Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
L’IMMORTALITÀ NEL GESTO MINIMO
“Hope is a knave befools us evermore,
Which till I lost no happiness was mine.
I strike from hell’s to grave on heaven’s door:
All hope abandon ye who enter in”
(Samuel Beckett, “Pseudo-Chamfort”).
Patrick Karlsen è un artista triestino, sanguemisto, classe 1978. Talentuoso ed eclettico figlio d’una città di splendida tradizione letteraria, ricade anche su di lui la responsabilità d’esserne prima e nuova espressione nel post Novecento: con l’intelligenza, la profondità e la sensibilità d’un giovane storico, che canta in versi e in prose la condizione dell’intellettuale nel tempo nuovo.
La poesia di Karlsen si fonda su tre colonne portanti: l’impegno e la satira civile e politica; l’intimismo e il sentimentalismo; l’insofferenza e lo spaesamento di fronte alle innovazioni tecnologiche. È l’artista che sogna di “agguantare le nuvole sulle rotaie”, per restituire ai suoi contemporanei la dolcezza e l’umanità di tempi e ritmi estranei alla frenesia e all’esasperazione della società odierna: è inquieto, ferito e rabbuiato nella consapevolezza dell’isolamento dell’intellettuale, basito e scosso dalla sensazione d’estraneità alla neo-lingua italiota propagandata dai media e imposta dalle innovazioni tecnologiche; s’è incarnato l’incubo vagheggiato e titillato dai futuristi, siamo nel tempo in cui leggiamo sui led e per scintillanti comandi ci ritroviamo a pensare per check, press, confirm. In “tempo reale”. Oh, abort.
Karlsen vive in una nazione irriconoscibile, che pretende pacificazione e comunanza della memoria per via d’amnesie o d’oblio o di partigiana revisione: è un cittadino che sente la responsabilità di testimoniare l’alta lezione politica, civile e democratica dei Padri della Repubblica, e rifiuta le logiche nuove che cercano respiro nello “Stivale accartocciato sconvolto”.
“Nella veronica acerba d’un ballottaggio / postindustriale” (“Dieci di giugno”), infatti, “l’Italia è uno scoglio dove / si squaglia a banchi il cerone; contrada / dei trastulli, delle paraboliche in fiore, / delle banane illiberali in corteo. A te / consegnerò un astro nuovo, ove le foche / stenteranno in pace: e non ci sarà / più traccia di corrotte entità umane” (“Il regalo”). Corruzione, culto dell’immagine fine a se stesso, caducità e precarietà di tutto: flessibile s’è fatta non solo la condizione del lavoratore, ma l’esistenza e il senso della verità e della realtà. Sopraffatto dalle aberrazioni delle violazioni dell’etica, della morale, della democrazia e dell’intelligenza, asfissiato dalla de-umanizzazione nelle interazioni tra individui, lacerato dalla coscienza d’essere incapace d’esser servo d’un potere illiberale, l’artista e l’intellettuale può e deve gridare di rabbia e di dolore – e sussurrare e sorridere solo quando si rivolge al suo amore, alla coscienza d’un amico, al microcosmo della sua esistenza. Spegnendo lo stomacante “chiasso della televisione”, Karlsen si va allora guardando attorno cercando “l’immortalità nel gesto minimo”.
È una corazziniana e gozzaniana poesia delle piccole cose: minimalista ed intimista, essenziale e postromantica. “Scrivo di quel niente di profilo ed è tutto, / il niente è la parola della poesia, tutto”.
Nel nostro nebuloso e grigio panorama letterario si propone e si staglia la voce di uno storico che conosce e domina la poesia: e fondendo e ibridando l’essenza del suo ruolo di ricercatore e creatore di bellezza va costituendo un’opera nuova; è un libro che ripudia il disordine e la feroce indifferenza della contemporaneità, rinuncia alla volgare normalizzazione figlia della menzogna idolatra della società dell’immagine, e si lascia leggere e interiorizzare, nel tempo: padre di pensieri fertili e solari: nel segno e nel destino d’una rigenerazione d’un popolo, dettata dal dominio delle arti, e della letteratura.
“What is that sound high in the air
Murmur of maternal lamentation
Who are those hooded hordes swarming
Over endless plains, stumbling in cracked earth
Ringed by the flat horizon only
What is the city over the mountains
Cracks and reforms and bursts in the violet air
Falling towers
Jerusalem Athens Alexandria
Vienna London
Unreal”
(Thomas Stearns Eliot, “The Waste Land”)
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Patrick Karlsen (Genova, 1978), poeta e storico mitteleuropeo.
Sin dall’infanzia vive a Trieste.
È stato tra i collaboratori di «Der Wunderwagen», rivista letteraria indipendente romana, e tra i fondatori del foglio universitario «Lighea» di Trieste. Redattore di Lankelot.
Patrick Karlsen, “Postnovecento”, Edizioni del Catalogo, Roma 2005.
Gianfranco Franchi, febbraio del 2005. Apparso qua e là, negli anni
Patrick KARLSEN - Postnovecento
2008-01-25 13:30:46|di gianfranco
certo.
un’idea
La mimica di una scimmia cieca ammantata
non voglio non voglio
del vello papale e poche fredde coscienze
incapaci di credere nell’infinito di un saecolum obscurum.
Profilattici difettosi - odio dei bambini - rimpianto
d’infanzia e lo stivale accartocciato sconvolto:
la folla che orina sul cadavere del capo deposto.
Mi dici - già una volta ho vissuto
questo presente detestabile quasi
per trovare conforto nelle teorie astruse
di un terminale uomo - mi sento sola, non voglio
procreare disseminare altro dolore –
voglio morire.
Leoncina regina piccolo fiore
ti ascolto comprendo - che alla base di Dio
stia l’amore è un’idea da piangere
buona per qualche pazzo santo templare
un’idea cui la chiesa triste male si adatta
nel Maggio Televisivo che sanguina e nutre
arroganze del potere, rigurgiti medio borghesi
di stelle a cinque punte. Mi sento solo
disseminare dolore
kp.04.01