Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce

Redatta da:

Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.

pubblicato martedì 19 novembre 2013
Blare Out presenta: Andata e Ritorno Festival Invernale di Musica digitale e Poesia orale Galleria A plus A Centro Espositivo Sloveno (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Siamo a maggio. È primavera, la stagione del risveglio. Un perfetto scrittore progressista del XXI secolo lancia le sue sfide. La prima è che la (...)
pubblicato domenica 14 luglio 2013
Io Boris l’ho conosciuto di sfuggita, giusto il tempo di un caffè, ad una Lucca Comics & Games di qualche anno fa. Non che non lo conoscessi (...)
 
Home page > e-Zine > Un articolo di Massimo Arcangeli sulla CRITICA MILITANTE

Un articolo di Massimo Arcangeli sulla CRITICA MILITANTE

(apparso su "L’Unità" qualche giorno fa)

Articolo postato sabato 2 febbraio 2008
da Luigi Nacci

Ringrazio Massimo Arcangeli, che mi ha inoltrato questo suo articolo apparso su "L’Unità" qualche giorno fa (a fine dicembre iniziò una discussione in merito: qui).

***


Cos’è la critica militante? Romano Luperini, riprendendo a suo modo le posizioni in materia di Susan Sontag o di George Steiner, ha fatto sedere anni fa sul banco dei principali accusati dell’insussistenza o della vacuità di certa critica letteraria il “microfilologismo spicciolo”. Un j’accuse provvidenziale per iniziare a dire ciò che la critica militante non può oggi permettersi di essere: un deontologico elogio del particolare (ininfluente) e del minuzioso (pedantesco), che di quel “microfilologismo spicciolo” sono i più diretti eredi, e dell’inutilmente impervio. Fuori della provocazione di chi ha raccolto anche da noi il lascito degli scrittori strasburghesi guidati da Christian Salmon, mossi dalla precisa volontà di non lasciarsi leggere e di dichiararsi minoritari (per combattere il “cartello” del mercato editoriale di consumo), o di chi impugna l’estetica del margine come detonatore sociale, quell’elogio lascia il tempo che trova. Alla lunga, invece di rappresentare una molla per risvegliare le coscienze, può anzi fornire un pericoloso alibi al disimpegno e alla deresponsabilizzazione.
Come si deve allora intendere oggi il verbo militare, che si faccia il mestiere del critico o quello dello scrittore? In questi ultimi tempi hanno provato a rispondere in molti, alcuni approfittando della comoda sponda offerta da diversi articoli comparsi sul “Corriere della Sera”, altri schedando diligentemente illustri esponenti della più battagliera critica letteraria nostrana. È quest’ultimo il caso di Filippo La Porta e Giuseppe Leonelli, autori di un saggio uscito per Bompiani (Dizionario della critica militante. Letteratura e mondo contemporaneo) che aspirerebbe a essere, oltreché un repertorio alfabetico di nomi, un’introduzione storica all’argomento a partire dagli anni Settanta. Alla fine il lettore non sa però cosa abbia esattamente per le mani e, fatto ben più grave, non vede soddisfatta proprio quell’unica, decisiva domanda: chi è realmente un critico militante? Quasi nulla su quel militare che tante volte ha significato schierarsi a favore di un’idea che valesse la pena difendere, ingaggiare feroci corpo a corpo contro le vulgate critiche e accademiche, essere disposti a “morire” per la scomoda verità di un gesto di valore.
Il contributo più lucido alla questione lo ha senz’altro fornito Massimo Onofri. Senza rinunciare ad affondare il suo dente avvelenato nelle flaccide carni degli operatori del consenso, e in forza di un singolare e affascinante paradosso, Onofri celebra in un bel lavoro, Ragione in contumacia. La critica militante ai tempi del fondamentalismo (Donzelli), la liturgia di una critica intesa come un ponte gettato tra la demitizzazione di ogni alterità, disinnescata nelle sue talora arroganti pretese di risarcimento, e la riscoperta del ruolo di un lettore che torna a chiedere alla letteratura – ma la sua, in fondo, è richiesta di sempre – una qualche risposta ai piccoli e grandi drammi della sua vita.
Gettati alle ortiche tutti gli ingombrantissimi -ismi novecenteschi (strutturalismo, storicismo, ricezionismo, antropocentrismo…), Onofri pare aver compreso che l’unico modo, oggi, per essere davvero militanti è di sciogliersi in un reciproco abbraccio: soltanto così l’Io può diventare anche l’Altro, quell’Altro che, “in fin dei conti, siamo noi”. In tempi in cui si brandisce volentieri l’arma dello scontro tra civiltà, o si agita lo spettro della polarizzazione manichea tra il bene e il male, cantare fuori del coro è elogiare le sfumature, i chiaroscuri, le tinte mélange e, al limite, scambiare le posizioni del bianco e del nero.
La sfida portata dall’abbraccio di Onofri si fa forte di un disegno di “illuminismo trascendentale”, di una “ragione condivisa” il cui tramite è l’argomentazione responsabile e retoricamente persuasiva delle idee da comunicare; ma i “valori condivisibili” incaricati di realizzare il migliore dei mondi possibili – una sorta di repubblica maieutica delle lettere –, se servono proficuamente la causa della militanza critica, non bastano a far sì che un critico (o uno scrittore) possa esercitare oggi fino in fondo il suo mandato civile. L’incontro con il lettore può forse avvenire meglio su un vecchio – e un tempo familiarissimo – campo, solo sfiorato da Onofri: quello del sublime artistico, dell’ammirazione silenziosa per una bellezza che non ha alcun reale bisogno di essere sostenuta dalla persuasione o dall’argomentazione.
Resistere alle sirene del prodotto commerciale (il quale, se è un romanzo, esige la chiarezza dello sguardo da lontano del narratore e la precisione di assetti temporali che scandiscano perfettamente il prima e il dopo) come ha fatto il gruppo di Salmon, o smarcarsi dall’“amicalismo” o dal servilismo dei recensori conniventi, può essere già qualcosa per imboccare e riuscire a mantenere una strada antagonistica nel terreno della scrittura narrativa e della relativa critica; reagire alle tante bellezze volgari o rifatte che inondano il mondo recuperando l’etica di una naturale bellezza potrebbe forse rappresentare qualcosa in più.
Se il genio non dimora più da noi, se gli abbiamo sostituito la succedaneità di un insapore gusto collettivo, è perché non siamo più avvezzi a essere disarmati dalla vertigine del bello, alla sua virtù taumaturgica. Non riesce a dirmi granché Harold Bloom quando cerca di convincermi della necessità di un canone letterario occidentale da rivendicare e difendere. Mi seduce quando sostiene invece la centralità del gusto estetico. Convinciamocene. L’illuminismo non ha più molte frecce al suo arco, e ancor meno ne possiede il realismo. Per tentare di rianimare la letteratura – e riossigenare il giudizio critico su di essa – forse abbiamo bisogno, più che di essere persuasi dagli appelli all’etica della scrittura, di tornare a commuoverci davanti a quel che avvertiamo come sommamente bello. Se c’è un sostantivo al quale mi sentirei oggi di abbinare l’aggettivo etico è proprio quello di bellezza: una “bellezza etica” come idea di un sistema di valori artistici (questi, sì, realmente trascendentali) nei quali si è disposti ad ammettere l’impronta del genio qualunque sia la sua fede o il colore della sua pelle. Un genio che, agli occhi di chi lo ha riconosciuto tale, dovrebbe apparire “innocente” e del tutto disinteressato.

Massimo Arcangeli

***

In alto la riproduzione di un quadro di Ugo Pierri tratto dalla serie "Né soldati né soldatini"

12 commenti a questo articolo

Un articolo di Massimo Arcangeli sulla CRITICA MILITANTE
2008-02-04 12:28:02|di ermi

Alle seguenti affermazioni di Arcangeli derivate da Burke da una parte e da Wilde, dall’altra, vorrei gentilmente obiettare:

Scrive Arcangeli: "reagire alle tante bellezze volgari o rifatte che inondano il mondo recuperando l’etica di una naturale bellezza potrebbe forse rappresentare qualcosa in più. (...)Per tentare di rianimare la letteratura – e riossigenare il giudizio critico su di essa – forse abbiamo bisogno, più che di essere persuasi dagli appelli all’etica della scrittura, di tornare a commuoverci davanti a quel che avvertiamo come sommamente bello. Se c’è un sostantivo al quale mi sentirei oggi di abbinare l’aggettivo etico è proprio quello di bellezza: una “bellezza etica” come idea di un sistema di valori artistici (questi, sì, realmente trascendentali) nei quali si è disposti ad ammettere l’impronta del genio qualunque sia la sua fede o il colore della sua pelle." (fine citazione)

A questa affermazione, mi sento di obiettare. Non si può stabilire un programma imperativo che abbia la ‘commozione’ come ‘fin’e, nonché il "bello" come ‘orizzonte’. Commozione e bellezza nascono dalla personalità dell’individuo spontaneamente....nessuno può dire ad un lettore e tanto meno ad un critico: "adesso basta fare congetture, su! commuoviti!" Commozione e bellezza sono inoltre valori non universali, non hanno di per se stessi definizione e senso assoluti.

Nella "innocenza", non ci credo. E’ un mito sfruttato dalla Chiesa cattolica che vuole fare leva sull’innocenza perduta per persuadere il credente a rimettersi ad essa per riottenere questa presunta innocenza originaria.

Per quanto riguarda il genio, non è mai di una sola mente.

(da scuola)


Un articolo di Massimo Arcangeli sulla CRITICA MILITANTE
2008-02-04 08:57:17|di erminia

Absolutely! I agree. Ma visto che la poesia - rispetto anche al genere letterario di cui si tratta e non a un altro indifferenziato - merita un discorso a parte (perché un libro di poesia non si compra o regala a Natale quanto un altro libro, né costituisce mai un best seller in Italia) si muove tra lettori interpreti variamente critici, allora spesso si avrà che lettore e critico/recensore coincidano.

E la storia della ricezione è storia di valutazioni spesso molto competenti rispetto non solo al contesto, ma a ciò - al tipo di proposta o scontro di poetiche e critiche - che l’autore ha inteso (vedi lo Shakespeare dei sonetti rispetto al modello Petrarca seguito dai suoi compagni poeti antagonisti a cui in special modo questi sonetti erano rivolti), quello che ha voluto porre sul piano del confronto di ideologie, visioni del mondo, di contenuti e di forma, proprio rispetto a quel contesto e a quella peculiare fascia di lettori presupposta ed attesa.

Anzi l’aspetto performativo dei sonetti di S. metteva molto in chiaro l’elemento di sfida, rivolto ad un pubblico competente che conosceva questa maniera speciale di confrontarsi tra poetiche, e soprattutto la voleva affrontare. Mi risulta che Shakespeare non abbracciasse col cuore nemmeno la Dark Lady o il Fair Youth, a cui, pur se affezionato, e tramite i sonetti a loro dedicati, aveva molto da rimproverare, proporre e chiedere, anche perché il Fair Youth era il suo patrocinatore e sovvenzionatore di fondi per le sue attività performative.

Ciò non toglie che oltre al filologo, si rivolga ai sonetti anche un altro tipo di critico/interprete, molti altri tipi di critici ed interpreti che notoriamente da sempre si scontrano per avere l’ultima parola sul senso di quella prestigiosa raccolta, sulla storia della sua ricezione così come sulla sua teoresi, veicolata vuoi apertamente vuoi tra le righe.

E sui sonetti di Shakespeare esistano oggi un numero di interpretazioni (pubblicazioni) pari se non superiori per numero a quelle che esistono su La vita nova Dante. Un poeta fisso incontra epoche e generazioni di interpretanti e dunque muta con esse.

La lotta tra interpreti e critiche militanti non è solo tra quelli che sono nostri contemporanei o con la tendenza epocale, generazionale, ma è con un accumulo, una stratificazione praticamente insondabile di lotte che non si può ignorare.

Dunque, anche che si trova una critica asservita o fortemente partitica, volta alla produzione di volumetti, e promozione di clan, penso che questa non sedi ma attizzi la lotta. Molto velocemente prima di andare ad insegnare. Ci sentiamo dopo.


Un articolo di Massimo Arcangeli sulla CRITICA MILITANTE
2008-02-04 03:54:56|di Christian Sinicco

Erminia, la varietà di approcci nel campo mi pare risponda bene alla possibilità di "scontro" su singole parti di un discorso critico - per quanto mi riguarda, mi scontrerei volentieri con chi pensa che l’intenzionalità di un autore, il formatore dell’opera, non possa essere tutto sommato colta e ricostruita, sia che questi si sia mosso per dare vita ad un’opera fondata su contesti, sia che abbia accettato/perseguito una teoresi (o una posizione ideologica).

Dopo essermi scontrato su questo punto (perché per me un autore dovrebbe sapere come l’opera si orienta, o ipotizzarlo, ed io posso entrare nella sua formatività, comprendere il suo fare), dico, dopo essermi scontrato con chi vuole fare un discorso di "interpretazioni" nel corso della storia, cioè affidando le sorti della critica alla critica (più o meno postuma o posticcia), elundendo appunto il discorso sull’opera se non come studio delle ricezioni in seno ad un ambiente (e possiamo immaginare oggi dove atteggiamenti del genere possano andare a parare, a cosa possano servire), fonderei il discorso della ricezione piuttosto a partire dagli orientamenti scoperti, anche grazie alla scoperta e scoperchiata intenzionalità: per me l’opera è un dispositivo che si esegue in presenza di un altro, integrato nella realtà, e ho interesse a scoprire il valore di questa integrazione.

Alla base per ci deve essere questo atteggiamento - altrimenti possiamo accettare che ogni parola si trasformi in poesia, nonché accettare ogni tipo di manierismo...cosa che eviterei.


Un articolo di Massimo Arcangeli sulla CRITICA MILITANTE
2008-02-04 01:25:25|di erminia

oppps, Onofri.


Un articolo di Massimo Arcangeli sulla CRITICA MILITANTE
2008-02-04 01:22:30|di erminia

Velocemente...Irriverenza anche a te Chis.

Mi sa che non mi sono spiegata bene, e me ne scuso: non intendevo la guerra ‘tra noi’, o la guerra tanto per dire, ma intendevo l’aspetto oppositivo delle critiche militanti. Quando Luperini si confrontava con i suoi maggiori oppositori, non era certo epoca che la critica si attardava ’in deontologici elogi dei particolari(ininfluenti) eccetera’-----

Conosco abbastanza cosa intendesse luperini quando si schierava contro la neoermeneutica, perchè spesso me ne ha spiegato il senso ’in relazione alla sua militanza’...

lo scontro (non parlavo di guerra) delle prospettive critiche - questo intendevo - è un dato positivo motivante, utile al confronto. (E lo scontro può anche magari finire con un abbraccio, ma sempre dopo la lotta).

Escludere o eludere questa lotta è incompatibile con il confronto delle teoresi e delle estetiche---
questa la mia opinione.

Si chiede Arcangeli: “Come si deve allora intendere oggi il verbo militare, che si faccia il mestiere del critico o quello dello scrittore? “

Un critico o uno scrittore di professione sa già molto bene cosa si debba intendere e cosa sia la propria militanza, in caso contrario non sarebbe un critico di mestiere, ma un principiante.

Siccome tutti in qualche senso militano per/nella propria professione e per/nella propria ideologia, chi pone la succitata domanda? il lettore? (ma il lettore medio, che non sia anche lettore-critico, lettore-scrittore, se le chiede poi queste domande così specifiche?)

Si chiede Arcangeli: “ chi è realmente un critico militante? “

Appunto, lettori medi, chiedetelo ai critici-scrittori militanti perché essi potranno dar(vi) delle risposte chiare. Poi, dopo averlo appreso ed compreso da costoro, cosa sia il critico militante…. chi andrà ad abbracciare Onori?


Un articolo di Massimo Arcangeli sulla CRITICA MILITANTE
2008-02-04 00:30:26|di Christian Sinicco

Non ho ben capito Erminia se ce l’avevi con me... in ogni caso, irriverenza sempre. Non c’è alcun confronto (o guerra come tu scrivi): per quanto osservo manca propria una teorizzazione su ciò che accade, al limite solo sbandieramenti confezionati, e anche questi post non muteranno la percezione della bellezza in chi viene fuori dall’accademia:-)

A prop., è interessante Christophe Hanna (appena postato su Gammm; complimenti a Zaffarano e Bortolotti), perché mette in crisi Jakobson prendendo in esame una serie di autori... C’è un sistema di riferimento, una nuova teorizzazione, e una discussione critica.

Sono d’accordo con te Silvia, quindi, perché una critica fatta di riferimenti (o se vuoi di citazioni), è poco interessante. Cioè con quella critica possiamo motivare qualsiasi cosa.
Una critica (militante?) fondamentalmente dovrebbe mettere in discussione qualcosa, enon fornire semplicemente dei riferimenti.


Un articolo di Massimo Arcangeli sulla CRITICA MILITANTE
2008-02-03 20:03:26|di Molesini

A me sembra evidente (alla quarta birra) che non c’è critica militante perché non c’è guerra. Non c’è risorgimento e manco rivoluzione, siamo nel lago postmoderno, e meglio ancora post-postmoderno, dove passa tutto quello che ha forza di passare.

Quello che passa risponde a criteri che nessuna critica conosce, tranne la strumentalizzata.

Quella esiste, eccome. Tira fuori alla bisogna visioni del mondo, nomignoli, filologie, e le accampa a decorare il prescelto esprimente come a farne un nuovo eletto del Monte Parnaso e co.

Ma mai mi verrebbe da dire che una critica militante debba per forza esistere, sono d’accordo con l’Erminia, quale guerra? E perché?

Mi basterebbe una critica understatement, una capacità modesta di contestualizzazione e traduzione, una specie di linea concreta che rispondesse a domande semplici, tipo " in che contesto il testo fa quello che fa?", " quale testo riesce a dare questo risultato, quello di farsi ascoltare ad esempio, e cosa muove?", " quale contemporaneità il testo rappresenta, come riesce a farlo, cosa ci racconta, cosa ci dice?", " come si rapporta il testo con i suoi precedenti, quali sono i canali che variano, quali i canali che rimangono?"

Altre, anche, contestuali e derivate.
Che non capisco: quale effettiva spaccatura è avvenuta nella decodificazione del mondo?
E la poesia, se c’è stata, l’ha vista?


Un articolo di Massimo Arcangeli sulla CRITICA MILITANTE
2008-02-03 12:10:24|di erminia

da cui, data la affermazione di Onofri, "la vera militanza è quella dell’abbraccio" mi sembra si pervenga ad una contraddizione in termini.

l’abbraccio sarebbe con i critici militanti delle fazioni opposte?

allora non si tratta più di militanza, ma di pacificazione, missione apostolica, pacificazione critica, critica della pacificazione/conciliazione, critica pacificante/accomodante.

oppure, anche nella pacificazione ci vuole militanza, come nello spirito antico delle Crociate. ed il circolo vizioso riprende, inalterato.

io credo la militanza critica, di parte, necessaria ed inevitabile. dunque, imprescindibile dall’esercizio estetico, in quanto ogni estetica è, per sua natura, militanza del pensiero critico di/su/contro qualcosa.


Un articolo di Massimo Arcangeli sulla CRITICA MILITANTE
2008-02-03 11:06:53|di erminia

La critica militante è termine generico perché non esiste ‘una’ critica militante ma molte, innumerevoli critiche militanti, tante quante posizioni ideologiche esistono, e bisognerebbe dunque individuare in senso storicistico di quale scontro tra quali tipi di critica militante stiamo parlando attualmente, quali forme di critica militante siano sopravvissute al postmoderno (che pure ne era intensamente popolato), ovvero capire se vi siano teorici o esponenti oggi che per le loro critiche si ‘battono’ con veemenza (sì, ce ne sono!), o se invece vi sia solo un reciproco enunciarsi di critiche deboli, senza nessun elemento di lotta (non credo sia questo il caso).

La militanza (di una critica) è un fatto partitico, fazioso, e dunque non può esserci ‘una’ critica militante per definizione, in quanto la critica militante ha almeno bisogno di un’ antagonista (da cui la necessità di riformulare la questione in senso anche numerico, trattandosi sempre di scontro tra due (tendenzialmente) o più‘critiche militanti’ in senso ad una data cultura).

Se questo ritorno ad una posizione che privilegi l’estetica inizia ad avere teorici o portavoce che si battano per il confronto della loro posizione rispetto ad altre (i.e. la critica post-marxista), allora anche questa diventa ‘una’ delle varie forme di critica militante attiva, di parte, che presto o tardi verrà inquadrata, etichettata e identificata con un dato numero di esponenti ed organizzazioni (giornali, gruppi eccetera), occupati in un conflitto verbale e performativo solitamente forte, combattivo a causa ed in nome di una data prospettiva ritenuta (a torto o a ragione) ideale.

Allora invece di ‘critica militante’, si parlerà di ‘critiche militanti’ a confronto, perché mai lo scontro si da in mancanza di un antagonista forte in una società con visioni del mondo altrettanto forti. Inoltre la critica militante ha sempre un impianto politico e filosofico alle spalle assolutamente preponderante rispetto alle arti, background che si fa forte delle estetiche per portare avanti i propri discorsi ideologici. Questi discorsi non sono mai nuovi, inediti, ma cloni dell’alternarsi di date note tendenze che in una società tipo la nostra si ripropongono incessantemente come guerra a due / più fronti.

questa la mia opinione.

erminia


Un articolo di Massimo Arcangeli sulla CRITICA MILITANTE
2008-02-03 10:49:12|

ok, again (I finally found my glasses in the morning mess):

poi vi lamentate quando metto in evidenza il danno dei perduti boccoli. Ah, quanta irriverenza, santa pazienza. ero io. ermi


Commenti precedenti:
1 | 2

Commenta questo articolo


moderato a priori

Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Un messaggio, un commento?
  • (Per creare dei paragrafi indipendenti, lasciare fra loro delle righe vuote.)

Chi sei? (opzionale)