Absolute Poetry 2.0
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Su DISMISSIONE di Fabio Orecchini

di Ivan Schiavone

Articolo postato mercoledì 3 novembre 2010


Per accedere all’opera di Fabio Orecchini Dismissione (Ed. Polimata, 2010) credo non esserci soglia migliore che il titolo stesso della raccolta, titolo nel quale troviamo condensate tutte le problematiche che stanno a fondamento di questa scrittura sfacciatamente politica in un momento in cui tale sfacciataggine è quanto di più lontano possa immaginarsi dall’ambiente letterario nostrano (salvo poi coartatamente politico nel momento d’affrontare le tematiche engagées a la page, ma questo rientra nella moda e di questo...), dicevamo del titolo..., se con dismissione è da intendersi, così come suggerito da Andrea Inglese nella postfazione, lo smantellamento progressivo della grande industria italiana associato all’altrettanto emblematico processo di rimozione dell’amianto in seguito alla sua dichiarata nocività e conseguente messa al bando, sarà vieppiù da intendersi (nonostante le false piste presenti nel testo sulle quali torneremo tra poco) il processo di dismissione ultimo a noi contemporaneo, quello per intenderci generato da un ampio fenomeno di delocalizzazione dell’industria italiana, fenomeno che associato alle riforme ultime della normativa sul lavoro (avviatesi nel 1997 con il varo del pacchetto Treu) è alla base della gravissima crisi sociale attuale, crisi che fortunatamente pare incanalarsi in una rinnovata conflittualità sociale basata sulla rivendicazione del diritto che sembrava del tutto sopita, ma sarebbe forse meglio dire repressa, dopo gli accadimenti di Genova, da qui sarebbe forse meglio iniziare un’analisi eziologica del testo, per capirne tanto l’autentica urgenza quanto la verità d’un azione poetica civile interrogantesi sull’ora e non sulla storia (sebbene storia recente). Come leggere dunque i riferimenti e simboli inerenti la storia industriale disseminati nel testo (le false piste di cui parlavamo)? A mio avviso siamo d’innanzi ad uno di quei casi in cui tentare la via allegorica è impresa ricca di ricompense. Osservando la struttura dell’opera possiamo notare uno sviluppo dalla sezione iniziale retta dal riferimento alla Fincantieri passando per la centrale Second life, al conclusivo Breviario di ecologia sociale in cui si fa avanti lo spettro del biopotere, tale "sviluppo" pare ricalcare abbastanza fedelmente la dismissione del pensiero marxista ortodosso del periodo operaista in favore della critica decostruzionista prima, e si pensi in specie all’analisi foucaultiana che proprio sul biopotere incentrerà la base per la comprensione della dominazione nella società attuale, della critica alla società dello spettacolo, per approdare alle recenti riflessioni ecologiste e bioetiche. Tale passaggio è inoltre fortemente marcato dalla "narrazione" interna al libro in cui si passa dalla situazione operaia dei "padri" alla situazione immateriale dei figli, marcatura che implica la modificazione stessa del paesaggio (e si passerà da un naturalismo espressionista non immemore dello stile officinale di "nella nebbia più gelida / la morte liquida / gli alberi immuni /tramano autunni / [oltre la carreggiata] // tra le righe d’asfalto / asfodeli / sfogliano i rami, / del moto apparente della morte / non resta che rame, / sterminato fogliame." della prima sezione al conclusivo paesaggio in equilibrio precario tra astrazione e fisicità postnaturale: "La fibra di carbonio si tesse in armature elastica forma / di grafite polimera libra senza peso nelle ossa. / Impalcature di spazio. // Come onda dielettrica la fibra ottica vibrando nel vetro / ultrapura conduce la luce multicroma. / L’indice di rifrazione domina il tempo della rarefazione." ), si presti infine attenzione al fatto che tale mutazione del pensiero critico occidentale, ma sarebbe meglio dire del mondo tutto globalizzato e succube di un fortissimo imperialismo culturale, procede di pari passo al passaggio dal capitalismo industriale al neocapitalismo dei servizi, dei beni immateriali, e del controllo dell’immaginario e si capirà facilmente come tale dismissione si presti ottimamente, ad un lucido interprete quale Fabio Orecchini è, come allegoria per la rappresentazione performativa del nostro presente non ignaro della genealogia recente che lo informa.
Una componente ulteriore sarà da analizzarsi prima di concludere questa brevissima disamina della dismissione ovvero la presenza di tutta una serie di elementi che ci rimandano alla psicologia junghiana e che ci permettono di leggere l’opera come una sorta di bildungsroman contemporaneo, in cui il personaggio, non il soggetto Fabio Orecchini alieno quant’altri mai ad una scrittura anche solo latamente diaristica, memore dei progenitori e del paesaggio mitico della prima sezione (il padre e la madre del paragrafo II, che a partire da una lettura personale delle definizioni di animus e anima l’Orecchini riconduce alla presenza storica ed alla vita domestica) dopo la separazione da quest’universo marcata dal verso conclusivo della sezione centrale: "sono diventato un uomo." seguito dall’invito iterato tre volte a: "voltare pagina." , da vita ad un processo d’individuazione metaforizzato dal processo alchemico (in linea con l’analisi condotta da Jung in Psicologia e alchimia), processo di cui non ci è dato conoscere gli esiti ma le situazioni di partenza, rappresentazione della volontà (ma forse sarebbe meglio dire speranza) di passaggio dalla preistoria alla storia, rappresentazione del tentativo attuale di riappropriazione di "un autentico immaginario collettivo" depauperato dalla colonizzazione di quest’ultimo intrapresa dal neocapitalismo avanzato nel tentativo di ridurre l’intera vita della società ad "un immenso accumulo di spettacoli".
Se l’immaginario risulta dunque essere il campo sul quale, in un’ottica biopolitica, si gioca la battaglia tra asservimento e liberazione (e si pensi alla riflessione di Debord sull’esproprio del vissuto o a quella deleuziana sulla macchina desiderante) tra massificazione e individuazione, il nostro compito sarà, così come indicatoci da questa dismissione, non tanto il prospettare arcadiche risoluzioni utopiche, quanto il farci feroci analisti e testimoni dell’ora ricordando sempre il monito di un poeta, Elio Pagliarani, fondamentale per questa come per molte scritture attuali: "Ma dobbiamo continuare / come se / non avesse senso pensare / che s’appassisca il mare."

Ivan Schiavone


***

Immagine in alto: Valentina Carta, "Il poeta è un fingitore"

1 commenti a questo articolo

Su DISMISSIONE di Fabio Orecchini
2010-11-04 00:36:56|di fabio teti

un libro con le palle, e con interessanti soluzioni formali e architettoniche, specie nelle prime due (pluralissime eppure unitarie per esiti) sezioni. come plurale e coraggioso è il catalogo in fieri della collana ex[t]razione di Polìmata, cui auguro lunga vita.

hail,

f.t.


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