Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce

Redatta da:

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SLAVKO MIHALIĆ: 10 testi

(poesia straniera - numero III)

Articolo postato domenica 6 maggio 2007
da Luigi Nacci

Dopo il magiaro János Pilinszky e il giovane albanese Viktor Kubati, sono lieto di presentare i versi di Slavko Mihalić, uno dei maggiori poeti croati del Novecento.
Nato a Karlovac nel 1928, dopo gli studi liceali si è trasferito a Zagabria, dove ha lavorato prima come disegnatore e poi come giornalista. È stato tra i promotori e redattori delle principali riviste letterarie dell’Ex-Jugoslavia (soprattutto: “Most”). Ha pubblicato più di due dozzine di libri di poesia ed è stato tradotto in altrettante lingue. Si è spento a Zagabria il 5 febbraio 2007.

Le poesie qui presentate sono tratte dal suo unico volume tradotto in italiano: Un passo fuori, antologia a cura di Maria Lipovac-Gatti, Jaca Book, 1990. Mihalić ha anche collaborato, con Aleksandr Spasov, alla stesura di Nuova poesia jugoslava, antologia con testo a fronte a cura di Ciril Zlobec per i tipi di Guanda nel 1966 (rintracciabile ancora qui).


(se qualcuno fosse a conoscenza di altre traduzioni, è pregato di segnalarlo)


***


da VIAGGIO NELL’INESISTENTE (1956)



BISOGNA PENSARE DI PIÙ ALLA GENTE SOLITARIA

È bene quando il mare rumoreggia molto vicino.
È bene quando le navi si toccano con i fianchi ingrossati.
Quando piove e il vento vola coi capelli sciolti –
allora anche l’uomo solo scoppia a ridere per qualcosa.

Comunque bisogna pensare di più alla gente solitaria.
Non chiamarli per nome – ne sono privi –
ma offrire loro consolazione con la nostra sfacciata
allegria –
lasciarli in strada, ma illuminare
le finestre.



LA BALLATA CONTENUTA

Proprio così: senza braccia, nella solitudine
Hai inventato la fiaba dell’amore, della danza e
del vino
Tu sei di quelli che tornano con granate
nascoste
E all’improvviso si dividono in brandelli

Ma rimani qua più di una vita
Sii come il muro – in disparte, ma sempre
presente
Come lo spazio, infine, che ha rinunciato
all’aspetto
Per ingannare il tradimento

In questo sta la grandezza della sconfitta – libera
totalmente l’uomo
Così da non dover più temere – da non dover più
accumulare
E se sarai aperto come la porta di un rudere
Tutti i sentieri condurranno attraverso di te



L’ULTIMA CITTÀ

Sulla mia strada questa è l’ultima città
Anche i cani si sono già zittiti
Solo il bravo cittadino spera
Strappa l’erbaccia dalle aiuole
Alcuni scheletri di cavallo camminano in mezzo
alla strada
Le uniformi si sono spogliate dei corpi – nuove faccie sono
le medaglie d’oro
Non conta se i ponti sono distrutti
Quando il coraggio è senza peso

L’afa ha impregnato l’aria
A mezzogiorno la mezzanotte è stranamente blu
Un fiume piccolo dal seno cadente
Ha perso la vergogna

E si concede a insaziabili suicidi
Si buttano da tutte le parti per
non tornare
Non per la delusione ma per
la libertà

Sulla mia strada questa è l’ultima
città



da INIZIO DELL’OBLIO (1957)



LE VIE

Talvolta, avventurose, arrivano prima
delle case
E io conosco vie che sono tornate
nella pietra
Il passante per capriccio le ferisce
con la scarpa
Solo gli ubriachi temono davanti a loro

Assonnate, tutta la notte le disturbano
E quando tutti se ne vanno e giunge l’ora del riposo
Si risvegliano per la gioia di essere sole
Splendono al chiaro di luna
Si darebbero volentieri a qualcuno, ma
non si possiedono
Guarda come si separano con lamenti
all’incrocio
Odiano gli alberi perché non devono
andare
Penso, sono le vie ad invocare i fulmini



LA FUGA DEGLI AMANTI

Ti dico, bisogna andare via subito
Dove – lo decideremo poi
Quello che conta è partire al più presto
Sento come le mie viscere iniziano
a marcire

Gli occhi sono seccati e pendono come foglie
bruciate
L’orologio del cuore tarda – già a malapena
si sente
Dovrei forse essere triste se lascio
la mia tomba
Che ci posso fare se a qualcuno piace stare
dentro

Su, non indugiare, amore
Al diavolo le valigie – certamente sono già
contagiate
Ma non per la strada – ci saranno
agguati
Prenderemo la via del cielo – fra
le stelle



da TRAPPOLA PER RICORDI (1977)



COSE DELL’AMICO MORTO

Queste sono cose dell’amico morto.
La loro forma si cambia con lo sguardo.
La pipa può diventare cigno, poi faro
la penna: una lancia, oppure una cartuccia vuota.

Neppure l’amico è quello di prima.
Tramutato in uccello sta appollaiato sull’armadio
o bada che qualcuno non freghi qualcosa.
Finché era con noi, avrebbe dato pure il suo sangue.

Via via che partiamo, l’autunno si fa più chiaro.
Un po’ di alberi, un po’ di visioni umide.
E ciascuno rimane solo come lo è stato all’inizio.

Alle spalle il grido dell’uccellaccio: di certo ha afferrato
qualcuno.

Tento di ripulire i graffi sulle mani.
Va bene, vecchio mio, calmati, non è questa la fine.



SULLA TERRAZZA

Uscite sulla terrazza e fate i gesti abituali
così si prende la sedia così si accende la candela
non dimenticate di pagare le tasse
così si sbuccia la mela così si alzano le spalle
ognuno esce sulla terrazza quando se la sente
gli altri che si controllino e aspettino se stessi:
sforzarsi potrebbe confondere l’ordine dello spettacolo
e per noi è importante che nulla venga omesso
così si apre la bottiglia di vino dall’epoca genuina
e così si agita la mano a quelli che ci lasciano
che non erano stati qua eppure se ne vanno
vendicativi, vanno verso boschi diradati
così si vuota il bicchiere di vino anche se balsamico
e non tocca a noi pensare se l’atto ha uno scopo
conviene lasciarsi andare e questo è tutto
solo questo importa: qualsiasi cosa avete immaginato
sulla terrazza siete soli e il resto è inganno
così si invocano fantasmi così si diventa fantasma



GUERRA

Dapprima le stanze si riempiono di vuoto
poi si sfasciano i muri.

Gli uccelli sono informatori
bada non ti colpisca il loro occhio.

Come è divenuta pesante all’uomo la sua ombra,
sempre più giù lo tira, più giù, più giù.
E quando si sdraia nella polvere o nell’erba
capita anche il proiettile.

Il sole splende sempre più sonoro.
Sembra non ci sia più notte.
Solo abbaglio.

E quando vedi buio, soldato, sappi che sei cieco.
Torna in patria cantando.



L’OSTERIA ALL’ANGOLO

Il mondo finisce all’osteria dell’angolo.
E in osteria trambusto: si affratellano diavoli e uomini.
L’ostessa grande come una botte e un mulino a vento.
Il suo seno riscatta la tristezza del mondo.

Il mondo finisce all’osteria dell’angolo.
Incessanti echeggiano le raffiche.
I condottieri vorrebbero passare dall’altra parte.
E ogni giorno frana un po’ di terra.

Il mondo finisce all’osteria dell’angolo.
I tram teneramente portano i ribelli.
Sono timidi, sciupati, brutti,
finché non vedono oltre il limite.

Il mondo finisce all’osteria dell’angolo.
Aronne non c’è ancora e non verrà.
Petrica Kerempuh sfiora abilmente con le dita
un po’ il mandolino, un po’ la mitragliatrice.



da IN LODE ALLA TASCA VUOTA (1981)



VIA ILICA, QUANDO FINALMENTE SI METTE A PIOVERE

Quando finalmente si mette a piovere
È come se fossi capitato sulla sponda del fiume
Ed è Ilica un lucido scorrere
Nell’oscurità le biancheggiano i denti
Cammino per Ilica come brancicando un corpo di donna
Penso che ci conosciamo già molto bene
Quando piove e vanno in alto gli ombrelli
È bellissimo non dover dire nulla l’uno all’altro
Subito lì dopo la Nama ad un tratto divento birichino
Anzi, spendaccione, mi invito ad un bicchere di vino
E lei scorre nel crepuscolo, questa mia rumoreggiante Ilica
Fino in fondo all’osteria si sentono le sue cascate
Attorno a me solo tante voci gioviali
Non mi importa niente che cosa siamo al di fuori di Ilica
Quando piove e spruzza fino ai tetti
Vuoto il secondo bicchiere con uno che per tutto il tempo
mi voleva male
Si dà tanto da fare che potrei compatirlo
Un terzo con il ragazzo sempre in fuga
I tempi sono questi, la gente al mattino non si riconosce
nello specchio
Non pensano di vuotare i bicchieri in queste osterie
ancora a lungo
Torno in Ilica e di nuovo mi sciolgo tutto
Non diciamo neppure una parola, ci sfioriamo soltanto
Entriamo l’uno nell’altro, facciamo cose sacre



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