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Sognando Li Po, di Claudio Damiani

Articolo postato domenica 9 novembre 2008
da Lorenzo Carlucci

"Monti tradusse meravigliosamente Omero, ma la letteratura greca era già conosciuta da sempre. Benedikter ha tradotto negli anni sessanta classici a noi sconosciuti, immettendo nella nostra lingua e poesia d’antica tradizione greco-latina il grande fiume cinese, e mescolando in modo mirabile". (Claudio Damiani, dall’Introduzione a Sognando Li Po, Marietti 2008).

segnalo l’uscita di un nuovo libro di Claudio Damiani, Sognando Li Po, edito da Marietti. propongo qui sotto qualche nota di lettura.

damiani è a doppio taglio. bisogna stare attenti. mentre ci parla di un cane, ci parla della morte. mentre ci parla di cinese antico, ci sta dimostrando la potenzialità dell’italiano moderno. quando fa il semplice, fa come gli antichi, ci prende in giro. aspira al gesto dei filosofi greci, l’argomento fisico: la dimostrazione dell’esistenza del moto camminando. dell’esistenza del divenire, divenendo. e "spostati ché mi copri il sole". si fa criticare perché "zufola sull’abisso", con le foglie di vite nei capelli, anche se vive a rignano flaminio e non in elicona, e invece non sta zufolando affatto, ci indica il canto altrui, e guarda cadere molti nell’abisso (che è alto un metro e mezzo, vi si sprofonda solo fino al petto, ma vi si resta fissi). fa il semplice: "non so il cinese, traduco da una traduzione", ma non sta traducendo affatto. sta raccogliendo la sfida del canto, come i poeti arabi nelle tenzoni. solo che qui di mezzo ci sono i secoli e i continenti. il libro è tutto meno che una chinoiserie. damiani ci sta argomentando una tesi, sta sviluppando un argomento (che è poetico, non posso precisarlo troppo) che riguarda la naturalezza della lingua e dell’arte (naturalezza che è sempre da conquistare, con una naturalizzazione - ossia con una mossa teorica, estetica). ci sta parlando della comunicabilità del bello e dell’essenziale. non parla di li po, o dell’antica cina (ambientazione: romanticismo), non si rivolge a li po (mise en scène: modernismo). damiani parla con li po. e poi si, beh, come negarlo, a volte parla a noi mettendosi il cappello di li po. ma li po è lì accanto, allo stesso tavolo. e al contempo non abbiamo bisogno di sapere chi sia. niente di lui. damiani ci sta dicendo: questa poesia cinese antica è bellissima, dice tutto ciò che c’è da dire in maniera meravigliosa. e ciò non ostante si deve continuare a scrivere. e ciò non ostante la lingua italiana può dire le stesse cose, e non c’è bisogno di conoscere il cinese. non c’è bisogno di andare in cina. è come una sfida allegra e fatale, tra due donne che si sfidano nella danza. damiani ci sta dicendo anche questo: le chiavi del dialogo tra culture diverse sono tutte già date, all’interno delle stesse culture, nella lingua delle stesse culture (e in quel "tutte" è il peccato del poeta, perché è poeta). nessuna fuga all’infinito della differenza-della-differenza, nessun gioco dell’altro-da-me. se hai mangiato la poesia latina, se hai mangiato la poesia italiana, ti avvicini alla cina e senti un vento fresco, è il vento di casa e il vento del viaggio, che invitano insieme ad andare e a tornare. con la naturalezza (di individuo lingua e cultura) viene la libertà. la libertà stilistica, la libertà del gioco, la libertà anche di "mischiare". domanda: "ma i sassi che un tempo erano occhi di principessa non era un topos persiano? è pure cinese?" risposta di damiani: "no, no, è persiano. ho mischiato". cos’è questo mischiare? è modernismo? no. è cucina. si prepara così la poesia.

"come il piccolo cinghiale, se vedi le orme,
questa notte,
ha messo le zampe nelle orme della madre."

1 commenti a questo articolo

Sognando Li Po, di Claudio Damiani
2009-01-06 15:43:05|di Dell’Orco Giorgia

“Un tuffo alla riscoperta della classicità cinese”

Claudio Damiani affronta con la sua inconfondibile sensibilità stilistica una nuova avventura poetica, in cui rivendica l’eccezionalità dell’arte classica, in una rivisitazione di tematiche che avvicinano in modo inaspettato la tradizione cinese ai nomi più illustri del panorama della letteratura latina, come Properzio, Catullo e Tibullo. Il timbro maturo, calmo e ambizioso di uno dei migliori autori contemporanei parte da un’unicità compositiva, che richiama la medietas oraziana, per arrivare a perdere la sua soggettività artistica ed allargare i suoi versi ad una dinamicità vitale, che lo affascina e lo rapisce nelle sue continue visioni sensoriali. Lo scrittore, dimostrando ancora una volta maestria, innovazione e modellando il suo giovanile pascolismo, affida alla sua penna il compito di dar voce, attraverso un complesso lavoro di reinterpretazione poetica, ai più conosciuti autori cinesi vissuti durante la dinastia T’ang. “Sognando Li Po” ripercorre con maturità, umiltà e chiarezza la poesia che vive senza metafora, raccontando le percezioni quotidiane di alcuni tra i suoi più significativi esponenti: Li Po, Tu Fu, Po Chui riprendono vita attraverso un susseguirsi candido e atemporale di immagini e idee. Assaporare questi versi significa affrontare un’esperienza estetica, che non cade mai nel sentimentalismo ed è resa dall’uso di caratteri ideografici, dal rifiuto del superfluo, da un verso misurato ed essenziale. L’elemento paesaggistico è caratterizzante e nasce grazie alle rapide pennellate delle descrizioni, che si affidano alla bellezza rigorosa del metro. Prive di complicazioni concettuali e di espedienti retorici, le emozioni sono luoghi, gesti e persone, che convergono e si sovrappongono nel richiamare alla memoria una ciclicità naturale, che diviene comunione totale e fusione emozionale. La luna e i monti sono gli interlocutori ideali per l’interiorità poetica che, di fronte all’immensità cosmica, non si ferma ma continua il suo cammino dopo essersi asciugata le lacrime. In questo attaccamento alla terra si cela “il peso dell’esistere e del suo mistero”, portato “ tutto sulle sue spalle come un eroe”. Questa misticità lirica si consacra ad una religione pagana delle cose, in cui si è ebbri di un’aria primaverile, della contemplazione del puro movimento, del fluire spontaneo del tempo e della natura. Sono la forza dell’uomo e questo perpetuo senso di sbronza e di vertigine, ripresi a piene mani dalla beat generation, che vengono continuamente esaltati in questo quadro essenzialmente impressionista, il cui veicolo verbale è composto esclusivamente da sollecitazioni sonore e stilizzazioni visive. Vi è un doppio meccanismo di panismo ed antropomorfismo, che accosta Yank Kuei Fei all’Ermione dannunziana, palesando il desiderio di volersi riconoscere una docile fibra dell’universo alla maniera ungarettiana. Sembra che l’autore, rivalorizzando la logica terrigna e l’oggettività vitale, voglia compiere un volontario e coraggioso atto di allontanamento dai nostri anni, in cui la semplicità e la naturalità sembrano far parte di un’etica vuota e anacronistica. Il poeta perde il suo individualismo alla ricerca di un nuovo status esistenziale, che sia in grado di rivalutare il risultato oggettuale in una società globalizzata e poco predisposta al fascino di una letteratura remota e, allo stesso tempo, così intensa.
“Sognando Li Po” è una sfida, una celebrazione, una reinterpretazione di un materia magmatica, affascinante, sorprendentemente attuale, in cui la parola si scopre germoglio e la poesia ritorna ad essere puro colpo d’occhio, affidato alla facoltà immaginativa del lettore. É una nuova idea di fare poesia, in cui lo scrittore romano non mette da parte il suo io, ma lo plasma e lo fa emergere attraverso versi altrui, senza alterarne il significato e riuscendo con consapevolezza nel suo obiettivo. Nella candida ripresa di questi versi antichi, in cui brilla il fuoco della vita, Claudio Damiani si ascrive in una costellazione poetica classica e di risonanza vagamente petrarchesca.

Dell’Orco Giorgia


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