Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
La sposa è conficcata nell’addome dello sposo, come il lampo lo è nel ventre del lago.
Ridonda il sangue, deborda l’acqua. Il letto s’ammorba di sangue, come gli argini e i campi intorno s’impaludano.
L’immobile vede viola il punto del lampo che lacera l’acqua.
Il desto vede arancione brillante l’incolore delle lenzuola intrise di sposo.
Il riflessivo vede verde il tremolio dell’ultima falda concentrica del nuovo limo.
Il libero coglie l’atto di comunione della sposa, sorprende e fotografa la grazia di ciò che si attacca per sempre.
Il veloce coglie l’andatura del tronco della sposa dentro il corpo convertito dello sposo.
Il prigioniero ascolta le preghiere dello sposo, ne percepisce la difficoltà iniziale, soppesa il potere di resistenza del corpo della sposa e sa che il corpo dello sposo non può avere un seguito che possa dirsi nobile.
Il recettivo si concentra sull’esperienza immaginata, cioè sulle viscere sanguigne(e ora fredde come lacci) sotto il taglio voluto dalla sposa, sull’abito lucente di lei volato prima sul tappeto, e sul velo, tenero, saltato e consumato dentro la vasca da bagno, di là, celeste visibile oltre la camera da letto. Capta la superiorità dell’unione sulla inferiorità della felicità. Ammette su tutto, egemone, il creatore. Vede blu la notte, ma abbandonata su un campo sterminato d’oro. Percepisce il creatore come un dolcissimo unicorno bianco. Va incontro al creatore che come crea distrugge. Va incontro al distruttore fiutando lacci freddi nascosti da veli consumati.
Il malato vede gialla la croce sul capezzale, perché è incapace di accettare lo sfavillio dell’oro, sebbene finto, sebbene barocco e pertanto sporco. Per lui tutto è opaco. Non lampeggia il sangue, non è candido e lucente l’abito della sposa, non è commossa la preghiera dello sposo, è solo un mormorio; non è stropicciato il velo, bensì steso sul fondo della vasca, piatto e schiacciato; per il malato non è se stessa celeste la stessa vasca ma dello stesso bianco ingrigito delle sue proprie stesse labbra.
Il matematico sa di dover fare il fattibile, e di meditare il meditabile, e pertanto deve iniziare e decide di iniziare dai capelli degli sposi, tutti così puliti da essere numeri primi e sa di non poter prescindere dalla cifra incalcolabile che lo porterebbe, se vivesse per altri mille anni, a codificare il peso della delicatezza che la scena traspira. Fare il fattibile si concretizza, per il matematico, nel gesto di controllare se ha un fazzoletto in tasca perché tra qualche ora gli servirà a filtrare gli odori.
Il morto fantasma e maldicente sa che il nome dello sposo è Carlo e quello della sposa Gianna.
La piccola fiammiferaia vede bolle di piccola luce sulle piccole dita della sposa puntate verso il lampo trapassante un certo lago, in un certo campo imbrattato di una certa acqua gelatinosa, in un certo spazio oltre la città ordinato o disordinato, ma cosa importa adesso.
Il goloso intravede rottami di torta nuziale dentro lo stomaco sdrucito dello sposo e vede ora le dita della sposa, bianchi uncini che prima hanno accarezzato, ora afferrare la panna insanguinata e il soffice pan di spagna ora raggrumato e rosso e ora portarseli alla bocca senza vergogna ma con un certo ora avvizzimento delle fragole residue.
Il materassaio prova pietà per le molle sconquassate del materasso e pensa che il tessuto di raso chiaro che credeva molto resistente non ha impedito alle gambe della sposa di infrangere la stoffa e di schiuderla e di sconcertarla e, d’altra parte, considera il materassaio, anche il corpo dello sposo deve essere rimasto meravigliato di una simile capacità di dilaniare dei piedi della sposa. Il corpo dello sposo è divenuto orlo, la sposa ha una sagoma che è anche trapunta di emozioni.
L’oppositore non coglie alcuna affinità tra la sposa conficcata nell’addome dello sposo e il lampo penetrato nel ventre del lago poiché se prima delle due collisioni gli sposi e il lago e il lampo potevano influenzarsi a vicenda, gli uni bagnandosi nell’altro o chinandosi al lampo o il lampo illuminandoli o il lago immaginandosi ottimo scenario per il loro filmino di nozze o il lampo travestendosi in flash per le loro corse notturne attorno al lago ritratte in foto e dopo incorniciate o travestendosi in luna per non nascondere del tutto i loro amplessi alla vista del lago, adesso che tutto si è realizzato, lago, sposi, lampo hanno perso la loro qualità di addomesticarsi o di essere addomesticati perché non c’è uno di loro che sia più grande dell’altro, adesso galleggiano tutti sullo stesso piano limitante della corruzione. Non c’è dialettica che tenga, né politica che possa fare un buon lavoro di restituzione degli equilibri originari.
Il poeta concorda con l’oppositore nella coscienza che sposi, lampo, lago sono tutti sullo stesso piano, ma non ne fa una questione di corruzione bensì di dignità. Il poeta pensa di avere il dovere di conferire pari importanza a tutte le categorie, siano esse umane, atmosferiche, naturali, materiali; essi sono essere, organico o inorganico. Il poeta dispone di un innumerevole numero di mazzi da smazzare come crede, da mescere secondo il proprio intuito. Una mela e la violazione di un’anima hanno lo stesso potere o la stessa inutilità, possono soccombere o trionfare in ugual maniera. Il piombo sparato da un’arma può essere gioioso come la fine di una fiaba a lieto fine, tutto dipende dal contesto, da come il suo intuito ha innestato gli spazi del giudizio poetico, da cosa egli considera centro. Al poeta non interessano gli equilibri, anzi essi gli sono nemici, e farebbe bene ad accorgersene in tempo.
Il nobile vede nella ribellione della natura (la sposa conficcata nello sposo) e nel compimento della natura (il lago trafitto dal lampo) la preponderanza del grande sul piccolo, giudicandola inevitabile, ed elabora come insondabili ma non redimibili certi conflitti. Egli pensa che il violetto preponderi sull’arancione come l’aquila prepondera sulla volpe.
Lo statico più che vedere il lampo sul lago sente il tuono che s’abbatte sull’omicidio e, anzi, pensa che a coprire lago e lampo c’è una montagna e che sulla montagna gracida una specie di vento, così come pensa la scena dell’omicidio saldamente racchiusa dietro tende pesanti e dietro una porta blindata che la oscurano al mondo esterno. Lo statico rivela una fantasia inaspettata. Però poi valuta che su un verde naturale preponderi un verde acceso dal lampo. E’ dolce la creazione dello statico. Ma è violenta la sua prima impressione perché legge come omicida l’atto che un altro potrebbe percepire rito d’amore.
Ed è appunto questo che medita il perverso, per il quale lago e lampo non sono che cose morte deposte, mentre sono cose vive spilloni e lamette e tutte le possibili armi del sesso, comprese le lunghe gambe della sposa, comprese le viscere molli dello sposo, più intense e sensate ora che sono lacci freddi che prima, quando dentro di esse il sangue scorreva con la giusta pressione, essendo pienamente sano il corpo di chi li conteneva.
Il romantico ha un’illuminazione e scorge il fuoco sull’unione dei due corpi e pensa che il drago del colore nero della notte ha irrotto nella camera, e altro non era che il totem della morte che aveva visto una volta dentro di sé. E dunque la camera potrebbe essere sé e la compenetrazione dei tronchi d’uomo potrebbe essere il lato oscuro di sé o addirittura il suo incubo. Addirittura il risveglio lo coglie gioioso e in comunione raddoppiata con la propria famiglia.
Il viaggiatore vede decisione, vede forza e felice ammissione che l’uomo ha mille strade percorribili davanti a sé nella elle composta dai due corpi collusi, e adocchia un invitante invito al ritorno nello sguardo generato dal punto di congiunzione del pube della sposa con il ventre dello sposo.
Il cordiale vede il ricettario dei piatti di pesce interamente realizzabile dopo che il fragore del lampo nell’addome del lago ha folgorato tanti bei pesci argentati. Mentre sviene alla vista dei corpi incastrati benché la sua propria vista sia piena di nebbia. Stima, perdendo i sensi e la stima di sé, che l’addome dei bei pesci dovrà essere svuotato ben bene di visceri, di sensi, di stima e di nebbia. Sragiona, sia ben chiaro; dopotutto la sua testa sta per impattare al suolo con un fragore simile a quello del tuono sul lago, anche se la scena da cui tutto nasce è quella di un lampo sul lago.
L’arcano vede una regina di coppe su un fante di bastoni con il bastone insanguinato e lei, sposa-regina disperatamente rinsavita, partorire una figlia di coppe e un figlio di bastoni, gemelli espulsi sulla paterna putrefazione, portatori una di bene e l’altro di male, come in fondo è sempre più stato da quando un lampo su un lago, nella più tagliente ed eloquente notte dei tempi, benedisse una fiamma e tuonò che si chiamerà vita.
Il teatrale vive il suo dramma e ripete a se stesso che la realtà: sono un milione di aghi sferrati sui palmi disarmati, la realtà: perciò sono mani esplose. Egli frantuma il proprio godimento davanti all’intersezione dei corpi e alla deflagrazione della luce sull’acqua con brucianti colpi di mannaia perché ha piena cognizione della irripetibilità delle scene su un palcoscenico. I corpi innestati sono inseminabili e invece dovrebbero poter essere la condanna infernale riproducibile all’infinito o un ciak filmato riproducibile quaranta volte al giorno. La caducità e l’unzione costituiscono il principio della sua follia. Essa lo conduce a cospargersi di pepe in polvere e a credersi salsiccia, ed è per questo che trita finemente se stesso bevendo litri e litri di luce (ripetendo “voglio essere lampo”), inteso vino bianco che non lo ubriaca.
Il sonoro è naturalmente dotato di grandi spazi e di due bicchieri di cristallo al posto delle orecchie. Può intendere un ampio spettro di suoni dunque è l’unico per sempre a intendere l’ultimo respiro dello sposo, è l’unico per sempre a intendere il soffio di canna del morto fantasma e maldicente che svapora ingiurie sulla vita dello sposo che a breve sarà suo compagno di camera in qualità di fantasma e maldicente maledetto. Il fantasma col suo fiato canna sussurra che a breve ci sarà un rombo insostenibile, l’epocale contrattura dell’acqua del lago sotto la saetta e il sonoro fa in tempo a sottrarre i cuscini dal talamo e a proteggere insonorizzandoli i propri calici di cristallo. Quindi il sonoro rimane se stesso per sempre intatto grazie allo spettro maledetto, ma non per sempre rispetto allo spettro dei suoni.
L’esercito offre la propria solidarietà ai parenti dello sposo, ancora ignari, producendo col proprio passo collettivo compatto un tuono nel vento di ottobre e adducendo in dono duecento piante di felci verdi brillanti sul verde solidale della propria tenuta militaresca. I parenti, tre in totale, tireranno a sorte le due felci indivisibili di scarto.
L’innocenza, poiché l’innocente è morto a due anni, desta tutti i bianchi della camera e li anima e li esorta, ma non doveva essere questo il suo messaggio, a divenire pura acqua sul lago, a ripristinarne il bacino. L’innocenza è purtroppo fraintesa a se stessa.
Il prescelto apre delicatamente l’anta dell’armadio della camera da letto pur pestando il candore ante litteram dell’abito della sposa e, riflettendosi nello specchio, vede se stesso come unicorno bianco fiero chiazzato di celeste e pensa: ho raddoppiato l’insondabile, come l’intero cielo è sull’intera acqua, la sola mia presenza qui è immobile, tutto mi vortica intorno. Dunque crede di vedere viola il punto del lampo che lacera l’acqua.
5 commenti a questo articolo
Rossella Valentino
2007-06-13 16:00:29|
che gioia mi date. e, come si fa nei salotti buoni (del resto non lo faccio mai, e mi paiono ora la sede e il momento giusto), mi è gradito rispondere; che ansuini è veramente avanti, lo è sempre stato. Un profeta, davvero, e per citare me stessa, un unicorno bianco, nel pieno del suo simbolismo; la molesini, per devozione, passione e applicazione a tutta la materia della poesia... che solo gertrude stein. vi abbraccio.
Rossella Valentino
2007-06-05 23:13:47|di silvia molesini
Si, Ale, l’ottima voce di Verde Movimento siamo ancora qui a racapezzarci su come possa essere, così composita e totalizzante. Direi che potrebbe fare prima, se decide per un noir.
Rossella Valentino
2007-06-05 00:13:42|di alessandro ansuini
posso sbilanciarmi? a mio parere la valentino è la più grande scrittrice italiana. quando la gente comincerà a leggere i libri se ne accorgerà. ditelo alla mondadori, o con chi ci parla. un investimento per il 2077.
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Rossella Valentino
2008-08-21 12:19:01|di giusto misiano
Rossella si muove in un campo magnetico diario surrealista apparentente senza filo logico ma collegato in scelte mai fatte, l’insicurezza del vivere la trova forte nel verso uno scandito agile sofferente bisogno di dire verita acuminate. Attraverso la poesia trovano una collocazione appassionata nell’amore