Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Monica Matticoli (Isernia, 1969) – Laurea in Lettere e Master
L’arte di scrivere a Siena, Counseling in programmazione urolinguistica (PNL). Dopo un catastrofica esperienza di docenza nella scuola primaria, insegna pragmatica della comunicazione umana e svolge attività di counseling finalizzato al cambiamento mediante la (ri)narrazione dell’esperienza lavorativa e di vita presso strutture pubbliche e private del territorio senese, dove abita. Ama chiacchierare con le persone e fare le cose insieme, salvo cucinare, che preferisce far fare agli altri anche quando li invita a cena. Ovviamente le piace leggere (di tutto, ma solo un po’) e scrivere (progetti, e-mail, liste della spesa); talvolta, pare per nostalgia del master, si diverte a versificare. Ama ascoltare musica e con disappunto del vicinato ha cominciato a prendere lezioni di canto.
***
Monologhi per una Genesi
I
Sia fatto di me secondo la tua parola
Ave Maria
E il Verbo si è fatto carne
questa fagocitosi d’amore cos’è che mi prende mentre mi prendi
così che vorrei scricchiolare i tuoi ossicini sottili sotto i denti
la carne sanguinolenta versarmi dentro a imbuti spermatici
dislocarti la colonna inanellata estirparla avvolta sulle caviglie
succhiate come zampe di capra e digerirti poi su un vater
qualunque in una pisciata profumata perché il pensiero di te
non mi faccia più male, Padre mio?
(cada vez que a gula defende-se da à luz filhos ossudos na rua do sangue)
Non smettere prima che il tarlo arrivi al midollo molle delle ossa
la febbre muti in altoforno l’anello delle vertebre a colpi e colpi
d’acqua scura tra le dita uno spaccanoci d’aragosta a succhiare
in schegge lente sul pavimento carne e sangue e poi cannella
e cacao bocca nera labbra a filo di lama non smettere ancora
che dalla pelle non fuoriesce ancora lo sbrano tenero della milza
per i crostini di pane bianco né le cosce delittuose sono pasto
terminale continua finché il calore spezzi in fuliggine l’aria
dalle costole arrostite fosforiche visioni postcoitali come maiali
consumare il pasto delle braccia, disarticolare, lingua di vacca
lecca cervella sulfuree nel silenzio di marmo mattatoio legale.
Sono in un tempo che non so elaborare un’altra storia
devo stare con questa che mi fa fumare molte decine
di sigarette inutili e battere sui tasti del computer
insolite combinazioni in un linguaggio vasto che poco
m’appartiene e di cui sento impropriamente il varco fra silenzio
e rumore, entro cui non m’è quasi concesso trans-migrare.
M’aiuta il fuoco dell’insonnia la compulsione per un uomo
a caso che si fa largo col suo carico d’inconsistenza
dentro distanze geofisiche incomputabili, stranamente
pericolose. Sono consapevole dei miei ventotto denti,
della mascella del palato dell’osso duro mandibolare
lievemente alterato e questo basta al generarsi d’un corpo
fisico talvolta gradevole una specie di dominazione
del sangue che si fa parola precaria, spezzettata come
mine di matita su un campo bianco bidimensionale pieno
di scorie di granelli di polvere con cui entro in collisione
sperando di poter attraversare variamente illesa
l’icona subdola d’una qualunque altra identità.
Su un fotogramma del film La strada di Levi riguardante Chernobyl e la città fantasma di Prypiat in Bielorussia.
Depois, mais nada
José Régio
Quando la vertebra si spezzò piovve manna acida, s’arricchì
il vento lieve di polveri grievi, vetrosmeriglio. Poi, più niente.
Una lanugine radioattiva graffia le sedie di sghembo, cigolano
ferri, impalcature tuorlo-acuminate sfaldano muri cartapestati
d’amianto, intonaci grassi di ruggine albumano su covate
d’erbacce assaltate: genomi transustanziati da bianchi denti
di latte, gengive rossoaccecate codificano una possibile ipotesi,
divorano una possibile ipotesi nelle interiora del male.
Si sviscera un fiato di fiele catodico, allùmina, s’anodizza
d’eternit ora che s’apre fango sul selciato d’ossa: terra
di nessuno, ossario di silenzio, vita essudata decomposta
di vita se la vita è vita o mediale germinazione d’una parola.
Palati molli consultati a spostare confini intermittenti d’aria:
un memoriale d’isotopi sfrigola a pezzi, sfiocca, sfrange
parallelismi nel big bang d’una nascenza, d’un’ominescenza
alterata che registra sedie, due sedie, due scheletrini in decoupage.
Nell’occhio vuoto fresie e rose schiacciate da flussi di mani sulle stradea calcificarsi, come per sbiancare, a mummificarsi in fango sotto
la terrazza sfatta che coniuga una vocatio a rovinare, a perdersi.
Transeat per questi corpi affastellati, per il bouquet sottile d’ossicini
migranti assetati d’uno sputo, d’un sugo, gusci affamati d’un fiato
che li faccia fango, che li faccia vita. Verbo per questa cosa scarnificatadi miele, per questa carne sconfinata maldigerita che s’addensa
in foramidi, stringe la via dei nervi fra ematomi cervicali, scinde
cervìci, s’arrende al disimpegno emozionale, stabilizza il sangue
nella carne, chiede di ritagliarla da una frase, da una formella infitta
nel territorio dell’irraccontabile, dell’ora e sempre riproducibile,
ripronunziabile.
3 commenti a questo articolo
POESIE DI MONICA MATTICOLI
2007-04-01 22:47:48|di Luigi
Per qualche arcano motivo il post non è ben visibile. In attesa che sia messo a posto dagli amministratori (Claudio, please, tu che sei un esperto web, vieni in soccorso!), può essere visualizzato al meglio cliccando su VISUALIZZA, quindi su CARATTERE infine MOLTO GRANDE. Mi scuso con Monica per l’inconveniente.
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POESIE DI MONICA MATTICOLI
2007-04-03 12:02:06|di maria
Complimenti, davvero belle!