di Massimo Rizzante
Massimo Rizzante (1963) è poeta, saggista e traduttore. Ha fatto parte dal 1992 al 1997 del Seminario sul Romanzo Europeo diretto da Milan Kundera.
Dal 1993 al 1996 è stato redattore della rivista letteraria Baldus. Dal 1994 è redattore della rivista L’Atelier du roman. Nel 1999 ha pubblicato la raccolta di poesie Lettere d’amore e altre rovine, Biblioteca cominiana. Dal 2004 dirige la collana Biblioteca di poesia, Il Metauro. Nel 2005 ha tradotto Il sipario di Milan Kundera, Adelphi. Nel 2007 è uscito il saggio L’albero, Marsilio e ha pubblciato la seconda raccolta poetica, Nessuno, Manni. Nel 2008 ha tradotto Un incontro di Milan Kundera, Adelphi e curato l’antologia poetica di O. V. de L. Milosz, Sinfonia di novembre e altre poesie, Adelphi. Nel 2009 è uscito il saggio Non siamo gli ultimi, Effigie. Nel 2010 ha curato la raccolta poetica di M. Crnjanski, Lamento per Belgrado, Ponte del Sale e ha pubblicato la novella Ricordi della natura umana, La Camera Verde.
Ha curato una nuova edizione dei "Sonnambuli" di H. Broch, Mimesis, 2010.
Insegna all’Università di Trento.
di Cecilia Bello Minciacchi,
Paolo Giovannetti,
Massimilano Manganelli,
Marianna Marrucci
e Fabio Zinelli
di Yolanda Castaño
di Domenico Ingenito & Fatima Sai
di Maria Teresa Carbone & Franca Rovigatti
a cura di Massimo Rizzante e Lello Voce
Une delle tante scoperte dei miei anni a Parigi (gli anni Novanta, gli anni della fine del comunismo, gli anni della guerra dell’Europa all’Europa) è stata l’opera di Tadeusz Rózewicz. Nato nel 1921 a Radomsko, un villaggio di ventimila anime sulla linea ferroviaria Varsavia-Vienna, questo poeta polacco, appartato e distante dalla società letteraria della capitale, è stato un grande testimone della seconda metà del XX secolo.
La cosa più importante che mi sento di dire su Rózewicz è che egli, rispetto a Celan (un poeta che in Italia, a differenza di Rózewicz, è continuamente nei pensieri e nelle aspirazioni di molti poeti, critici e traduttori) rappresenta l’altra possibilità del fare poesia dopo Auschwitz, la possibilità per così dire non metaforica, non metafisica, ma realistica, ordinaria. A questa volontà di riportare la lingua poetica a un ricominciamento conoscitivo privo di remore nei confronti di ogni altro registro linguistico, egli è rimasto coerentemente fedele per tutta la vita.
Trascrivo qui, quali indicazioni di rotta ai naviganti, alcuni versi tratti da quattro poesie che appartengono rispettivamente agli anni quaranta (Superstite), agli anni sessanta (Correzione di bozze), agli anni ottanta (Una poesia) e agli anni duemila (Perché scrivo?).
Solo di recente, nel 2007, è uscita in Italia, grazie all’impegno e alla cura di Silvano De Fanti, un’antologia della sua vasta produzione, dal titolo Le parole sgomente. Poesie 1947 – 2004 (Metauro).
Superstite
Ho ventiquattro anni
sono sopravvissuto
condotto al macello.
Ecco termini vuoti sinonimi:
uomo e animale
amore e odio
nemico e amico
buio e luce.
Uomini e bestie ammazzati alla stessa maniera
ho visto:
furgoni di uomini fatti a pezzi
che non saranno redenti.
Le idee sono solo parole:
virtù e crimine
verità e menzogna
bellezza e bruttezza
eroismo e codardia.
Virtù e crimine hanno lo stesso peso
ho visto:
un uomo che era insieme
virtuoso e criminale.
Cerco un insegnante un maestro
che mi renda la vista l’udito la parola
che dia alle idee e alle cose un nuovo nome
che separi la luce dalle tenebre.
Ho ventiquattro anni
sono sopravvissuto
condotto al macello.
Correzione di bozze
La morte non corregge
una sola riga nella strofa
non è una correttrice
non è l’affabile signora
redattrice
una brutta metafora è immortale
da morto un pessimo poeta
è un pessimo poeta morto
post mortem il noioso annoia
dall’al di là lo sciocco
continua a dir sciocchezze
Una poesia
Volevo descrivere
il cadere delle foglie
nel parco del meriggio
i cinque cigni bianchi
sullo specchio appannato
dell’acqua
volevo dipingere
i crisantemi neri
ossidati di brina
la luce sulle labbra
di una ragazza
che passava
pensavo ai poeti
del regno di mezzo
padroni della scienza
dello scrivere opere perfette
si sono spenti
ma la luce dei loro versi
giunge a me
dopo mille e mille anni
una foglia ha toccato il suolo
ho compreso
le immagini piangenti
il silenzio della musica
il mistero della poesia mutilata
al mio ritorno a casa
la mano ha cominciato
a scrivere una poesia
sordomuta
voleva esistere
vedere la luce
ma io non la voglio scrivere
la sento mentre piano
cessa di respirare
Perché scrivo?
talvolta la “vita” nasconde
Ciò
che è più grande della vita
Talvolta le montagne nascondono
Ciò
che sta dietro le montagne
perciò bisogna spostare le montagne
ma io non ho i necessari
mezzi tecnici
né la forza
né la fede
che sposta montagne
perciò non lo vedrai
mai
lo so
e per questo
scrivo
Per Tadeusz Rózewicz
2011-06-26 08:59:41|di anastasia
Notevole. L’ho postato sulla mia pagina fb. Grazie