Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Ormai diversi mesi fa, scrivendo l’ultima poesia dei miei Capitoli della commedia, immaginavo degli eventi straordinari e inventai l’immagine del quartier generale dell’esercito americano bombardato da libri di poesia. Non avrei mai pensato in quel momento che poche settimane dopo mi sarebbe capitato di riconoscere l’artiglieria ideale di un tale bombardamento nel libro d’esordio, e di recente pubblicazione, di Christian Sinicco, Passando per New York (Lietocolle, Faloppio 2005). Come Sergio La Chiusa, di cui ho parlato in un intervento di qualche giorno fa, a muovere Sinicco è la necessità di rompere le mura, talvolta di vetro talvolta di cemento armato, delle stanze della poesia. Se nel libro di La Chiusa la poesia si pone al livello di alta testimonianza della condizione umana e della poesia stessa, descrivendone il frequente isolamento cieco e sordo, nel libro di Sinicco la poesia è uscita oramai dalle sue stanze, decisa a svestirsi dei propri inutili abbellimenti e a conquistarsi un ruolo primo piano nella costituzione di un senso. È poesia civile quella di Sinicco? In un certo senso si può definirla tale ma non nel senso di quei poeti che credono di fare poesia civile solo per il fatto di parlare del caro-affitti, dell’inflazione o anche - perché no - denunciando gli orrori di una guerra o di una società ingiusta in termini strettamente politici. No, il libro di Sinicco, se è “politico”, lo è impoliticamente (o viceversa, come scrive anche Cristina Benussi nella nota introduttiva). Se questa è poesia politica, lo è quanto può esserlo ogni pensiero critico nutrito di un’intelligenza che non ama se stessa ma il mondo; se Sinicco è politico lo è pasolinianamente, più di quanto lo siano stati molti dei sedicenti pasoliniani ortodossi degli ultimi trent’anni, intenti soprattutto a cercare pasolinismi e quindi non trovando altro se non ciò che volevano trovare a priori, fedeli a un feticcio. Passando per New York non inginocchia la poesia di fronte a un altrove (politico, ideologico, estetico, pragmatico...) in cui risieda il suo senso, come non si ripiega in una poesia autoreferenziale, consolatoria o commiserante. Sinicco fa qualcosa di raro: manda la poesia in guerra con le armi della poesia. In guerra contro la barbarie e il degrado morale dei nostri giorni (e quindi anche e soprattutto in guerra contro ogni guerra). La poesia di Sinicco è un appello alle coscienze e alle intelligenze: chiede agli uomini di capire, di scegliere, di combattere contro l’indifferenza. È una guerra totale e combattuta anche sul proprio territorio. E, soprattutto, è un combattimento anche a proprio rischio, perché da una parte Sinicco bombarda il mondo con tutto l’amore, l’indignazione e il senso della bellezza di cui la poesia è capace, ma d’altro canto stana la poesia dai propri salotti e la bombarda con il peso degli eventi storici: l’11 settembre, la guerra civile irlandese, la questione palestinese, la crisi argentina... In questa collisione di mondo e poesia, ognuno si illumina e si scuote per la potenza dell’altro, e dalla deflagrazione, come in un Big Bang della cui potenza ci eravamo dimenticati, scaturisce il senso della creazione poetica, ma anche un modo responsabile di vivere quotidianamente la vita: con la sorvegliata coscienza che la responsabilità del “villaggio globale” e i sistemi democratici ci impongono, senza parole d’ordine a cui piegare intelligenza. Ecco, questa di Sinicco è un’accezione del modo di dire “vivere poeticamente” che ci sentiamo di condividere. Ed ecco cosa sono i “passaggi” che danno il titolo a quasi tutti i testi inclusi in Passando per New York: sono collusioni che scatenano reazioni e non lasciano mai le cose come stanno. Allora sì, anche i poeti perduti e dimenticati nel tempo possono rivendicare la loro utilità, se una loro poesia passando un giorno su un paese distrutto o su un paese distratto, servirà a risvegliare una coscienza o una bellezza dal torpore. Sinicco, ammiraglio della poesia in questa guerra, non ha paura a impiegare le flotte più nobili del proprio esercito; non si fa scrupolo a spendere i nomi di Yeats, Rimbaud, addirittura Leopardi, Montale, Emily Dickinson, ecc. ma anche le parole dell’amico poeta Matteo Danieli, associato al grande Rafael Alberti in un titolo. E non ha paura nemmeno a inserire, in mezzo a queste esplosioni, un delicatissimo omaggio a Prévert. Tutte queste sono provocazioni? Forse può intenderle così chi associa anche alla poesia la convinzione dei “diritti acquisiti” dell’esistente, non chi sa che accettare il presente senza critiche e senza sogni è il peggior modo per costruire il futuro. E sa che scrivere, esprimersi, comunicare - in poesia come altrove - significa rischiare la chiarezza delle proprie convinzioni, anche apparentemente paradossali. Ed anche è in questa ottica che i testi sono seguiti da un lungo apparato finale di poetica e di auto-commento alle proprie poesie. Perché, e anche in questo il coraggio mostrato è niente affatto usuale ai nostri tempi, l’obbiettivo del poeta non è accumulare ammirazione o riconoscimenti ma dire chiaramente quel che ha da dire (se ha qualcosa da dire). E provare a migliorare il mondo. Non limitarsi a moltiplicarne le rappresentazioni in una sorta di vanitoso rispecchiamento all’infinito.
6 commenti a questo articolo
> "Passando per New York" di Christian Sinicco
2006-09-08 20:49:17|di luca paci
Io trovo la raccolta di christian importante per diversi motivi. prima di tutto le poesie leggono bene, hanno una dimensione narrativa ed anti-lirica che io gradisco molto. e’ un metro ancora raro nel pur variegato panorama poetico italiano. L’altro aspetto che m’intriga e’ la volonta’ di Christian di essere chiaro. non c’e’ solo narrazione ma anche tentativo di chiarire il con- testo e l’extra-testo da e per il quale le poesie sono scaturite. infine la dimensione ’politica’ che sta sotto il lavoro poetico la trovo intrigante.
> "Passando per New York" di Christian Sinicco
2006-09-08 18:02:39|di gugl
non avendo letto il libro, parlavo in generale. Quello che dici su realtà e finzione lo condivido, specie quando la finzione altro non è che un ’vedere orientato’, un ’credere di vedere’ falsamente oggettivo. Poi ci sono le finzioni più profonde, quelle che non sanno di esserlo.
un caro saluto a Martino. Sono d’accordo sul fatto che le poesie di Christian tengono anche senza commento (come dev’essere in ogni poesia reale)
> "Passando per New York" di Christian Sinicco
2006-09-08 16:55:00|di Christian
parli Stefano della bibliografia postulata? perché non è un commento alle mie opere, che diventano in quel caso un pretesto, come lo sono i titoli, da una parte per smontare l’impalcatura di finzione degli stessi testi, quindi dell’autore; dall’altro consideravo, e considero tuttora, importante il contesto di finzione che nella realtà veniva prodotto, il cosiddetto "teatrino" a cui assistiamo impotenti. Quando Stockhausen, dopo l’11 settembre, dice che quella è l’opera d’arte più grande mai esistita, che sia folle o no, colpisce l’intuizione del fatto che il tutto sia stato assolutamente cinematografico, praticamente il mondo ha assistito alla proiezione cinematografica dell’evento. Giorni dopo le proiezioni sono continuate: il Presidente Bush è salito sui ruderi e si è messo a parlare al megafono in diretta televisiva, le parole al Congresso, e così via... In passando per New York il contesto è opera quanto il testo, poiché ha a che fare con la stessa realtà di finzione, e la mia necessità era criticare questa impostazione, attraverso la satira, il sarcasmo, cercando di svelare il trucco.
Se il libro fosse terminato con l’ultimo testo poetico, l’operazione mi sarebbe risultata monca, mancante della parte di finzione, orribile, che mi sentivo di criticare con forza. Per questo Benussi dice in intro, quelle che venivano chiamate pagine di poetica, ma oggi non possono essere considerate tali (o almeno a me non pare il caso che queste pagine siano considerate di poetica, anche perché c’è uno spostamento dal testo evidente, voluta, e solo in parte si tratta di un altro livello di un ipotetico ipertesto).
> "Passando per New York" di Christian Sinicco
2006-09-08 16:37:55|di Martino Baldi
Grazie Gugl. Le poesie di "Passando per New York" tengono anche senza commento. L’auto-commento - non in quanto tale ma per come qui è utilizzato - è però importante. E’ una deposizione dell’aurea e testimonia un desiderio di apertura che sopravanza il desiderio di ammirazione. Ma sentiamo Sinicco cosa ha da dire a proposito. Magari - suggerisco - non le solite 14 pagine e mezzo in cui non si capisce una mazza! :-)
> "Passando per New York" di Christian Sinicco
2006-09-08 13:57:44|di gugl
ciao Martino, buona l’opera di recensione e bravo Sinicco, che stimo.
L’unico dubbio è il commento finale alle proprie opere (seduzione sempre presente anche in me), ma che mi fa dire: se la poesia riesce quando non c’è commento che la contenga, perchè non consegnarla libera da ogni vincolo al lettore (tranne quello di una breve prefazione, che proponga una strada, da tradire quando possibile)?
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> "Passando per New York" di Christian Sinicco
2006-09-09 13:13:18|di luigi
io la mia sul libro di christian la dissi qui