Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
“Il teatro rappresenta il modello assoluto di ogni forma di poesia orale”
Paul Zumthor, La presenza della voce, Il Mulino, pag. 63.
Il destino della poesia è la voce. E la voce è, della poesia, il suo limite e la sua necessità.
20 commenti a questo articolo
Poesia orale
2007-06-03 21:04:59|di Nevio Gambula
Bisognerebbe intendersi su cosa sia “poesia”. Per me Carmelo Bene è sommo poeta, tra i più grandi del secolo, intendendo io la poesia appunto in senso estensivo. D’altra parte, tutto è poesia, direbbe Gianni Toti parafrasando Mallarmé; ovvero tutto è pòiesis: “fattura di cosa che prima non era e che sarà sempre” (immagini in cadenza, insomma, siano esse verbali, musicali, teatrali, grafiche, cinematografiche, pittoriche, etc.).
Le citazioni che riporti non smentiscono il fatto che Artaud si considerasse prima di tutto un attore. Da buon intenditore, sapeva che recitare è fare musica, composizione ed esecuzione insieme. Su ciò riprendeva il concetto di Mejercol’d della recitazione come “abbandono definitivo di tutto ciò che odora di psicologia per rivolgersi invece alla musica”. Ma davvero, Maria, tutta l’opera di Artaud è una ricerca senza posa sul rito teatrale, in ogni sua forma o situazione storico-culturale, e dell’idea dell’attore come “essere integrale di poesia”.
PS: Ho appena postato in homepage un articolo di Marco Palladini sul rapporto tra la poesia di Bene e quella di Emilio Villa.
Nevious
Poesia orale
2007-06-03 19:38:45|di maria
Nevio, due cose e poi vado ad ascoltare il link:
N.1)-come non definisco la Vicinelli un’attrice pur avendo lavorato sia per il teatro che per il cinema, così, non reputo Bene un poeta per aver scritto qualche verso, mi dispiace, ma su questo non ci intendiamo.
N.2)- colpo di scena! Su Artaud abbiamo fatto cilecca entrambi: né attore, né poeta:
"Io sono Antonin Artaud, ho composto una musica...
Uno dei mei mezzi è scandire frasi, cantilenandole [...]
un altro è fendere colpi nell’aria col soffio e con la mano, come si vibra un’ascia o un martello per far uscire gli animi sul mio corpo e nell’aria. I dervisci e gli stregoni neri fanno anche di più, ma non li si tratta da alienati"
"Non sono un grand politique, ma devo riuscire a suonare certa musica in un certo modo, con la mia voce, con le mie mani e i piedi, sulla terra e non tra le nuvole, e la si deve sentire da lontano"
Ora vado ad ascoltare e grazie comunque della risposta.
Poesia orale
2007-06-03 17:53:58|di nevio
Maria, io non ho liquidato la poesia sonora: al limite l’ha fatto Bene (invero molto bene, nel frammento da me segnalato). A me personalmente la poesia sonora “piace”, anche se trovo quel tipo di ricerca, e in particolare oggi, limitata e limitante per le stesse possibilità della voce e della poesia. Concordo invece sulla sua importanza storica.
Artaud non è affatto “inclassificabile”, se si studiano attentamente i suoi scritti. Era un ATTORE, solo e solamente un attore, come lui stesso scrive e teorizza; e tutto ciò che fa oltre la recitazione è sempre finalizzato alla ricerca di una altra recitazione, da lui definita “crudele”. Lo dice più e più volte: “solo la fame di vita dell’attore, che consiste nella esecuzione di un atto gratuito, può proclamare la gloriosa rivolta contro se stesso e contro la società”. E la sua poesia è, a tutti gli effetti, poesia della scena.
Allo stesso modo, è sbagliato intendere Bene soltanto un attore; era un POETA a tutto tondo. E non solo perché scrive sulla pagina versi mirabili (la sua opera “Le mal des fleurs” è pari a quella di Emilio Villa per invenzione plurilinguistica e struttura metrico-sonora etc.). Entrambi, Artaud e Bene, erano portatori di una idea “estensiva” della poesia: poesia come capacità di parola totale, al di là dello scritto.
L’apporto di quello che chiami “universo prearticolato” è in Artaud molto limitato, e comunque sempre fatto rientrare nella sua volontà di criticare la società e il linguaggio occidentale, dunque mai emettendo suoni vocali senza “senso” (dico senso e non significato, sono due cose diverse). Ne è testimonianza la famosa registrazione di “Per farla finita col giudizio di Dio” fatta per la Radio francese. Qui Artaud destruttura la dizione in senso timbrico e tonale, e in particolare accentuando il “furore” del dire; quando ricorre a glossolalie o ad altri fenomeni pre-linguistici è per accentuare la sua idea di “recitazione eccessiva”, mai però slegandoli dalla volontà di cercare un’altra comunicazione (nella poesia sonora propriamente detta la dimensione comunicativa è ridotta a puro gioco sonoro e il segno linguistico esaltato come solo significante, in questo senso la trovo limitata e limitante). Ma davvero su ciò esistono studi notevoli, tra cui il volume “Artaud attore” di Carlo Pasi.
Il resto delle cose che dici è condivisibile. Torno a ripetere che non era mia intenzione instaurare gerarchie di nessun genere tra “scritto” e “orale”. Sono due universi in relazione, e certamente ognuno dotato di autonomia e specificità. Se proprio devo precisare il mio pensiero, ecco forse direi che la scrittura vocale dell’attore è in grado di realizzare la sostanza fonica della parola con maggiore efficacia artistica del poeta che dice a voce alta. L’attore, quando è capace di uscire dalle gabbie della rappresentazione (che non nasconde la propria soggettività dietro il “ruolo”), dispiega la voce nella sua “gamma infinita”, permettendole di articolarsi senza limiti e secondo le innumerevoli possibilità timbriche, ritmiche, tonali. Questo perché il lavoro quotidiano dell’attore – training, prova, palcoscenico – è indirizzato alla continua sperimentazione del ciclo di produzione vocale (fiato-vibrazione-parola), affinando la padronanza delle molteplici variazioni sonore. Se l’attore è un “essere fonico”, e non, come vuole la vulgata, un ripetitore di caratteri altrui, la recitazione non può che essere fusione dei registri della voce, del linguaggio e della musica. È la poetica del “recitar cantando”, dove alla fascia semantica della lingua viene aggiunta una fascia sonora che non le corrisponde (nell’evidente distacco tra significato e significante linguistico). Sono convinto, anche a fronte di un ascolto “professionale” delle performances di gran parte dei poeti odierni, che solo questo tipo di attore (cantore e poeta insieme) possa fare esplodere “quel pandemonio di orchestre secolari” che ognuno di noi ha dentro (ovviamente nel campo della parola detta in pubblico senza essere canto). Non è mia intenzione sminuire la poesia performativa. Dico solo che la performance ha le sue “regole” e la sua tessitura è imparentata con quella della recitazione … E in questo campo – nel campo cioè della trattazione sonora della parola – gli attori hanno detto di più e meglio … (solo per provare la mia verità si ascolti come l’attrice Isabelle Huppert tratta la parola: qui)
Nevious
Poesia orale
2007-06-03 16:13:23|di maria
certo, come dice Luigi, ci sarebbero tantissime cose da dire, pagine da scriversi con calma...ma nel frattempo, dico soltanto che, caro Nevio, questa è la prima volta in cui non concordo tanto con quanto da te affremato.
Innanzitutto io preferivo accostare un esempio di poeta performer all’autorevole figura di un attore performer -perché Bene resta in primis un attore, a differenza di Artaud che è veramente inclassificabile- comunque, detto questo, io non liquiderei così la poesia sonora, se pensi che nella liberazione della poesia dalle gabbie logico-semantiche etc etc.. proprio Artaud ebbe un ruolo non secondario e il suo Ka simbolo di indecifrabilità, la magia nera, l’incantesimo, il sortilegio orale, che sfida le istituzioni anche nel linguaggio...e dall’altra parte come anche un poeta fluviale come Ginsberg fosse suscettibile a certi influssi, in Death to Van Gogh’s Ear il richiamo ad Artaud è esplicito, e ricompaiono segnali onomatopeici, parole incomprensibili, grafemi, fonemi che in certo qual modo rimandano a un universo prearticolato, a quelle suggestioni sulla liberazione dell’energia nella parola poetica fondata innanzitutto e prima del beat sul respiro, basta leggere certe testimonianze, tecniche di meditazione utilizzate per stessa ammissione da J.Giorno - Zumthor stesso, adesso non ho il riferimento sottomano, ma ricordo bene che attribuiva grande importanza a certa vocalità come il grido dalla nascita al canto di guerra, a quella zona sonora indecifrabile e immersa in gran parte nel silenzio come una musica uterina...lo stesso Majakovskij quanto ha fatto,insieme ai cubofuturisti, per quell’altra rivoluzione...i grandi poeti che ci sono occupati di oralità, in un modo o nell’altro, presto o tardi, hanno sempre dovuto fare i conti con quella zona di confine tra le parole e il muro, e fosse il suono, fosse una melodia, fosse il rumore puro, prima di fare silenzio, e questo indipendentemente dall’iscrizione in una corrente specifica, fosse quella di poesia sonora o zaum o sinestetica, mentre d’altro canto, gli studi, i contributi forniti dagli esponenti più rappresentativi sono un’eredità non di pertinenza esclusiva dei singoli affiliati, ma un’eredità con la quale tutti, in quanto poeti, dobbiamo fare i conti.
Detto questo, poi, io personalmente ritengo pure che, dopo aver mischiato le carte, affondato le mani nella poesia oltre testo, oltre mente, nella sonorità pura o puro rumore, esplorato tutte le potenzialità della voce, sia opportuno tornare alla base, sottrarle quell’aria mistica, demolire tutte le sua illusioni metafisiche, evitare di attribuire alla voce il primato antropologico, rispetto alla scrittura e alle tecnologie ad essa estranee, perché altrimenti si finisce con l’instaurare novelle gerarchie sempre fuorvianti in poesia, e quindi così leggere sia i poeti di passo, on the road, urlanti che quelli stanziali anche sulla pagina di San Francisco, tanto per dire...ma il discorso è veramente infinito e detto così, brevemente e di furia, spero pure di non aver fatto troppi pasticci
Poesia orale
2007-06-02 18:35:26|di luigi
ps: l’anonimo di carmelo bene ero io, non mi ero accorto di non aver firmato.
ci sarebbero tante cose da dire. sulla poesia orale. sonora. sulla performance. etc. ora purtroppo non ho tempo, ma in futuro bisognerà tornarci, noi tutti, qui su AP (and not only here).
Poesia orale
2007-06-02 18:02:53|
L’esperienza della Vicinelli è sicuramente importante; credo però che la ricerca di Carmelo Bene sulla sonorità della parola – vera e propria poesia della voce – vada ben oltre il recinto della poesia sonora (da lui “smerdata” nel prologo del Macbeth, dove recita le parti delle streghe e le didascalie facendo la parodia dei modi che nel video usa la Vicinelli).
nevious
Poesia orale
2007-06-02 17:09:46|di maria
preferirei ricordare un altro esempio illustre di "poesia orale"
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Poesia orale
2007-06-03 22:14:15|di maria
intendersi su cosa è la poesia, mi dici? e cosa altro vuoi che sia se non... una musica ;-)))