Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
viaggio obliquo
(poesie 1995-2009)
A cura di
Camilla Miglio
Theresia Prammer
Traduzioni di Alessandro Baldacci, Alberto Destro,
Camilla Miglio, Theresia Prammer
Lavieri Edizioni, S. Angelo in Formis, 2010
Lo spostamento è traduzione fino in fondo, come nella Traduzione radicale da Shakespeare che apre questo volume, dove il rapporto con una fonte è «twin spin», due canzoni con qualcosa in comune, e su quello avvitate insieme; la percezione non è mai ferma e univoca: «e io, disperata, ho capito, / desiderio significa morte, anche se la regia ignora il corpo». Tra morte e desiderio si può dirimere il doppio avvitamento, ma solo e proprio ripartendo dal corpo, in barba alla regia del mondo che apparecchia luoghi e modi della dimenticanza di sé, spesso interrompendo il filo che avvolge psiche e soma.
Spostamento è cromatico: musicale, di accenti e colori, determinato dall’assenza e dal desiderio. Se il tu desiderato non c’è tutto il mondo si ripiega ex negativo: i prati sono rossi, bocca e sangue verdi; «le lucciole brillerebbero verdi / vene sottopelle, / a toccare bocche / verdi, / rosse sarebbero le ortiche». La risemantizzazione dei colori è un elemento forte della poetica di Ulrike Draesner. Bläulich, non Blau è il colore di una sfinge cui non sarà possibile offrire risposte, ma solo nuove domande. L’azzurro, cifra della vita e del sentimento oceanico della tradizione poetica e iconografica si offusca in una gradazione unheimlich. Bluastra è la sfinge, il viso enigmatico di chi abortisce, o forse la faccia mai diventata viso del non nato. Spostamento, anche qui, è «canto in pancia». Il canto di chi è stato raschiato via, finito in un sacco di plastica arancione. E ancora presente, in forma di canto e rumore che raschia. Il raschiamento interno è sempre anche il raschiare dei rami sulla finestra: «ma cosa vuol dire/’nuvola’) / radicina, tu. / in corridoio cantano, / raschiano / rami raschiano la finestra, /la notte».
La scrittura è viaggio verso un altro stato, chiamiamolo anche narcosi da morfina, dove è possibile il ritorno, lungo l’avvitamento del nastro di Möbius del tempo, e il bambino abortito ha una nuova possibilità: «e una coppia, giù in spiaggia / che ti riconcepisce / mentre tu / arrotoli palline di miele / o elettricità o pensieri / nell’ape, nel ragno, / nel lago senza luce». Ma nulla di tutto questo accade, se non per un momento, la realtà è altra: è un aspiratore che invade il corpo della madre e sugge parti di corpo del figlio.
Il corpo perduto e fatto a pezzi, quasi traccia orfica postmoderna, è disperso nella natura: nuvola e campo, radicina e foglia. Il liquido amniotico è neve disciolta e pozza inquinata, tigna del paesaggio.
Il viaggio più doloroso è interiore: peregrinazione tra i segni di una memoria di corpo che si sfalda, in stazioni di sosta nella natura diffranta, in voci e forme molteplici.
La diffrazione del corpo che parla e percepisce ancora si traduce in continua oscillazione tra corpo e luogo, nello spazio urbano. E così anche i maestosi paesaggi delle Alpi, contaminati da elettricità e plastica, suggeriscono una strada che porta alla nostra natura profonda, il nostro essere dentro e in fondo al paesaggio.
Grande il trauma, toccato con mano, disperso per indizi nel poemetto damaskus, manöver. Toccare luoghi è toccare fibre interne di sé, è arrivare con le mani nelle viscere lacerate dell’altro, ricomporle, provare a farlo in un canto frammentario, a volte in singulti, a volte in visioni splendenti come fate morgane.
Gli spostamenti topografici non abbracciano solo le città d’Europa, nei loro paesaggi urbani, venati di desiderio primordiale, e nelle zone di natura selvaggia, invase dalla produzione industriale. Ulrike Draesner ci conduce fino ai deserti del Medio Oriente. Tra Siria ed Egitto avvengono imprevisti spostamenti d’accento. Parole dell’altra lingua risuonano nell’intratesto: waset (fortezza e casseruola), craq des chevaliers (antico castello dei crociati), fulla (barbie mediorientale), nomi di animali e di uccelli, come l’ibis impazzito nel deserto. Cominciamo a guardare le parole allo specchio, a volte davvero alla rovescia, nello specchio delle iscrizioni in arabo; l’io che scrive è un io che legge e osserva, esattamente come l’io del lettore; parole da indovinare lette da destra a sinistra, come l’ibis, uccello impazzito nel deserto: «scorrevano / i caratteri del nome dell’uccello / scrollati in s in i in b»; o ancora, solo tracciate nel corpo delle consonanti : «luci in foto / diventavano serpenti o verdi / figure che uscivano da se stesse / nell’aria ombrosa il tremore digitale / in t r m quasi vedere / centrum». Scaglie di visioni sabbiose o luminose, incerte. Un territorio poetico che si fa specchio neuronale. Si aprono, nella scrittura di Ulrike Draesner, passaggi tra paesaggi e lingue, in una scrittura plurilingue. Il paesaggio urbano, così come quello del deserto pieno di segni della storia, della bellezza e della violenza a pari titolo, parlano al corpo. Soprattutto a corpi di donne, che rispondono somatizzando: facendo entrare in se stesse il disagio della storia e dei luoghi, e trasferendo la sofferenza sul paesaggio. Il corpo, come il paesaggio, comincia a parlare per sintomi, indipendentemente da un sentimento ordinatore, da un cogito accentrato.
Di questo si tratta in damaskus: un ciclo di una forza inquietante. Corpi sono i luoghi, le pietre, le fortezze, le dune. Esplose sono le mani dei bambini che raccoglievano multicolori penne a scatto colorate, paracadutate dal cielo. Nella parola manovra c’è la mano deflagrata mentre inseguiva un gioco e un colore vivace. Nulla di sublime accade nel presente pseudo-televisivo di un medio oriente teatro di guerra da sempre, come testimonia la fortezza di waset, meta per turisti, luogo di morte. La morte irrompe con lo stesso strumento della scrittura, la penna porta distruzione, la penna è una bomba. Le falangi dei bambini curiosi fluttuano nell’aria, con stracci di paesaggio e di memoria.
Se Marina Cvetaeva ha indicato nel respiro il «ritmo dell’anima», per Ulrike Draesner «la forma è ciò che nasce tra corpo e lingua». E come la forma realizzata, allo stesso modo del corpo, è qualcosa che cambia, così anche la lingua «in stato di poesia» (con una bella definizione di Helmut Heißenbüttel) deve rimanere in perpetuo movimento, come un campo di pura potenzialità, un teatro del pensiero animato. Nasce così quel mormorìo diffuso e inconfondibile che caratterizza i versi migliori di questa scrittrice, dove suoni che si scoprono affini possono richiamare e abbracciare significati anche molto lontani. Non è dunque un caso che la scrittura poetica della Draesner abbia avuto origine – come conferma la scrittrice stessa in un suo intervento autobiografico – proprio nel soggiorno in un’altra lingua e quindi in quel tentativo di esperienza poetica che è la traduzione, con tutte le sue implicazioni di familiarità quotidiana, ma anche di folle rovesciamento e straniamento. È infatti durante la sua permanenza a Oxford che la Draesner, ancora studentessa, intrigata da parole omofone in inglese e tedesco, ha cominciato a comporre le sue prime poesie, come traendo scintille da falsi amici, cioè praticando il cosiddetto willful misunderstanding quale procedimento poetico in statu nascendi. Poesie che sono testimonianze freschissime di «un sognare linguistico» in divenire, attraversato dalle correnti imprevedibili della lingua detta “straniera” che, da sempre, è segretamente imparentata con il parlare poetico.
lied im bauch
schmerz; das sind die geschabten wände
im bauch
— leer geräumt, stillgestellt,
in allen muskelfasern, in allen fasern
fehlt das kind —
im bauch. es gelten die gesetze
der reproduktion, sie machen geräusch, die
küretten, sie saugen sich fest
im keim, im dezember
— im bauch. krankentische
klappen herunter, weiß und geschabt, die
gesetze der hygiene gierig
sitzt der stöpsel im rücken der hand
— rotes
plastik und trinkt. was aber heißt
“wolke”)
würzelchen, du.
auf dem gang wird gesungen,
geschrubbt.
äste schrubben das fenster,
die nacht. tritt herbei, zur wanne,
zum heißen wasser
— im mensch.
der weint; in allen fasern mißt
seine weite (im auge, im herzen)
allein in der nacht,
vermißt
die kleinen buchten, das kind.
die eingebogenen
finger zur kehle wie
zum singen gereckt
da, an der wand
(eine wolke erst) bläuliche sphinx,
fragen —
in allen fasern (allen
sprachen — sie klappen
herunter, sie klappen
herauf )
mit dem spiegel
der abgeschabten wand (die äste
am fenster) ungestillt.
fasern. auf stille gestellt.
doch hungrig, doch ragt
aus der hand der stöpsel
rot, ein leergeräumter mund
— unstillbar, im mensch.v
canto in pancia
dolore; sono le pareti raschiate
in pancia
— ripulite, messe a tacere,
in ogni fibra muscolare, in ogni fibra
manca il bambino —
in pancia. vigono le leggi
della riproduzione, fanno rumore, i
raschiatoi, si aspirano tutto fino in fondo
fino alla radice, a dicembre
— in pancia. tavoli d’ospedale
si richiudono, bianchi e raschiati,
voglioso di ogni legge dell’igiene
il tappo nel dorso della mano
— rossa
la plastica e beve. ma cosa vuol dire
“nuvola”)
radicina, tu.
in corridoio cantano,
raschiano
rami raschiano la finestra,
la notte. si avvicina, alla vasca,
all’acqua calda
— nell’uomo.
che piange; in ogni fibra gli misura
la sua ampiezza (nell’occhio, nel cuore)
solo nella notte,
gli mancano
le piccole baie, il bambino.
curve
le dita sulla gola come
allungata nel canto
là, sul muro
(una nuvola solo) sfinge bluastra,
domande —
in ogni fibra (ogni
lingua — richiudono,
riaprono)
con lo specchio
del muro raschiato (i rami
alla finestra) non acquietati, non allattati.
fibre. messe in silenzio.
ma affamato, ma sporge
dalla mano il tappo
rosso, una bocca svuotata
— non acquietabile, nell’uomo.
(Traduzione: Camilla Miglio)
r t r n r t r n träumte
im hotel schwitzend
die laken plastik der boden
rtrn als man auf hügel
baute fest : die feste, ritteruine
das traurige wort. waff en
dem körper angepasst
wunderte (made in china)
das plastik sich wie es
diesen regen sah oder
spiegelte in seinen blanken
augen nur wider
wie die hand
junge knochen darin
sehnen nach dem stift
der so verlässlich
ach segelte (heiter,
geradezu)
wie unsere gesten verlässlich
weltweit: das lächeln, die
grundideen. kinder klicken
kugelschreiberknopf. wir
winkeln die hände dabei
nur auf unterschiedliche
weise an den körper
das fallende licht
r d r c v l r r d r c v l r sognava
sudando in albergo
le lenzuola plastica il pavimento
rdr cvlr quando si costruiva su colline
solidamente: solido, il rudere dei cavalieri
la trista parola. armi
adattate al corpo
si meravigliò (made in china)
la plastica di come volò
in pezzi? si meravigliò il camaleonte
sulla sua roccia quando
vide questa pioggia o
semplicemente la specchiò
nei suoi occhi vuoti
come la mano
con dentro giovani ossa
legamenti dopo la matita
che affidabile
ahi — veleggiava (serena,
persino)
come i nostri gesti affidabili
su scala mondiale: il sorriso, le
idee di fondo. bambini cliccano
su penne biro. noi
incurviamo le mani
solo in modo diverso
sul corpo
la luce cadente
(Traduzione: Camilla Miglio)
forsythien, die knallgelb, noch blattlos, ihr würfeln
das knospen der bäume, was für ein april.
was für ein mageres segnen, kastanien
knospen auf autochrom, was
für ein mageres regnen, knallgelb
die forsythien, was für ein blättern,
für was —
büsche. traueraugen. an
triebe, die los. die nicht.
regen als er hernieder. wie
durch seltsamen wald ging
ich mit den seltsamen weißen
blumen, den zu kleinen füßen:
knöcheltief ein blicken, das
fehlt.
mädchenhöhe, ein
schnitt. forsythie im brust
bereich, hüpfend der pony
vor der stirn - geschnittener
schopf, der gedanke an dich
wenn du wie jetzt dort hinten
winkst, vater, in deiner rinde,
sich näherndes grün.
forsythien, die knallgelb, noch blattlos,
ihr würfeln, vorm waldrand, der kippt.
gelbe streichhölzer, sonst nichts.
touchpad stirn. klickt die lücken
des waldes an. „dich gibt es
nicht mehr für mich“, hast du gesagt.
staub auf dem autochrom. der regen. meine
füße stecken in schuhen, die drücken.
das knospen der bäume. nichts kehrt zurück.
forsizie, che giallo-stridenti, ancora spoglie, i loro dadi
il fiorire degli alberi, ma che aprile.
ma che misera grazia, i castagni
fioriscono sull’autocromo, ma
che misera pioggia, giallo-stridenti
le forsizie, ma che sfogliare,
e perché mai —
cespugli, occhi incupiti, in
pulsioni, che sciolte, che non.
pioggia quando discese. come
attraversando un bosco strano
con quegli strani fiori
bianchi, i piedi troppo piccoli:
dal basso delle caviglie uno sguardo
che manca.
a misura di bambina, in
taglio, forsizie fino
al petto, frangetta che saltella
sulla fronte — ciuff o
ritagliato, il pensiero di te
quando come ora fai cenno
da là dietro, padre, nella tua corteccia,
il verde che si accosta.
forsizie, che giallo-stridenti, ancora spoglie, i loro
dadi gettati, al confine del bosco, che si ribalta,
fiammiferi gialli, nient’altro.
touchpad fronte. clicca
sulle lacune del bosco. “tu per me
non esisti più”, hai detto.
polvere sull’autocromo. pioggia. i miei
piedi stretti nelle scarpe, che premono.
il fiorire degli alberi. nulla torna indietro.
(Traduzione: Alessandro Baldacci/Theresia Prammer)
der liebes film, in dem ich schwimme, ist ein fieber,
das begehrt, was den verfall fiebrig fördert,
und sich von dem nährt, was das ungesunde füttert,
um der flimmernden androiden lust zu gefallen.
mein verstand, ehemals der regisseur dieser takes,
hat, ärgerlich, daß das schneiden nicht schneller ging,
mich verlassen, und ich, verzweifelt, weiß nun,
begehren bedeutet tod, auch wenn die regie den körper davon ausnimmt.
bin, als machbares, jenseits der möglichkeit, einen schritt zurückzumachen,
und frenetisch, verrückt, unruhig, endlos
meine gedanken und mein diskurs wie-der-der-verrückten
zufällig hie, da, im film der zerschnittenen wahrheit gedacht:
denn ich habe geschworen, du seist hell, und glaubte, du leuchtest,
du, ein schwarzes loch, unbeherrschbar, endlos, die spirale der macht
il film d’amore in cui nuoto è una febbre
che brama ciò che febbrilmente vuole la rovina,
e si nutre di ciò che il malsano ciba,
per soddisfare il piacere fibrillante androide.
la mia ragione, allora regista di questi ciak,
seccata che il montaggio impiegasse troppo tempo,
mi ha abbandonata, e io, disperata, ho capito,
desiderio significa morte, anche se la regia ignora il corpo.
sono, in quanto fattibile, priva della possibilità di fare un passo indietro,
e frenetici, impazziti, inquieti, infiniti sono
i miei pensieri e il mio discorso come-quello-degli-impazziti,
a caso, qua, là, nel film pensato alla verità spezzata:
perché ho giurato saresti stato chiaro, creduto ti saresti illuminato,
tu, buco nero, indomabile, infinito, la spirale del potere
(Traduzione: Theresia Prammer)
t o m, w i n t e r r o s a r i u m
so denkst du also soll wärme folgen
an einen heilen ort
dort fragst du dich was so
drückt daß der hals dir davon
in die schultern rutscht sofort streut
eine rose ungeduldig wie hunger
ihre grünen blätter von sich. könntest
du bitte einmal den mund halten, tom?
ich gebe dir milchiges wasser. ob das
genügt um dein magen dein mögen
aus dir zu locken so daß dein rechtes
auge wieder aus dem kopf schnellt wo es
eingedrückt vom gewicht anderer frauen
deren hintern auf dir liegen gern und gründlich
ruht? wir wollen das alles vergessen. die
rose kam natürlich nicht von dir sondern
ganz aus der phantasie die einem jungen pfau
gleich durch mein gehirn räder schlägt. dort
gibt es sternförmige und auch kleinere
oder größere webstücke die sich vernetzen
mit anderen begierden des beginnens. die
benimmfi bel haben wir verloren einige sagen
treue sei eine eigenschaft von innen dann
wäre sie ein prozeß — wie hunger der gierig
auf einen mund drückt von innen, wie
meinen. könntest du ihn einmal halten,
tom? andere sagen wir seien vollkommen
gegensätzlich doch warum sollte nicht auch
dein grünes auge aus dir herausgenommen
einmal liebevoll gebügelt sein? oder
bist du ein hell aufgeschwemmtes stück
holz? höre, ich sage nicht „nur“ angesichts
der weichen treue von wasser das sich
in gekrümmten händen anformt dem oval
des gesichtes welches es auch sei — weißgrünes
winterliches rosenblatt: dieser gedanke,
deine strahlende helligkeit
die dir folgt
während du sie nicht siehst
to m, r o s e t o i n v e r n a l e
così pensi che il calore succeda
un luogo intatto
dove ti chiedi cos’è che ti
opprime cosi tanto da spingerti il collo
fi n giù nelle spalle d’improvviso una rosa
come fame impaziente sparge
le sue foglie verdi. potresti
tenere la bocca un attimo chiusa, tom?
ti do dell’acqua lattea. potrà
bastare per allettare il tuo ventre,
il tuo volere così che il tuo occhio destro
salti di nuovo dalla testa dove posa
schiacciato dal peso di altre donne
il cui sedere ti sta sopra con piacere
e pienamente? lasciamo stare tutto questo. la
rosa di certo non è scaturita da te ma
dalla fantasia che come un giovane pavone
fa ruote nel mio cervello. lì
esistono tessiture a forma di stelle
più estese ma anche più minute che si intrecciano
con altri desideri del principio. il
galateo l’abbiamo perso alcuni sostengono
che la fedeltà sia attributo del dentro allora
sarebbe un processo — come fame che avida preme
contro una bocca da dentro, la mia
per esempio. me lo terresti un attimo,
tom? altri sostengono che siamo completamente
opposti ma perché il tuo occhio verde
estratto da te non dovrebbe una volta
essere stirato con affetto? oppure sei
un pezzo di legno chiaro e
rigonfi o? ascolta, non dico “soltanto” di fronte
alla fedeltà morbida dell’acqua che
nelle mani ricurve si richiude sull’ovale
del viso qualunque sia — foglia di rosa
invernale biancoverde: questo pensiero,
il tuo chiarore lucente
che ti succede
mentre tu non lo vedi
(Traduzione: Theresia Prammer)
2 commenti a questo articolo
Ulrike Draesner
2010-06-04 07:26:06|di Atom Heart Fratus
E’ molto intensa. Piena di respiri. Di passi. Di cose toccate.
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Ulrike Draesner
2010-06-05 21:58:35|di Alexandra Diving
mi piace la tortuosa fisicità di questo poeta donna. Lei vi immette il sangue e le ossa nelle sue parole. crdo che questo sia l’unico modo che ci resta per far sopravivere la poesia. farla respirare!