Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
Vincenzo Bagnoli è nato nel 1967 a Bologna, dove vive. Ha suonato in una rock band, ha lavorato per periodici ed emittenti locali, ha svolto attività di ricerca e didattica all’Università e scritto saggi e monografie di critica letteraria (Contemporanea, Esedra 1997; Letterati e massa, Carocci 2000; Lo spazio del testo, Pendragon 2003). E’ tra i fondatori di "Versodove", rivista di letteratura, e attualmente lavora come redattore per la società editrice il Mulino. Ha pubblicato le raccolte di poesia 33 giri stereo LP (1980-2000) (Gallo & Calzati, 2004; musiche di Nicola Bagnoli), FM – onde corte (Bohumil, 2007; disegni di Giacomo Della Maria) e Deep Sky (d’if, 2007).
Skyline
Gela la terra E gela il colore
rappreso come Un angolo di ombra
l’ira di orione la sua trasparenza
tremenda senza tregua la stanchezza
i chiari cieli bassi dell’inverno
la verità del termometro fredda
il buio nella strada del mattino
nel centro dell’occhio la macchia il vuoto
il grande cerchio d’ombra dell’eclittica
Siamo rimasti al bordo di giornate
gli sguardi come stanchi soli raggi
rasenti ai muri esterni di dicembre
nei pomeriggi corti e vuoti obliqui
non una sillaba Ai giorni brevi
Skyline: richiama il titolo di una canzone del gruppo irlandese dei Clannad (1985), ma genericamente significa in inglese «orizzonte» (è molto poetico però che alla lettera significhi «linea del cielo»)
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Aquarius
Soli fiochi E opachi mai sereni
nel cielo un pallido azzurro lontano
la solita lama a fine gennaio
taglia come un rasoio astioso l’aria
di questi pochi passi in equilibrio
nel vasto vento della rotazione
È come se nel moto del pianeta
l’oceano si alzasse da occidente
una stonata marea di molecole
per traversare le nostre regioni
in una stupefatta aridità
di asfalti di cementi e di fuliggine
tutto è spento dai morsi del mese
cade la cenere nei giorni in coda
come il ruggito dei cirri in quota
Aquarius: è il nome della costellazione, ma richiama anche il titolo di una canzone e il refrain dell’«età dell’acquario», l’epoca di pace e amore che avrebbe dovuto iniziare con gli anni ’70 e che è invece è ancora ben la da venire (al di là del buon senso, anche astrologicamente inizierebbe verso il 2645...).
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Tritone (major Matt Mason)
Gelido pallido elettrico sole
freddo colore del magro febbraio
crepuscoli di sera acuti come spilli
schiacciati nel silenzio spenti in fretta
nel vento ancora teso e raggelato
questa è la fame dell’unghia dell’osso
e quello strazio di nuvole in alto
durante i corti tramonti invernali
toglie anche l’aria ti lascia nel vuoto
di un altro mondo alieno e inospitale
nei cieli di Idrogeno e metano
dei torpidi pianeti esterni e sopra
la grande macchia oscura di nettuno
orlata ai bordi di nuvole chiare
esplori il nuovo senso dei tuoi passi
Tritone (Major Matt Mason): Tritone è il satellite di Saturno su cui è di recente atterrata una sonda, svelando linee costiere e panorami simili a quelli terrestri; la differenza è che l’atmosfera, i fiumi e mari di quel mondo sono composti di idrocarburi, mentre i vulcani eruttano ghiaccio fuso. Major Matt Mason è invece il nome di un giocattolo della Mattel, raffigurante un astronauta, che mi fu regalato nella mia prima infanzia, quando pensavo che anch’io avrei viaggiato nello spazio e visitato magari Tritone: oggi percorro ambienti ostili simili, dominati da idrocarburi e gelo, ma sono banalmente le mattine invernali di Bologna.
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Vega (agrippa 2004)
Che ora i mostri metallici del petto
muovano guerra distruggano tutto
che ora bruci il fuoco le cortecce
schianti la stiva delle petroliere
accenda le maree delle fiamme
nere consumino il mondo Intero
che ora il dolore mi porti lontano
lungo Il fiume di strade veloci
e verso l’isola degli esiliati
che mi rimangi il destino e consumi
i passi conosciuti e disattesi
senza le Ossa si lasci la tomba
l’ultimo Anno del mondo anche questo
Vega: è il nome di alpha lyrae, altra stella, ma anche del nemico di Goldrake (un anime giapponese, ma degli anni ’70) i cui mostri meccanici devastavano la terra nel tentativo di conquistarla.
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dottor Inferno
Questo È il teso filo della febbre
la fiamma asciutta degli anni passati
di qualche azzardo ancora cercato
delle altre veglie il morso dei sogni
la rabbia che aggredisce a tradimento
vento nero nel cuore della notte
i mesi della fame e dell’assedio
sangue ammalato di altrove e altrimenti
che picchia forte le vene del collo
Questo è il lampo che ha ferito gli occhi
all’alba di una sera disperata
disastro senza nome e senza volto
maggio si sfascia in piogge e rovesci
in strade bagnate senza speranza
novembre frana in mattine feroci
asciutto mare di acciaio satinato
un calmo lago di mercurio freddo
adesso non c’è modo di tornare
uomo già fui e di voi non m’importa
Dottor Inferno: è il nome del nemico di Mazinga Z (protagonista di un’altro anime), i cui scopi e metodi sono per il resto simili.
(testi tratti da Deep sky)
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Days of Radiance (pseudosonetto)
dal cielo dei gemelli il sole incendia
già sopra i tetti e sopra all’asfalto
l’aria appassita di queste giornate
di primavera affogata nell’afa
fra ozono e smog Dopo i perduti giorni
del sole del sale dell’amarezza
dope le prime notti dell’estate
verranno i tramonti pieni di luce
smagliante del colore dei pianeti
e di costellazioni ammiccanti
ad altri luoghi e a un altro cielo terso
sgombro dai cumulonembi sereno
alla bellezza di un sorriso atroce
intorno la rovina di ogni cosa
(inedito)
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Appunti per una pratica della lotta di classe
(per D.C. e V.F.)
si sovrappongono nella memoria
i giorni prima e dopo del solstizio
la luce breve le ore a precipizio
verso Il buio il tempo senza storia
il desolato permafrost dei giorni
nuovi l’attenta paura al mattino
il grigio cenere di alba e cemento
e anche l’azzurra carezza sugli occhi
dell’ombra dei grattacieli caduta
s’un incidente d’auto suburbano
pioggia continua e sonno smarrito
stupida fretta di andare al tuo posto
malinconia di casa galleggiante
nell’odore di arance e di merende
la voce opaca la nebbia bagnata
la triste ottusità del giorno pieno
delle altre facce alla fine di tutto
sorprese dal freddo fuori alla scuola
l’attesa lunga di un giorno di festa
che durerà poi per tutta la vita
per arenarsi nel vuoto nell’ansia
e nel rammarico torbido denso
di tutto il lavorare senza senso
della fiumana scorsa più avanti
di essere rimasti senza storia
e senza parole come un bambino
in mano solo la fatica fatta
(inedito)
*
XV lama (semisonetto ‘tainted’)
L’orizzonte oltremare spesso è tetro
nelle giornate più azzurre incupisce
e c’è uno sguardo malvagio nell’ombra
dove la luce del giorno sparisce
Fra alba e tramonto dal cuore Oscuro
delle foschie e dei raggi taglienti
mi lancia torbide occhiate assassine
ripete mute minacce inquietanti
Di notte sorge Marte fra i vapori
della bassa atmosfera stella rossa
che arde di orrendi sanguigni bagliori
Torcia diabolica rivolta in basso
ammicca alla rovina alla miseria
umana e brucia di auspicio nefasto
(inedito)
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L’attraversamento dei territori della contemporaneità ha bisogno di nuove mappe: i vecchi sistemi di riferimento, le topografie critiche del passato sembrano non in grado di cogliere la natura frattale e stratificata di questo territorio, la sua geografia non euclidea. La mia poesia vuole perciò tentare mappe di attraversamento che partano dall’osservazione, da un epistemologico «situarsi» e «orizzontarsi» piuttosto che da teorizzazioni condotte dalle posizioni privilegiate di «scuole», «tradizioni» o accademie» (le quali ormai non assicurano più nessuna visuale e anzi sono torri d’avorio senza finestre).
Questa organizzazione in mappa conoscitiva del testo avviene proprio attraverso la composizione dei luoghi, con la loro potenzialità mnemonica, entro una rete di connessioni che ne attiva le potenzialità semantiche, in un PAESAGGIO. È questo l’elemento che con gli altri di «Versodove» ho cercato di rendere parola-chiave del nostro fare poesia. Lo spazio, i luoghi, il paesaggio e lo sguardo sono quindi per me l’elemento fondamentale di una poetica che voglia tentare di sperimentare una migliore capacità interpretativa-performativa nei confronti della complessità del reale (anche come spazio sonoro, in cui materialmente si trova l’impronta quelle sovrapposizione di voci che sono all’origine del mio fare poesia: le stratificazioni e gli incroci di parlato, tracce musicali e palinsesti letterari che attraversano il vivo di un ambiente e di un’esperienza). Predonimante nella mia poesia è insomma una dimensione spaziale, tanto nel materiale quanto nell’immaginario, sulla base della quale cerco di costruire un possibile avvicinamento fra la mia esperienza e quella del lettore, un sistema che inscriva e contempli entrambi, in luogo di una griglia di coordinate storiche diventate oggi illeggibili o troppo intricate (forse le due cose sono in rapporto causale).
Nello specifico, come mostra anche la forma delle raccolte che ho finora pubblicato, la struttura di questi luoghi, la topografia del paesaggio che con essi ho cercato di costruire si articola essenzialmente sugli emblemi dello spazio urbano (ormai la nostra forma d’esperienza privilegiata) e della geografia fisica (anche astronomica) quale si delinea fra discorso scientifico e percezione atmosferica, legata quindi alla quotidianità del nostro vivere e del nostro ambientarci. In 33 giri Stereo LP la mappa è quella a «rizoma» di Bologna, che cresce per cerchi concentrici e che assomiglia anche al vecchio disco in vinile con la sua spirale di microsolchi, ma anche alla stratificazione atmosferica di troposfera, stratosfera, mesosfera, ionosfera, esosfera e alla doppia spirale concentrica, fra alto e basso, dei cieli o gironi danteschi, per tornare al letterario. FM – onde corte partiva dall’allegoria del naufragio in terra incognita per spiegare la necessità, per prender coscienza di un luogo alieno, dell’orizzontarsi, dello studio dei luoghi, dell’osservazione del cielo e del clima, come anche dei relitti spiaggiati dalle onde: storia e cultura, materiali nobili e poveri, mescolati fra loro e resi indistinguibili dalla corrosione. Deep Sky infine ripropone questa connessione verticale fra luogo terrestre, fenomeno atmosferico e asterismi distanti: le costellazioni di senso nel cielo distante della memoria collettiva, dove alle immagini della storia si sovrappone il banale del consumo e del quotidiano.
Com’è evidente, a fondamento di questa operazione sta sempre una riflessione: che per sussistere la poesia abbia bisogno di una qualità di attenzione, debba cioè fare i conti con il proprio situarsi entro un orizzonte più ampio, in una spazio più complesso. Per fare questo è necessario un supplemento di pensiero, contro l’industria dell’ingenuità e i sacerdoti del silenzio e dell’ignoranza: i canti smemorati sono troppo facili da intonare in un postmoderno che è tutto una canzone. La presenza delle voci, quella traccia sonora plurale di cui ho parlato prima, non sta quindi nella scrittura come effetto sonoro, finzione scenica, ma è il ritmo delle parole nei giorni: un’attitudine partecipativa, cui si deve la capacità di essere nel flusso linguistico (a contatto con il pop e le «lingue di massa», le «lingue ricevute») senza tuttavia rese al frammento e alla «mimesi del rumore», ma sempre con un’inclinazione interpretante. Secondo una scelta che accomuna molti autori contemporanei, il mio modello – per necessità e non per posa intellettuale – è quello della «descrizione e narrazione» implicito alla struttura della critica. Lo sforzo di «riuscire a vedere» il disagio epidermico rispetto a un clima e dunque includerlo, e includere l’io piccolo, nello sguardo più ampio dell’atmosfera, nel paesaggio, vuole tentare l’apertura di campo alla «situazione», un QUI in cui dar spazio alle voci, in luogo della pronuncia dell’io fragile e fallibile.
Il rapporto con il paesaggio si propone allora come forma privilegiata del rapporto con la percezione fenomenologica della spazialità, del corpo nello spazio: con l’«essere al mondo» come territorio d’incontro degli spazi e degli sguardi che apre alla dimensione plurale, uscendo dal soggettivismo, senza per questo ricercare collettività epiche o neo-orali, ma aprendo essenzialmente alla dimensione architettonica dell’esperienza comune e restituendo un senso storico alla poesia, non come programmatico elemento contenutistico o decorativo. L’immagine del paesaggio nella mia prospettiva non è più «luogo dell’anima», ma «luogo del corpo» fisico, cui spetta il compito di abbracciare la complessità delle trame e delle intersezioni dialogiche: una peculiare «mappa», insomma, resa indispensabile dal bisogno di orizzontarsi dell’uomo moderno nel «labirinto gnoseologico-culturale».
Vincenzo Bagnoli
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La foto in alto è di Ennio D’Altri; a destra: 1) Disegni del cielo è la prima poesia di Deep Sky; alla lettura eseguita nel primo slam fiesolano de "Le voci la città" è stata sovraincisa la registrazione della traccia delle perseidi captata al radiotelescopio); 2) La forma della città è un poemetto tratto da 33 giri stereo LP (October, sottotitolato Erotopografie metropolitane e dedicato "ai luoghi, ultimi dei, e a Giovanni Nadiani"; 3) Sweet Home Stars è una traccia del cd allegato a 33 giri stereo LP, che musica alcuni versi della Canzone degli atomi di idrogeno.
2 commenti a questo articolo
VINCENZO BAGNOLI: intorno la rovina di ogni cosa
2008-11-04 17:35:57|
Bagnoli è un poeta molto interessante perché evita l’italico lirismo (anche in una veste magari dimessa, neocrepuscolare) per riprendere con originalità la lezione di certa poesia inglese (Larkin, Harrison), contaminata con depositi primonovecenteschi, ripresi in una chiave "archeologica" e dissacrante.
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VINCENZO BAGNOLI: intorno la rovina di ogni cosa
2008-11-06 07:38:18|di deridenti
interessante.
molto istintivo, cercando l’attimo, l’ora, il minuto.
un orologio insomma. :)
scherzo. concordo col commento precedente il mio.
deridenti