Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
«Il Performer, con la maiuscola, è un uomo d’azione. Non è qualcuno che fa la parte di un altro. È l’attuante, il prete, il guerriero: è al di là dei generi artistici. Il rituale è performance, un’azione compiuta, un atto. Il rituale degenerato è uno show. Non cerco di scoprire qualcosa di nuovo, ma qualcosa di dimenticato. Una cosa talmente vecchia che tutte le distinzioni tra generi artistici non sono più valide.»
J. Grotowski, Il Performer, 1987 (in J. G. Testi 1968-1998, Bulzoni Editore)
«Riformulare: tutto il contrario d’immedesimarsi e/o riferire. (…) Gli attori dicitori riferiscono altro; parlano e cantano d’altro, più o meno in quell’altro immedesimandosi. Essi ricordano, commemorano, celebrano, commentano, assolutamente ignari del momento poetico che dalla loro voce esige, al contrario, la (ri)formulazione. (…) Questi incauti, avventati e superficiali dicitori-attori-conferenzieri riferiscono il “testo”, ignoranti che il testo è l’attore; il testo è la voce. (…) Nella scrittura vocale, poesia è la voce. Il testo è la sua eco. »
C. Bene, Il monologo, 1982 (in La voce di Narciso, Il Saggiatore)
Il destino della poesia è la voce. E la voce è, della poesia, il suo limite e la sua necessità.
Voce e poesia stanno in rapporto da sempre. La voce comunica se stessa alla poesia, e viceversa. Esiste una scrittura poetica che non abbia dentro di sé l’orale? E può esistere l’oralità senza scrittura? Separare i due ambiti è non avere compreso la poesia.
In ogni caso: a) la voce è il “limite” della poesia, nel senso che nella lettura ad alta voce si depotenziano fortemente “le procedure di artifizi stranianti, che in un testo scritto cospirano a far prevalere la funzione poetica del linguaggio su quelle referenziali, emotive, conative o altre” (F. Fortini); b) la voce è anche una “necessità”, e proprio perché la propensione a farsi ascoltare è propria di tutta la poesia.
Le poesie lineari e le poesie performative sono due tipi di “scrittura” diversi. Nel primo caso, la poesia nasce per la pagina, è cioè creata per la lettura solitaria, e le sue parole sono fatte risuonare per attivare un certo tipo di percezione che potremmo definire a-uditiva. Nel secondo caso, siamo in presenza di un componimento che nasce non tanto per essere “messo in voce” (che farebbe presupporre la primarietà del testo), ma voce fin da subito, legato alle caratteristiche timbriche o ritmiche della vocalità del poeta e alle sue inclinazioni in materia di “dizione”. In questo secondo caso, di solito il poeta accompagna lo scritto con un CD o con altro supporto audio e il giudizio sulle sue qualità andrebbe articolato a partire da questa intenzionalità di partenza, essendo comunque la poesia performativa un’altra cosa da quella scritta per una lettura solitaria. Se il fine della poesia è il lettore-ascoltatore, allora il microfono, l’effettistica ad esso collegata, l’uso di certi risuonatori vocali a scapito di altri, la gestualità, e tutto quanto concorre all’esecuzione, sono a tutti gli effetti elementi di sintassi e di metrica; nel giudizio non posso “dimenticarli”.
Qui va però fatta una precisazione. Lo scadimento culturale è innegabile, a tutti i livelli. E la stessa poesia performativa è spesso un paravento per una incapacità di scrivere poesie veramente necessarie, oltre che mostrarsi come assolutamente non in grado, nella maggior parte dei casi, di affrontare con cognizione di causa l’aspetto della performance.
Solo la scrittura vocale dell’attore è in grado di realizzare la sostanza fonica della parola con maggiore efficacia artistica del poeta che dice a voce alta. L’attore, quando è capace di uscire dalle gabbie della rappresentazione (che non nasconde la propria soggettività dietro il “ruolo”), dispiega la voce nella sua “gamma infinita”, permettendole di articolarsi senza limiti e secondo le innumerevoli possibilità timbriche, ritmiche, tonali. Questo perché il lavoro quotidiano dell’attore – training, prova, palcoscenico – è indirizzato alla continua sperimentazione del ciclo di produzione vocale (fiato-vibrazione-parola), affinando la padronanza delle molteplici variazioni sonore. Se l’attore è un “essere fonico”, e non, come vuole la vulgata, un ripetitore di caratteri altrui, la recitazione non può che essere fusione dei registri della voce, del linguaggio e della musica. È la poetica del “recitar cantando”, dove alla fascia semantica della lingua viene sommata una fascia sonora che non le corrisponde (nell’evidente distacco tra significato e significante linguistico). Sono convinto, anche a fronte di un ascolto “professionale” delle performance di gran parte dei poeti odierni, che solo questo tipo di attore (cantore e poeta insieme) possa fare esplodere “quel pandemonio di orchestre secolari” che ognuno di noi ha dentro (ovviamente nel campo della parola detta in pubblico senza essere canto). Non è mia intenzione sminuire la poesia performativa. Dico solo che la performance ha le sue “regole” e la sua tessitura è imparentata con quella della recitazione … E in questo campo – nel campo cioè della trattazione sonora della parola – gli attori hanno detto di più e meglio …
33 commenti a questo articolo
Poesia e performance
2008-03-29 16:35:54|di agoghost
complimeti per la qualità della discussione. il tema mi attrae particolarmente poichè il tema della prossima edizione del festival che dirigo sarà "il limite della performance".
a presto
Poesia e performance
2008-01-25 00:19:26|di luigi
Nevio, Maria, invece di seminare link qui, perché non preparate dei post ad hoc, autore per autore, performance per performance? Sarebbe utile, almeno per me, protrarre il dibattito nei prossimi mesi, in modo da avere il tempo di pensarci con calma, acquisire nuovi dati, vedere e ascoltare nuovi materiali audiovisivi...
Poesia e performance
2008-01-24 15:53:58|di maria v
Nevio, chiudiamo in parità, la guerra non è tra noi, ma fuori di qui e noi dobbiamo collaborare tutti insieme, fare comele formiche come diceva braibanti, come diceva grifi, "comunicare" come ricordo che protestarono una volta sparajurij, dicendo "l’uomo si esprime. gli insetti comunicano". appunto, imitare gli insetti. creare una comune.
aggiungo solo, per chi interessa indicazioni bibliografiche, sitografiche:
specie sezione stuff
e ideas
poi consiglio consultare
mediamenterai
consiglio particolarmente questo autore
e questo
Poesia e performance
2008-01-23 10:49:08|di nevious
Altre sollecitazioni, in risposta:
«La socialità dell’arte intesa qui come capacità di provocazione immediata, quando esiste, la verificheremo nel teatro, o non la verificheremo. (…) Sia scontano, anche, almeno tra noi, che il cinema non ha mai possibilità di verifica della provocazione, e, più, almeno in termini di avanguardia, non ha capacità di provocazione; può essere certo didattico e/o consolatorio, ma appunto presuppone sempre, opera strutturalmente chiusa, un lettore passivo, anzi mai uno, mai una persona, ma una massa inerte. A teatro è il fiato dello spettatore che dà fiato all’attore».
Approccio alla performance (come fare critica):
* verifica della coerenza tra l’intenzionalità e il risultato: «non esiste gioco (insistiamo su ‘gioco’, perché il termine ha il pregio di esprimere il gratuito e il necessario insieme, libertà e necessità nel contempo), cioè artificio, arte, senza regole, senza cerimoniale (…) e dunque ha un segno nettamente positivo la qualifica di ‘professionista’, e negativo quella di ‘dilettante’».
* verifica della consapevolezza della situazione in cui si opera: la crisi della cultura odierna, ma anche come questa crisi si riversa nel campo dell’arte; e poi «la consapevolezza che sulla scena tutto è linguaggio, dal gesto alle luci; e soprattutto sulla scena c’è il corpo umano tangibile, donde ha origine ogni nozione di linguaggio. Rimane in ogni caso centrale nel teatro (nella performance, ndr) lo scontro del linguaggio dei sensi e del linguaggio delle idee nel corpo umano». In particolare, la consapevolezza della situazione deve riguardare: «a) l’impossibilità di intendersi con le parole correnti, ovvero con molti costrutti sintattici e locuzioni lessicali, i più correnti e banali; b) l’invenzione di nuovi significati o semantizzazione del linguaggio, cioè progettazione per la lingua».
* verifica della consapevolezza che gli operatori hanno dei propri mezzi: la produzione di senso nella performance presuppone il corpo in azione e la relazione intersoggettiva; ogni gesto, al pari di ogni intonazione o di ogni postura, viene «investita di significato». Il corpo è la materia principale di ogni performance; sono quattro «le aree interessate all’articolazione (sintassi della performance)»: i gesti, la mimica, le intenzioni e i suoni vocali. Il corpo del performer partecipa allo stesso tempo al piano dei significanti e a quello dei significati». Il corpo del performer è, a tutti gli effetti, il ’testo’ della performance.
Tutte le citazioni sono tratte da Il fiato dello spettatore, di Elio Pagliarani, Marsilio editore (proprio Pagliarani il poeta, sì, ché per molto si è occupato di teatro).
Della serie “altri link”: qui si può vedere un video di una performance teatrale in cui l’attore-autore Roberto Latini, con l’ausilio della motion capture (primo ad usarla in Italia dal vivo, credo), propone una versione dell’Ubu incatenato.
ng
Poesia e performance
2008-01-22 22:12:52|di maria valente
carissima silvia sono io a ringraziare te per i tuoi contributi. non si può rispondere a tutte le suggestioni, il mio problema è che c’ho un casino di cose da dire e non so da dove cominciare
facciamo quello che si può, allora nevio, tu metti il dito nella piaga, ma facendomi urlare per molte delle cose che scrivi. innanzitutto:
se credessi che una poesia bastasse a salvare il mondo sarei cerebro lesa, ma ti giuro che il giorno in cui smetterò di credere che la poesia possa avere un senso, fornire un contributo, fare una qualsiasicazzodicosa allora mi farò tagliare una mano prima di scriverne ancora.
ma ognuno faccia la poesia che crede.
punto due, ricominciamo con Benjamin:
"una ripresa cinematografica e specialmente sonora offre uno spattacolo che in passato non sarebbe stato immaginabile. esso rappresenta un processo al quale non può più venir coordinato un solo punto di vista....
questo fatto rende superficiale e irrilevante l’analogia tra scena ripresa nello studio e scena recitata a teatro. Per principio il teatro conosce un punto dal quale ciò che avviene in scena può non essere visto come senz’altro illusorio. di fronte alla scena ripresa dal film questo luogo non esiste [...]
La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte modifica il rapporto delle masse con l’arte. Da un rapporto estremamente retrivo a un rapporto progressivo[...]
la pittura non è in grado di proporre l’oggetto alla ricezione collettiva simultanea, cosa che invece è sempre riuscita all’architettura, che riusciva un tempo all’epopea, che riesce oggi al film [...]
Il cinema non trova le sue caratteristiche solo nel modo in cui l’uomo si rappresenta di fronte all’apparecchiatura necessaria alla ripresa, ma anche nel modo in cui si rappresenta, con l’aiuto di quest’ultima, il mondo circostante [... +
Il cinema ha avuto come conseguenza approfondimento dell’appercezione su tutto l’arco del mondo della sensibilità ottica e ora anche di quella acustica.
Il fatto che le prestazioni che il film propone sono analizzabili in modo molto più esatto e da punti di vista molto più numerosi di quelli che si rappresentano sulla scena costituisce l’altra faccia...rispetto al palcoscenico, la maggiore analizzabilità della prestazione rappresentata nel film è condizionata dalla maggiore isolabilità. Questa circostanza comporta una tendenza apromuovere la vicendevole compenetrazione arte e scienza[...]
mentre il cinema, mediante i primi piani di certi elementi dell’inventario, mediante l’accentuazione di certi particolari nasciosti di sfondi abituali, mediante l’analisi di ambienti banali, grazie alla guida geniale dell’obiettivo, aumenta da un lato la comprensione degli elementi costrittivi che governano la nostra esistenza, riesce dall’altro anche a garantirci un margine di libertà enorme e imprevisto...[...] poi è venuto il cinema e con la dinamite dei decimi di secondo ha fatto saltare questo mondo simile a un carcere...
col primo piano si dilata lo spazio, con la presa al rallentatore si dilata il movimento...porta alla luce formazioni strutturali della materia completamente nuove[...]
Uno dei compiti principali dell’arte è stato da sempre quello di generare esigenze che non è in grado di soddisfare attualemnte. La storia di ogni forma d’arte conosce periodi critici in cui questa determinata forma mira a certi risultati, i quali potranno per forza essere ottenuti solo a un livello tecnico diverso, cioé attraverso una nuova forma d’arte. [...]
La massa è una matrice dalla quale attualmente esce rinato ogni comportamento abituale nei confronti delle opere d’arte. la quantità si è ribaltata in qualità: le masse sempre più vaste di partecipanti hanno determinato un modo diverso di partecaipazione.[...]
La vecchia accusa secondo cui le masse cercano solo distrazione mentre l’arte richiede raccoglimento...si tratta di un luogo comune...l’architettura ha sempre fornito il prototipo di un’opera d’arte la cui ricezione avviene nella distarzione e da parte della collettività. le leggi della sua ricezione sono le più istruttive[...]
attraverso la distrazione, quale offerta dall’arte, si può controllare di sottomano in che misura l’appercezione è in grado di assolvere compiti nuovi. Poi ché del resto il singolo sarà sempre tentato di sottrarsi a questi compiti, l’arte affronterà quello più difficile e più importante quando riuscirà a mobilitare le masse...la ricezione nella distrazione" (W. Benjamin in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica")
Punto tre: Dopo il cinema venne la tv, noi veniamo modificati dai media, la tv ha creato la cultura di massa.
La tv l’abbiamo subìta, ci ha imposto l’immaginario preconfezionato dall’industria.
Poi venne il pc, col quale abbiamo imparato a reagire. Ogni lettore è diventato potenziale autore, da consumatori siamo diventati produttori. L’uomo massa era omologato e anonimo, l’uomo di computerland, quando ha trasformato il mostro in elettrodomestico ha avuto libero accesso all’info, non più un solo punto di vista, frontale della tv, ma una pluralità di punti di vista, garantiti dall’interazione.
Ora ci sarebbero un casino di cose da dire, ma limitiamoci a questo assunto: "per espandere il raggio della responsabilità sociopsicologica così come per scoprire una rinascita globale e collettiva, il ruolo dell’arte è essenziale...il vero problema è cambiare la percezione"
Infine sulla performance: Hal Foster individuava 3 modelli di performance già nei 50-60, rielaborati nella body art 70; Performance come: azione, come task e come rituale, sulla task si veda Vito Acconci e gli studi di adattamento che stabiliranno relazioni col pubblico, gli eventi live a un certo punto sono stati tradotti in foto e video, si veda Gina Pane che considera foto parte integrante dell’azione, infine è stato impiegato il video - Diretto (=opera) // -Mediato (= documentazione)
La performance è un filo rosso che parte dalle culture primitive e arriva all’uso più spregiuducato e politico di internet, non starò qui a fare la storia, sintetizziamo nel dire che la dimensione artistica di questo progetto non consiste nel produrre un oggetto, ma nel creare eventi comunicativi, e concludiamo precipitosamente col dire che la net art è una tipologia di performance: perché internet, nel momento in cui entra nelle mani di questi artisti, vi entra come luogo pubblico e come palcoscenico mondiale su cui agire, su cui svolgere delle azioni"
Il concetto di performance è una voragine in cui non volevo addentrarmi, ma, quello che a me interessa è sottolineare questo:
finora ci siamo lamentati che gli spazi della poesia erano pochi, di difficile accesso, bene riprendiamoceli:
abbiamo saltato il mercato editoriale, aabiamo usato internet come carta, poi questo ha avuto delle conseguenze sulle modalità di scrittura,
poi in quella dimensione di seconda oralità si sono diffuse le registrazioni audio,dai cd ai files liberamente scaricabili in rete
io sto solo suggerendo di bucare anche lo schermo e scambiarci liberamente il video, è un mezzo che ha il suo perché, incidiamo anche su un’altra sfera percettiva, le tecniche ci sono, non siamo certo pionieri, ma diffondiamo, ampliamo, impariamo anche questo linguaggio.
Riprendiamoci, occupiamo tutti gli spazi possibili, finché si può, internet è una grande chance, ma bisogna studiarne il linguaggio per adoperarlo al meglio.
E, luigi, alla tua domanda se posso, rispondere anch’io, ti dico che per me, in tutta onestà, tra tutti quelli che hai nominato, il performer migliore è lello voce, Se performance è innanzitutto creazione di un evento comunicativo, nessuno dei poeti da te nominati è riuscito a comunicare tanto,
perché ha fatto della poesia qualcosa che è andato infinitamente oltre la sua poesia, sia mettendosi in rete, sia creando questo spazio, che è stata per me l’unica salvezza. Se non avessi avuto absolute, e tutto quello che è: dal serbatotio di info e cervelli e poesie e poetiche al luogo di aggregazione, di manifestazioni, all’irraggiamento da cui hanno avuto origine tutti i miei studi sulla poesia, ti assicuro che io, nel mio mondo, sarei stata spacciata. Questo lo dico prima di tutto al Voce, che anche quando contesto, e anche qualora non fosse d’accordo con una sola sillaba da me pronunciata, non smetto mai di considerare il Maestro.
Poesia e performance
2008-01-22 19:05:54|di Molesini
Se un testo vale perché c’è un attore, un recitattore o un interprete qualsiasi che lo fa valere, e da solo non vale nulla, è perché il testo è stato pensato, o lasciato, per/a queste istanze. O perché di testo non c’è proprio bisogno, la parte fondante del lavoro espressivo essendo situata altrove ( coreografia, scenografia e spartito possono divenire semplicemente codici descrittivi, registrazione di mansioni.)
Il testo di cui parliamo qui (poesia e performance), invece, ha una sua autonomia propria, se vuole, privata anche della voce esposta e collocata nel pensiero.
Con la "performance" rimaniamo sull’argomento "restituzione", o su quello della trasformazione dell’opera in atto da parte di interessanti forze superagenti (a ’sto punto molliamo il concetto di progetto). Il movimento è quello degli ipertesti, dell’andare altrove data una sorta di base, anche pretestuosa.
Lo "scrivere per la voce-performance", di cui Christian parla volentieri, è invece una presa di posizione che recupera progetto e visione dagli assunti di partenza, e credo voglia essere un modo di porsi anche forte davanti a certa accademia e a (certa?) critica.
(non vi ringrazierò comunque mai abbastanza per tutto questo florilegio di buone indicazioni multimediali, Maria e Nevio)
Poesia e performance
2008-01-22 14:20:17|
Ah, Luigi, la tua è una domanda trabocchetto!
In ogni caso (figurati se mi tiro indietro!), posso dirti:
• che l’opera Elettra di Balestrini senza l’attrice Ilaria Drago varrebbe meno che zero;
• che della Lo Russo ne ho scritto più che bene (qui, ad esempio) e che non dovresti mai dimenticare che Rosaria ha un retroterra da attrice; e ti posso anche dire, così, per amore della precisione, che le sue potenzialità vengono notevolmente degradate nello slam;
• che Fontana è l’unico poeta sonoro italiano che merita ascolto;
• che Frasca non l’ho mai visto dal vivo;
• che di Lello parlo solo in presenza del mio avvocato …
e in ogni caso posso dirti che qualsiasi sia la risposta alla tua domanda, o qualsiasi sia la forza dei miei argomenti, nulla può scalfire la tua diffidenza nei confronti del mio assunto di partenza … Ma tant’è … Io mi limito a suggerire ai curiosi l’ascolto di QUESTO BRANO dell’attrice Carla Tatò in una performance con Robert Ashley … E ognun si faccia le sue valutazioni …
ng
Poesia e performance
2008-01-22 11:46:31|di luigi
nevio, come valuti, dal punto di vista tecnico della "performance vera e propria" (per citare again Schechner), le esperienze orali&multimediali di (in ordine sparso; viventi) fontana, lo russo, frasca, voce, lora totino, minarelli, balestrini (etc.)?
Poesia e performance
2008-01-22 09:06:25|di nevious
Maria, se sono inchiodato sul teatro è certo perché è il mio lavoro, poco ma mi dà da mangiare o comunque mi riempie le giornate …
Rispetto al cinema come performance, un conto è se usi l’immagine filmica “live”, insieme ai corpi vivi, un altro se sei seduto sulla poltrona … E non è questione di fare “gerarchie” … La parola “performance” ha un suo significato ben preciso, convenzionale quanto vuoi, però è quello; come un qualsiasi vocabolario potrà confermare, la performance è un evento “che coinvolge quattro elementi base: tempo, spazio, il corpo dell’artista e la relazione tra artista e pubblico” (Wikipedia) …
“Uscire dal teatro” non è abbandonare lo spazio fisico, ma uscire dall’ambito dell’estetico per acquisire consapevolezza che un segno è sempre relazione col mondo, che è sempre anche visione del mondo (dunque, pur con mille mediazioni, politico) … E poi il teatro “di strada”, per quanto mi riguarda, non ha dato frutti interessanti e anche il Living non lo si studia o ricorda per le performance fuori dal teatro, ma per spettacoli memorabili tipo Paradise Now o Antigone … Ma ognuno è libero di scegliersi la strada che predilige …
Una cosa soltanto: per il teatro, ma credo anche per la poesia, il “cercare di raggiungere più persone possibile” è un falso problema: non è nell’audience che si risollevano le sorti delle arti … E poi prediligo un confronto più intimo con lo spettatore, in sale da 50-100 posti, dove il respiro, che è la base di tutto, viene colto per intero, e dove la vibrazione che emana dal corpo in un certo senso chiama a testimoniare uno per uno i presenti, senza dare la possibilità di nascondersi in una folla anonima … L’evento teatral-poetico che ha avuto più spettatori credo sia la lettura di Dante dalla Torre degli Asinelli di Bologna fatta da Carmelo Bene (le cronache riferiscono di centomila persone)… Non sappiamo ancora oggi quali sono stati i mandanti di quella “orribile strage”, il teatro fa sempre più schifo e quella genia di ascoltatori ha dato vita al peggior governo della Repubblica (il secondo di Prodi) … Se misura del teatro – o della poesia – è l’impatto sociale (quella che tu chiami “portare in mezzo alla gente”), allora non ci siamo, la stessa natura del nostro “fare” verrà trasfigurata … L’arte non serve a niente e a nessuno, e ogni atto artistico deve essere gratuito (questa frase è di Artaud) …
Mi dispiace che Luigi si sia irritato e sia scomparso dalla discussione; se poi la causa è la mia eccessiva “rigidità” nel sottolineare astrattamente la superiorità, in campo performativo, dell’attore rispetto al poeta, me ne scuso …
Non credo comunque di aver buttato lì frasi senza un adeguato argomentare … Se vuoi scrivere versi per dirli in pubblico, che senso ha non studiare la tecnica drammaturgica? Se vuoi mettere in voce un testo, che senso ha non studiare le tecniche recitative? Il passo che separa l’impegno “amatoriale” dall’arte è forse il controllo del processo di produzione del senso … Se vedo un poeta che in corrispondenza della frase “tagliata la gola” porta la mano alla gola e mima il gesto del tagliare, o se lo sento leggere non chiudendo con un lieve abbassamento di tono la frase, lo colgo perché sono allenato ad un ascolto “professionale”, però non gli dò importanza e mi concentro sulle parole … Se però il poeta si definisce un performer, allora mi irrito, visto che quei difetti si curano il primo anno di scuola d’arte drammatica … Tutto qui …
Per Christian: anch’io non ho capito la tua osservazione, e soprattutto non mi pare di avere mai usato la categoria di “nuovo” …
ng
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Poesia e performance
2008-03-29 19:05:44|di poetorale
e che festival sarebbe?