale sulla voce artistica? Non ha senso. Serve solo la prassi. E tieni conto, Valerio, che nell’apprendimento vocale è fondamentale essere ascoltati da un orecchio allenato, altrimenti si rischia di usare un’impostazione sbagliata e neppure accorgersene.
Il mio testo nasce in relazione alla pratica vocale che conduco (canto in un coro, faccio radiofonia, recito). Ne è il complemento “filosofico”. Sei così certo che le tesi enucleate siano condivise? No, credimi, non lo sono, neppure qui. E sono minoritarie anche in ambito teatrale, dove il suono è tutto compresso nella dipendenza dal significato.
Ogni testo teorico nasce, oltre che da una necessità “interiore”, dal confronto con altre tesi. Anche il mio. Critico, anche se indirettamente (non mi interessa la polemica), due testi dove la voce è affrontata da un punto di vista metafisico, direi due testi molto heideggeriani … (posizioni del tipo: “nella voce si esprime lo Spirito” – proprio con la maiuscola! -, o la voce “è l’unio mystica tra umano e divino”). E uno di questi testi ha molto seguito, anche qui …
Sulla questione dell’interprete, rimando al mio saggio pubblicato su L’Ulisse n. 10.
Non è un male in sé che il poeta sia un pessimo interprete-esecutore. Il male è considerare la sua performance arte. Perché questo è da acquisire: nella performance non è il testo che conta, ma – appunto! – ciò che fa il performer. E dico proprio da acquisire, anche qui …
Comunque, Valerio, mi aggrada la tensione con cui partecipi, davvero. Bisognerebbe trovare, tutti insieme (gli interessati, certo) un modo per discutere dal vivo su queste questioni. Anzi, dico di più: perché non organizzare un incontro di Absolutepoetry sulla performance?
nevio
POESIA È LA VOCE
2008-12-16 17:44:25|di Valerio Cuccaroni
Fuori dalle credenze dove ammuffisce la poesia in scatola, c’è chi prova e riprova a dare fiato alla bocca per stupire, far riflettere, emozionare, spolverare le parole e far risplendere gli Oggetti.
La zampogna che abbiamo in mezzo al petto dovrà pur essere suonata ad arte! Dunque, ben venga chi ci suggerisce come spremere i nostri polmoni e arrotondare l’orifizio orale per modulare le parole-suoni. Avrei preferito però un manuale, piuttosto che un manifesto, perché qui da voi-noi, ad Absolutene, mi pare non ci sia bisogno di ribadire la potenza primigenia della voce.
E non concordo con l’assimilazione fra attore e autore, con l’esclusione dell’interprete. Fra i poeti infatti si nascondono ottimi compositori ma pessimi interpreti ed esecutori. A mio avviso c’è bisogno di distinguere, dunque, non di omologare, di confondere.
Distinguiamo i poeti-compositori dai poeti-compositori-esecutori, dagli attori-esecutori, dagli attori-esecutori. A quando Conservatori per poeti? Ci sarà il Maestro di Lirica, distinto da quello di Epica, il Maestro compositore e il Maestro esecutore, il direttore d’Orchestra vocale, raro sarà l’Oltre-Poeta, quanto la Fenice, ma intanto avremo riconsegnato definitivamente la Poesia alla sua natura artigianale. E finalmente si pagherà il biglietto per ascoltare l’Odissea e il Laborintus e la Nuova Eneide, perché chi eseguirà sarà amMaestrato.
La tua sapienza di attore gioverebbe a chi vuole incamminarsi nell’avventura della voce, avendo già conoscenza ma non capacità, abilità.
Per questo apprezzo molto i capitoli XII-XIII, meno gli altri. Ma ciò non toglie che la riflessione deve continuare e ogni spunto è buono.
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POESIA È LA VOCE
2008-12-23 05:14:22|di Christian
Ciao Nevio, sto leggendo e meditando un po’ sulle tue note, ma credo che ci siamo relazionati su questo aspetto più di una volta:
"quali enigmi possano favorire la presa di coscienza di una prassi compositiva che liberi una volta per tutte l ’attore dalla regia";
"Qui, proprio nella gestione del passaggio da un corpo all’altro,si evidenzia la qualità dell’attore,la sua consapevolezza tecnica; qui l ’attore concentra la sua ossessi-va ricerca della precisione esecutiva. Ricerca di un corpo. Corpo in esercizio".
Non so se sarai d’accordo con me, ma la voce è scena ed è in scena, in senso fisico, nonché di finzione, nella sua operatività che orienta lo spazio, la scena, perché è nello spazio, ed è a sua volta orientata da se stessa e dallo spazio, sia esso altri corpi.
Di conseguenza la performance libererebbe l’energia dell’opera in una realtà-evento, non preordinato, in quanto presenza di alterità che orientano variazioni pur da una matrice. Il rituale non esclude ciò che varia, fa accadere ciò che si orienta, svela altre forme del rituale per via della visualizzazione e delle vibrazioni dei corpi nello spazio.
Mi interessa questo quando vado a considerare la formazione dell’opera come una performance, ma è chiaro che l’esplicitazione di questi punti (possano essere condivisi o meno), implica che un arte sia perfomativa se il suo processo di formazione la pone in questo ambito, da molteplici punti di vista, tutti quelli possibili, della scena (sia essa visualizzazione, vibrazione e vibrazioni nell’ambiente e dell’ambienta).
Sappiamo anche che la prima performance dell’opera, nemmeno come sua stesura "prima" essendo testo-scrittura, non sarà mai più tale in quanto passibile di variazioni ambientali.
Allora il testo (performativo) è quello in grado di favorire le possibilità che liberano la realtà (della finzione; ma la finzione non è più tale quando si fa l’ascolto o l’opera, poiché è evento) nell’ambiente.
Quindi la poesia performativa, aiutata da una sana dose di voce, sarebbe quella in grado di scatenare le meccaniche sceniche, e questi automi si impossessano dei corpi.
Speriamo di scatenarli.