Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce

Redatta da:

Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.

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Per una critica futura n° 3

Articolo postato mercoledì 28 marzo 2007

PER UNA CRITICA FUTURA N° 3

Indice Andrea Inglese, Editoriale; Giuliano Mesa, Biografie perdute; Marco Giovenale, Scheda o schema per un dialogo su sperimentazione / avanguardia / ricerca; Andrea Inglese, L’impronunciabile parola “avanguardia”; Biagio Cepollaro, Amleto dopo Wittgenstein; Davide Dalmas, Su Trilorgìa.

Dialogo a più voci (Interventi di Biagio Cepollaro, Marco Giovenale, Giorgio Mascitelli, Davide Racca, Giulio Marzaioli, Marina Pizzi, Carlo Dentali, Giuliano Mesa, Gherardo Bortolotti).

www.cepollaro.it/poesiaitali...

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Andrea Inglese

Editoriale

Fantasmi In uno dei suoi interventi nel Dialogo a più voci, Cepollaro scrive: “Il Novecento credo sia più lontano di quanto noi tutti siamo disposti ad immaginare. La difficoltà ora sta nell’orientarsi e nel riconoscere queste alterità.” Mi sembra un buon punto di partenza per introdurre questo corposo e denso terzo numero di Per una critica futura. È vero, il Novecento è alle nostre spalle, ha iniziato ad esserlo probabilmente dal 1989, ma in ogni caso nel giro di circa un ventennio una quantità di strumenti concettuali hanno subito un precipitoso invecchiamento. Questo è ovviamente valido anche per quegli strumenti che utilizziamo nella riflessione sulla letteratura e, più in particolare, sulla poesia. Ma a differenza di quanto dice Cepollaro, non credo che sia possibile “confrontarsi” alla pura alterità.

Noi ci troviamo piuttosto in una terra di mezzo, in una zona non ben definita, all’interno della quale fantasmi di oggetti conosciuti si confondono con sagome di oggetti del tutto nuovi. E malgrado i fantasmi siano tali, ossia nature fluttuanti e quasi inconsistenti, sono anche gli unici elementi orientativi di cui disponiamo. Questi fantasmi assomigliano a ciò che alcuni sociologi definiscono “categorie zombie”, ossia concetti che continuano ad essere utilizzati, pur avendo perso il loro potenziale euristico. Eppure le categorie zombie sono in qualche modo indispensabili per traghettarci nel nuovo mondo, tra fenomeni inediti e solo parzialmente riconoscibili. L’importante, in tali circostanze, è rendersi conto che si sta operando a partire da fantasmi, e non da solide e indiscutibili armature concettuali. Noi, in questo numero della rivista, abbiamo lavorato accanitamente a partire da alcuni concetti fantasma: “avanguardia”, “sperimentazione”, “ricerca”, per citare la triade principale. Ma questo lavoro non assomiglia a quello dei vari specialisti, storici o teorici della letteratura, che si ergono a difensori e garanti dell’autentico e originario significato di queste espressioni. A noi non interessano i monumenti del passato, ma quanto del passato è ancora vivo e operante nell’oggi.

Noi non abbiamo riflettuto su questi termini, per restaurarne un’immagine fedele e adeguata, per restituire ad essi una presenza che sfuggiva. E in questo Cepollaro ha perfettamente ragione. In una conversazione, mi disse: “Facciamo questo lavoro, parliamo ancora di questo, per non doverlo poi fare più”. Non so se la metafora della “giusta” sepoltura, sia quella adeguata e solo seppellendo questi nomi, constatandone la loro esaurita utilità, anche i loro fantasmi cesseranno di abitarci. Il problema è più complesso: nel fantasma qualcosa di ancora vivo, e che vuole essere raccolto dai vivi, si presenta con le sembianze di una persona ormai morta. Credo che il nostro lavoro in questi interventi sia stato dedicato soprattutto a carpire che cosa ancora ci parla, nel paesaggio del XXI secolo, di certe esperienze cruciali del XX. Quanto al cadavere, lo lasciamo alle schiere di ottimi impagliatori nostrani. In una notazione dell’ottobre 1986, tratta dagli stralci di diario pubblicati sul numero 31 del “Verri” (luglio, 2006), Luciano Anceschi osservava: “È una abitudine italiana (che a Bologna ha forme molto acute) quella di trattare i poeti non già come l’argomento di un discorso sempre aperto, anzi di erigerli immobili come monumenti di se stessi.” Strano destino, quello della cultura italiana, capace di apprezzare finalmente solo ciò che smette di respirare…

Materiali La poesia interessa a pochi, la critica di poesia a pochissimi. Eppure la riflessione sulla poesia è connaturata al suo farsi. Contro un’idiozia ancora circolante, che vorrebbe separare l’attività critica da quella inventiva o creativa, i testi qui raccolti dimostrano due cose: 1) i poeti-critici esistono, sentono l’esigenza di discutere, e probabilmente in modo più antidogmatico di quanto spesso lo facciano i critici-critici; 2) la discussione dei poeti-critici avviene sempre più spesso al di fuori dei luoghi tradizionalmente deputati al dibattito critico (università e riviste militanti). Se il primo punto è senz’altro positivo, lo è molto di meno il secondo. Il paesaggio culturale italiano si trascina dietro dei guasti atavici, anche se, come spesso succede, questi sono il riflesso di grandi virtù. Solo che le grandi virtù sono vieppiù in via d’estinzione, mentre i guasti si rafforzano e si estendono. Tra questi vi è la divisione gerarchica dei luoghi e dei ruoli, che impedisce una disinibita e franca circolazione delle idee. È una vecchia faccenda: più importante di ciò che viene detto, lo è chi lo dice e dove lo dice.

La diffusione e la vitalità dei siti e dei blog letterari in rete ha cominciato a scompaginare non poco il panorama esistente, ma l’obiettivo non è certo quello di realizzare un’ulteriore isola tra le isole, bensì quella di mettere in comunicazione il passo agile e spregiudicato delle discussioni in rete con quello più prudente e titolato delle discussioni su rivista o di convegno accademico. Molti di noi, seppure in forme incerte – professionalmente precarie – appartengono a tutti questi diversi mondi: fanno ricerca universitaria, collaborano a convegni e pubblicazioni specialistiche, scrivono e pubblicano su le riviste letterarie più importanti, organizzano addirittura incontri e letture poetiche, traducono, ecc., eppure sentono che manca una integrità di espressione attraverso queste diverse esperienze. E, in ogni caso, anche coloro che non hanno nessun rapporto di tipo professionale con l’università, nella semplice veste di poeti-critici hanno da dire cose preziose e importanti, a cui si dovrebbe dare spazio di ascolto in ogni sede ove si discuta intorno alla poesia contemporanea. Una tale apertura è oggi ancora ampiamente ostacolata, ma proprio per questo i quaderni di Per una critica futura possono svolgere un lavoro fondamentale, che è ad un tempo di stimolo e di raccolta, di propulsione e di registrazione. La ricchezza dei materiali che circolano in rete sconta la fluidità estrema del loro veicolo: tanto facilmente essi possono apparire, tanto facilmente possono scomparire, scivolando in fondo all’home page, o peggio, negli oscuri archivi di un blog.

Questo numero si apre con quattro saggi assai densi: di Giuliano Mesa, di Marco Giovenale, uno mio e l’ultimo di Biagio Cepollaro. Il saggio di Mesa, che costituisce una postfazione al libro Biografia della poesia di Marzio Pieri, è stato per ragioni di spazio diviso in due parti. La seconda parte apparirà sul prossimo numero della rivista. Tutti e quattro i saggi nascono individualmente, secondo impulsi e occasioni diverse. Eppure essi presentano “un’aria di famiglia” e soprattutto approfondiscono, da più punti di vista, una serie di temi guida che hanno caratterizzato la nascita di questo progetto: Alcuni sono già stati ampiamente esplicitati, e si concentrano intorno alla figura dell’ascolto, dell’esperienza della lettura, dell’attenzione rivolta al testo, nella sua singolarità. Un tema nuovo che emerge, e su cui senza dubbio ritorneremo ancora, è quello delle forme di scrittura che, benché minoritarie, sono portatrici di valori estetici, ma anche etici e politici, fondamentali, e per questo motivo vanno rivendicate e difese anche sul piano della riflessione critica.

(Quando parlo di “valori fondamentali”, è chiaro che parlo non a nome dell’universale, ma a nome di una parte, quella parte che, innanzitutto, sceglie l’ascolto, l’attenzione ai testi, l’apertura al dialogo – che non è mai, comunque, indiscriminata – e soprattutto la considerazione per quello che si dice e non per chi o dove lo dice.) Un altro tema toccato è quello che riguarda i rapporti tra letteratura e ideologia. Se ne parla in più occasioni, per ricordare, come fa Mesa, la compromissione di celebrati poeti e scrittori italiani con il fascismo, o per analizzare, come faccio io, l’astratta e indeterminata volontà di contestazione della neoavanguardia. Ma anche nel dialogo a più voci diversi cammini portano a riflettere su questo nesso.

Conclude la prima parte, una recensione di Davide Dalmas dedicata a Trilorgìa, un libro di poesie firmato da tre autori (Lisa, Durante e Scaramuccia). Certo, abbiamo detto che vogliamo scrivere di poesia, al di fuori della forma “recensione”. Ma non sarà facile farlo. E comunque nel suo breve scritto, Dalmas fornisce uno spunto importante di riflessione intorno ai limiti dell’odierno manierismo. Spunto che investe il lavoro dei tre autori citati, ma che riguarda un po’ tutti noi, e soprattutto coloro che non fanno più problema dell’opzione manierista e iperletteraria nelle sue possibili contaminazioni pop piuttosto che sperimentali o barocche. Di certo, oggi, il manierismo, per il grado di consapevolezza dei propri mezzi e dei repertori formali che implica, si pone come più evidente alternativa al lirismo ingenuo, che sotto le più disparate maschere – intimista, orfico o surrealista – minaccia costantemente di confinare il genere “poesia” in un eterno presente. Eppure, e questa è una convinzione personale, la sfida maggiore che ci è riservata riguarda proprio la possibilità di uscire dal manierismo. Ma questo è ancora un ulteriore tema, qui solamente evocato.

La seconda parte di questo numero della rivista è intitolato Dialogo a più voci e raccoglie, per ora, l’intervento di nove autori. Si tratta di interventi quasi sempre assai brevi, che sono stati innescati da un primo botta e risposta tra Biagio Cepollaro e Marco Giovenale intorno alla definizione di “poesia di ricerca”. Sono seguite riflessioni di Giorgio Mascitelli, Davide Racca, Giulio Marzaioli, Marina Pizzi, Carlo Dentali, Giuliano Mesa, Gherardo Bortolotti.

Una buona lettura. 18/03/2007

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