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Sergio CORAZZINI - Poesie edite e inedite

Articolo postato sabato 26 gennaio 2008

CASTELLO IN ARIA

Sergio Corazzini è stato l’incarnazione nuova dell’archetipo di Novalis: un divino fanciullo, vissuto nel contrasto insanabile tra l’eternità della poesia e la caducità dell’esistenza umana, malinconico e nostalgico e debole sin dalla prima atroce e demistificante apparizione della consapevolezza e della coscienza di se stesso. Nato a Roma in un’epoca, quella del tardo Ottocento, che seminava morti e sofferenze per malattie oggi sconfitte, fu sconfitto dalla tisi, appena ventunenne, minato dallo stesso morbo che aveva attanagliato la sua famiglia. Il male apparve precocemente, e fu cinico e spietato e veloce.
L’instabilità e le difficoltà segnano il suo cammino poetico e biografico: giovane rampollo borghese d’una famiglia di ricchi commercianti, contemplò nel breve e folgorante suo percorso esistenziale la decadenza e la rovina del benessere dei Corazzini. E tuttavia, nonostante le ristrettezze economiche e le ancor più deteriori e degradanti prime avvisaglie del male sottile, il giovane poeta viveva di sogni di lancinante bellezza e di incandescente vitalità. Attorno a lui era radunato un gruppo di giovani artisti ed intellettuali, cultori appassionati del bello e del vero. La sua morte spezzò irrimediabilmente il cerchio sacro. Ci fu chi, come Alberto Tarchiani, si imbarcò per l’America, conscio di aver visto, distintamente, che “nulla rimaneva per me, se non l’esodo. E così fu”.

La morte del giovane poeta romano incrinò le speranze e i sogni di un’intera generazione di letterati. Un senso atroce, quello dell’esistenza del Corazzini, che ha tristi e sinistre analogie con l’esperienza biografica di Keats, l’uomo il cui nome era scritto nell’acqua, e Novalis, l’angelo della poesia tedesca, il poeta della notte e dell’amore bambino.

Suggestiona inevitabilmente la distanza dai crepuscolari e da certi crepuscolarismi, e lascia invece perplesso il lettore moderno la presenza di qualche rima desueta e semplicistica. È opportuno ricordare, a chiunque si stesse avvicinando alla fragile e ombrosa poesia di SC, che i suoi scritti presentano le pecche e le qualità indiscutibili di ogni giovane artista; si respira un’energia e una passione letteraria che non hanno immediata corrispondenza nei letterati più equilibrati, maturi e raffinati; è il dono sublime dell’imperfezione, l’incompiutezza. Ecco, questa raccolta è arte imperfetta, destata da una sorgente limpida, dalla sorgente delle origini del sentimento: è un’incompiuta.

Esistenza incompiuta dunque, e disperata e consapevole e onirica, e poesia incompiuta, tenue, amara, vivida. Corazzini si erige a simbolo. Il simbolo della giovinezza della poesia, e del canto del poeta da giovane. Nella galleria dei Rimbaud, dei Keats, dei Novalis e, in ambito rock, dei Curtis, dei Cobain, dei Drake, incontriamo il poeta degli asfodeli e della morte, e del canto innocente e ingenuo della bellezza - della vita di un’anima intrisa di giustizia e amore e arte. Bisogna accostarsi a questa poesia come se si sedesse in un lago di cristalli; ammirare la sua integrità e la sua vacuità, la sua oscura profondità e il suo nascosto sorriso di artista. Sorriso d’accettazione di quelle che appaiono le ingiuste e insanabili leggi non scritte dell’umanità: il perfido e irrevocabile rapimento della giovinezza, che significa segregare i sogni e affidarli alle tempeste del ricordo.

Corazzini dialoga incessantemente con la morte, e con la poesia: le richiama, le invoca, dichiara lucidamente la sua appartenenza ad entrambe, ma avviene che...
Io, vedi, soffro molto,
e più soffro e più sento
che soffrirei; se ascolto

il mio vaneggiamento
continuo, senza tregua,
senza un breve momento

di pace, e se dilegua
poi non so come, pare
che l’anima lo segua

oltre il cielo, oltre il mare.

(tratto da: “Dolore”)

Come in una tela di Friedrich, lo sguardo del poeta si fa infinito e puro nella contemplazione della natura. Si ripiega nel mistero, si distende nel silenzio. L’anima di Corazzini, come quella di Leopardi, riesce - da uno spioncino di carta, da una siepe di inchiostro - a concretizzare la tensione all’infinito e alla verità dell’uomo.

La chimera del Corazzini è l’arte, e l’attesa del sentimento nuovo e della rivelazione incompiuta. E allora è puro solipsismo il dialogare con l’anima:

Anima pura come un’alba pura,
anima triste per i suoi destini,
anima prigioniera nei confini
come una bara nella sepoltura,

(…)

non più rifioriranno i tuoi giardini
in questa vana primavera oscura.

E, come nella splendida “Toblack”, saremo piccole fontane che piangono un pianto eternamente uguale; al passare di ogni funerale, il cielo consolerà l’epilogo inquieto del cammino di un uomo.

E quanto v’ha Toblack d’irraggiungibile
e di perduto è in questa tua divina
terra, è in questo tuo sole inestinguibile,

è nelle tue terribili campane
è nelle tue monotone fontane,
Vita che piange, Morte che cammina.

Le campane, il lamento, la nenia dell’umanità dolente che rifiuta la rivelazione del senso e del segreto: quel segreto e quel senso che Corazzini conoscerà, e già intuisce nella sua condizione di poeta dell’ombra e della coscienza dell’istante perfetto, e della malinconia di quanto è trascorso ed è perduto. La nostalgia dilaga, si innalza come un’onda di fuoco ed implode nella sua elevazione più grande; è hybris la volontà di rappresentare ciò che di divino si percepisce nell’anima.

L’anima invano si martora di sogni, scrive Corazzini; è la consapevolezza della quiete che tutto attende e tutti reclama a dover essere conquistata.

Perché tu mi dici:poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?

Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.

Corazzini canta la sua natura: non saper che morire, e vivere di piccole gioie ineffabili. Quelle piccole gioie che provoca nell’anima l’angelica voce della poesia, e il desolato rimpianto per il suo figlio più innocente.
Poggiamo un fiore sul fiore della poesia del primo Novecento: l’angelo di sabbia liberato dalla vita. Quelle campane, come ne “Le Onde del Destino”, dal cielo improvvisamente rimbombano.
Ascoltatene la musica: è un verso spezzato dalla coscienza della sua imperfezione.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE


Sergio Corazzini (Roma, 1886 – Roma, 1907), poeta italiano.

Sergio Corazzini, “Poesie edite e inedite”, Einaudi, Torino, 1968. A cura di Stefano Jacomuzzi.

Lankelot, G.F., febbraio 2002. Prima pubb: Lankelot.com.

Dedicato a Sergio, poeta romano, morto a ventuno anni.

15 commenti a questo articolo

Sergio CORAZZINI - Poesie edite e inedite
2008-01-27 05:58:22|di Britney Spears

Bisognerebbe leggere e meditare le corrispondenze di Corazzini con Francis Jammes per comprendere appieno la "direzione" a cui aspirava il nostro giovane poeta.


Sergio CORAZZINI - Poesie edite e inedite
2008-01-26 17:24:50|di gianfranco

Appunto. Torniamo a Corazzini. Ne scriva, qui e nella sua Università. Tutti gliene saremo molto riconoscenti. Soprattutto quando avrà dimostrato l’influenza degli artisti che ha nominato, dimostrando d’essere tra quei volenterosi che dicevamo poco fa.
*
Io, vede, quando leggo l’aggettivo "borghese" abbinato al "mito della purezza" ho il tragico sospetto che si sia fermato il tempo. Nell’epoca sbagliata. E non mi piace rapportarmi a categorie e approcci di questo genere, tutto qua: passati i 30 è depressivo.
*
Buona domenica,
gf


Sergio CORAZZINI - Poesie edite e inedite
2008-01-26 17:04:19|di Mimmo Cangiano

guardi che è fuori strada, se mi chiede dove si nasconde la risposta (ammesso che una risposta possa esistere) le direi di cercarla ne La gaia scienza, ne L’anima e le forme, in La scrittura e la differenza o in Ironia, contingenza, solidarietà (e anche il solipsismo stirneriano riscuote in me molta simpatia)

Ma se crede che sia disposto a gettare a mare la cultura marxista con una frasetta...mi dispiace ma, come diceva J. Barth, l’anti-intelligenza ha già troppi amici, non ha bisogno anche di me

ma ora probabilmente stiamo perdendo di vista il discorso iniziale


Sergio CORAZZINI - Poesie edite e inedite
2008-01-26 16:55:51|

Immagino la risposta si nasconda nel "Capitale", ed. cit.

No?


Sergio CORAZZINI - Poesie edite e inedite
2008-01-26 16:54:08|di Mimmo Cangiano

ma allora parlo a vuoto?

ho cercato di spiegarle che la presenza di un autore in un altro non vuol dire per forza somiglianza fra le poetiche dei due autori.

Crede che quando Montale cita Dante stia pensando ad arrivare all’empireo?


Sergio CORAZZINI - Poesie edite e inedite
2008-01-26 16:48:06|di gianfranco

Bene. Guardi che su Novalis aveva scritto:
"Non riesco a capire come si possa vedere una somiglianza fra “il piccolo fanciullo che piange” e l’uomo-dio dei progetti di Novalis, se non ci si richiama per l’appunto alle particolarissime forme dell’ironia romantica così come erano state teorizzate da F. Schlegel (...)"

> veda lei.

Saluti


Sergio CORAZZINI - Poesie edite e inedite
2008-01-26 16:45:52|di Mimmo Cangiano

ovviamente aver scritto "autobiografico" è stato un mio errore di battitura, ma facilmente deducibile, era ovvio che parlavo di aspetto biografico.

come le ho scritto convengo sulla presenza di Novalis, ma non certo nel modo in cui è stata presa in considerazione nel suo articolo.

a presto


Sergio CORAZZINI - Poesie edite e inedite
2008-01-26 16:32:15|di gianfranco

Vede, Mimmo, ha appena confuso l’aspetto biografico con quello autobiografico, che onestamente mi sembra fuori discussione. Non mi sembra di aver assimilato Corazzini ai miei gusti (d’altra parte abbiamo appena accertato che anche l’accostamento a Novalis, non solo a Keats e Rimbaud, ha ragione di esistere: ne conviene?), mi sembra piuttosto di averle segnalato che definirlo kitsch o consapevole strumento di estenuazione di categorie romantiche mi sembra poco sensato e poco adeguato.
*
K. Marx – Il Capitale – Amburgo, Meissner, 1967 (e successive edizioni) lo lascio volentieri ai suoi fedeli: non sono un religioso. La critica figlia dell’ideologia non appartiene al mio dna, né ho simpatia per i figli del marxismo. Non me ne vorrà, ma sono al limite stirneriano.

saluti


Sergio CORAZZINI - Poesie edite e inedite
2008-01-26 15:53:15|di Mimmo Cangiano

Vi sono aspetti simili, non aspetti uguali, l’uomo non è un animale che può vivere fuori dal tempo e il tempo cambia le cose.
Poi certamente Smith avrebbe potuto adorare Corazzini, ma chi vuole negare questo?

Di “volontari filologi” è pieno il mondo, il processo che lei descrive è il normale processo della critica letteraria. Che l’aspetto autobiografico sia importante non sarò certo io a negarlo, ma compito del critico non è quello di assimilare uno scrittore ai propri gusti, non c’è scorrettezza più grande, non c’è più grande mancanza di rispetto.

Così Novalis, la cui lettura, e citazione da parte di Corazzini è credo sicura (ma chi ha mai negato questo?), il punto però è non assimilare le due poetiche, la tecnica del rovesciamento non può anzi prescindere dalla messa in questione dell’autore che si vuole rovesciare (o anche solo modificare un pochino, senza un intento necessariamente ostile), Apollonio Rodio cita spesso Omero, ma chi è così pazzo da dire che i due sono d’accordo? Oppure, per venire agli anni nostri, pensi al fatto che “La fontana malata” non può esistere senza “La pioggia nel pineto”, ma queste sono cose ovvie.

Per quanto riguarda poi la questione “purezza come mito borghese” la bibliografia è talmente ampia che la sua domanda, confesso, mi sorprende. Sarò lieto di darle tutte le delucidazioni del caso, intanto un buon punto di avvio alla questione è: K. Marx – Il Capitale – Amburgo, Meissner, 1967 (e successive edizioni).

saluti


Sergio CORAZZINI - Poesie edite e inedite
2008-01-26 15:16:58|di gianfranco

Caro Mimmo,

Maeterlinck, Jammes, Rodenbach, Laforgue: l’impresa allora deve essere quella di ricondurre versi di Corazzini a quelli degli autori letti e interiorizzati. Passo dopo passo.
La filologia, in questo senso, può venirci incontro. Attendiamo volontari. Il sospetto d’una scrittura non solo figlia del suo tempo, ma d’una esistenza sfortunata - per quello, contrariamente alle mie abitudini, accennavo alle vicissitudini famigliari e sociali di Corazzini - e di una malinconia insanabile, da giovane senza futuro, da adolescente depresso cronico, mi convince che esistano degli aspetti sempre assimilabili a distanza di generazioni, di società, di civiltà.
In questo senso c’è da evidenziare, senza negare centralità al contesto sociale e letterario coevo, una tendenza alla ripetizione d’un ruolo-non ruolo
con esiti autodistruttivi o distruttivi.
***
I cantautori - "songwriter" - sono stati più vicini a certi letterati di quanto possiamo credere, nel tardo Novecento.
Io dico che Elliott Smith avrebbe adorato Corazzini. E stesso vale per Nick Drake. S’attinge alla stessa fonte avvelenata.

Saluti barbari
gf


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