Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Dopo aver segnalato Sergio Penco, Ugo Pierri e Fabio Doplicher, continuo il viaggio nella poesia triestina del secondo Novecento con Roberto Dedenaro, del quale posto qui una selezione dal suo ultimo libro: Sintetiche siepi, ostinate infiorazioni, ZTT-EST, 2006.
***
Egloghe e calcare
È l’ora per la quale lievemente la luce obliqua
e Milko van ansimando verso i campi
nello scoppiettante traktor carico di verderame
è tempo dunque le larghe e strane foglie
d’azzurro picchettare blu vestito mentre
tossicchia la pompa e salta il traktor sui sassi
del domato carso ma restio a darsi anche
all’obliquità della luce e alle fatiche controluce
dopolavoriste di ex eredi di contadini e pastori
tanto vere fatiche da esser verità, la sola.
Va dunque Milko sui fanghi di piove ex benedette
si perde nella curva dietro il tiglio alla curva della strada
in gesti ricordi quasi passatempo divertito
hobby contadino e altrove la fatica.
Altrove e ora qui torna la proibizione della lingua
torna il castigo di sapere le parole
le strade tutte impolverate e dure
come il Carso divenisse carso di più
e le donne tornassero la sera a raccontare storie
di città e d’ori di stranieri e di violenze
e vengono dalla città a prendere ogni cosa
e le case vuote e il vino aspro e le finestre
interrogativi punti all’infinito, siepi orti e siepi
e il calcare bianco che non si apre se non
a fatica che non rivela che non svela
se non ricordo-mondo di uomini animali
animali assenti uomini poco umani.
Non è sola forza di ieri è un oggi
solido come calcare tremante come mano
che alza un altro bicchiere senza pentimento
domani semplicemente noi saremo, lavoreremo.
Tenteremo di sottrarre qualcosa aggiungere al calcare
fastidioso pavimento su cui fanno fatica anche i morti
a trovare un riposo eterno.
Nell’inspessirsi della sera le mani di Milko
blu fosforo quasi brillano nel buio
chi lo sa chi lo sa come sarà l’annata
come sarà la sera dopo l’osteria
se anche l’ultimo ridere sarà perduto
la città la levità del duale a negare
che l’esserci deve esserci approfittando
anche dell’egloga e del calcare o così o non più
l’altezza uguale degli sguardi
ma torna il cobalto delle mani il verderame
per quanto vicino al celeste totalmente terrestre
lieve impolvera il calcare.
Ancora piove
Anche ancora piove sui vetri
acqua dunque scacciata a passi tardi e lenti
di tergicristalli stridenti come viaggiassimo
in una periferia eterna dismessa di solitari asfalti
ingrigirsi di paesaggi di macchine, muri
e disossati prati che si stingono
fino allo sgretolarsi stupido e atroce
Eppure qualcosa che abbia
sapore di luce riflessa
di altra o altre luci
un qualche specchiarsi
balugina slabbrato
calze smagliate messe ad asciugare,
una pietà – o un Natale
con tutte le sue luci
che si accendono -
per cui valga la pena di fare una fila
di aspettare un programma
di aprire un file
o di amarti con quel poco che rimane
Cosa sarà inverno
Cosa sarà inverno
l’allinearsi di sconfitte un aggrumarsi
di tagli dolori che vagano
il ritrarsi degli oggetti
e tu che dici ecco le mie domande
e ognuna ci chiude dentro ai vetri
O un viaggio nell’aria scossa appena
il wip-wap dei tergicristalli
Sommesso stridore di freni
Non ancora il cielo qui non è perfetto
ma avanti ridurrà le crepe
le screpolature ricucendosi a dire
delle ferite il sapere tutto
E io sarò stupito che nell’imperfezione così ampia
un altro miracolo di freddo sia venuto ad abitare la tua casa.
Fantasmi della cena
E parliamo assediati dagli spettri
pallidi di luna, questi fantasmi
mordacchiano abbaiando
nelle sere appena un po’ più calde.
Parliamo, disturbati da continui soffi d’aria
wee wee men che navigano, di spessore minimo
che ci strappano il cibo della cena che
insinuano dolori che sanno che
non possiamo guardare troppo attorno
tutta questa enormità di morti
su cui silenziosi scivoliamo.
Meccanici alzandoci meccanici - di colpo
corrosi dalla ruggine, i meccanismi cigolanti
scansando con fastidio di ectoplasmi questo sorvolare
di colpo la tavola di colpo prepariamo
e andiamo a dormire lì lasciando tutto pronto
come fosse sempre di novembre il giorno della veglia.
Dove portano le strade
È possibile sia esistita un’età del sogno,
da cui proveniamo - fuochi/freddo nella sera
lotte fughe e notturni viaggi fino a quando
si spengeva delle ceneri il bruire.
A parlarne appare
in un chiarore di luna un prato
ricurvo fino al mare, qualche albero, la luna stessa
e voci come di ragazzi.
Alla pienezza della luce l’immagine
scolora in un ingiallimento temporale
in un coriaceo e faticoso nulla
in un smettere di ogni attesa
se non una prossima futura.
Come in un vaglio cerebrale s’impiglia dunque l’evidenza
che fa apparire il fondo deluso del nulla
- ove anche il vero si frantuma -
in mille piccoli lucori, verso il suo grado zero,
fastidioso nel suo freddo così assoluto.
Se potessi scegliere fra sabato e domenica
sceglierei quest’ultima
le dritte strade cittadine ora vuote
qualche piccola vanità
e la solitudine dei bambini in periferia
qualche pozzanghera e il blu del cielo
all’improvviso senza sfumature.
***
Roberto Dedenaro, insegnante triestino quarantanovenne, ha pubblicato - oltre al volume sopracitato - tre raccolte di poesia, Insopprimibili rumori (Trieste 1989), Osservazioni sull’abitare (Udine 1993), Le periferie sottili (Salerno 2002). Nel 1994 ha realizzato un radiodramma musicato da Fabio Nieder per Rai radiotre, poi pubblicato, Visioni di un Viso diviso (Udine, 1995). Ha collaborato a diverse trasmissioni per la sede regionale della Rai e per Radio Capodistria. Suoi articoli sono apparsi su diverse riviste e giornali, "Il Piccolo", "L’Unità", "Juliet", "Il Michelangelo". Due plaquette di sue poesie sono state realizzate da En Plei Officina, La festa della polvere (1997) e Alluminio (2000), una da Ilpulcinoelefante, Pinocchio, con intervento grafico di Jasna Merkù. Con l’artista milanese Meri Gorni nel 1997 ha realizzato il video "Dove portano le strade", e con Elisa Vladilo la poesia su stoffa, La mia casa un’automobile. Ha curato gli atti del convegno Per Roberto Bazlen (Udine 1995) e le antologie Poeti triestini contemporanei (Trieste 2001) e Di sale, sole e di altre parole. La nuova generazione in poesia a Trieste (Trieste, 2004, con Marko Kravos). Con la musica di Pavle Merkù, ha scritto una canzone per bambini che parla della Risiera di S. Sabba, Chicchi di riso (Pizzicato 2003) e Quattro canzonette profane (Pizzicato 2004). Sue poesie sono recentemente apparse su un’antologia della poesia jazz in Italia, Swing in versi (Milano 2004).
Segnalazione
2008-12-30 17:29:36|di Christian
Scusate se scrivo su questo post, ma c’è qualcuno che da mesi si diverte a fare gli ot con link che troviamo a sinistra nella schermata dei commenti. Sarebbe il caso di far partire delle denunce alla polizia postale.