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Verso i bit

Note su poesia e computer

Articolo postato lunedì 20 novembre 2006
da Vincenzo Della Mea

“Se ogni cosa riguardo un individuo poteva venire rappresentata su un disco di computer mediante una lunga sfilza di uni e di zeri, ebbene, che razza di creatura sarebbe stata rappresentata da una lunga sfilza di vite e di morti? Una creatura, certo, di più alto rango; un angelo, un dio minore, un essere che viaggia dentro un UFO. Ci vorranno otto vite e morti umane, perlomeno, soltanto per formare una sola lettera del nome di queste essere sovrumano e il suo dossier completo richiederà, forse, un notevole pezzo della storia del mondo”.

Così pensa Frenesi, la protagonista di Vineland, mentre scorre la lista dei collaboratori inseriti nel programma di protezione della polizia, che pian piano stanno scomparendo. Thomas Pynchon ha scritto queste cose prima del 1990, prima quindi che il computer diventasse oggetto comune, e sapeva anche che nel computer una lettera viene rappresentata con otto bit: l’immagine è bella, l’esito è suggestivo, e la fonte è in qualche modo esterna alla letteratura, poiché proviene dall’ambito tecnico dell’informatica.

Io mi occupo di ricerca scientifica proprio nel campo dell’informatica, e mi è capitato di concentrarmi su questo tema anche dal punto di vista poetico in due occasioni. Una è stata la raccolta di miei testi intitolata Algoritmi (Lietocolle, 2004). L’altra è un’antologia intitolata Verso i bit, che ho curato recentemente per l’editore Lietocolle, e che ospita testi di una trentina di poeti in cui in qualche modo compaiono computer, reti, informatica in generale.

E’ interessante osservare ciò che filtra dall’informatica verso la letteratura per almeno due ragioni. La prima è che, come osserva Giuseppe O.Longo in Homo technologicus (Meltemi, 2001), sta avvenendo una trasformazione da Homo sapiens a homo -appunto- technologicus, in quanto la tecnologia modifica l’ambiente in cui viviamo, e questo vincola il processo evolutivo dell’uomo. Poiché parte della tecnologia che influisce sull’ambiente è costituita dall’informatica, ci si può aspettare che l’homo technologicus cominci a lasciare tracce scritte su di essa come ha fatto l’homo sapiens segnando il passaggio da preistoria e storia.

Un’altra ragione è dovuta al fatto che il computer è lo strumento con cui quasi tutti gli scrittori scrivono i loro testi. Il gesto dello scrivere manuale nel tempo ha fornito numerose immagini e metafore a cominciare dal famosissimo indovinello veronese: per il computer, la metafora dell’aratro che semina un nero seme su un campo bianco non vale più, e qualcos’altro la sostituirà.

Ci aveva già pensato Valerio Magrelli, nella rubrica di poesia che tenne sulla rivista Telèma, negli anni dal 1998 al 2001. Ospite di una rivista informatica aperta ad altre discipline, Magrelli ha approfittato della situazione per gettare i primi ponti tra informatica ed il mondo della letteratura, ed in particolare della poesia. Lo ha fatto da utente grato anche se all’occorrenza critico, che riconosce l’indubbia utilità ma anche i difetti di uno strumento che è diventato indispensabile per la sua attività di scrittore. Per ulteriori notizie su Telèma, si può leggere in rete la tesi di laurea di Gianluca D’Andrea: Le stagioni di Telèma: Magrelli e i poeti del computer.

A anni di distanza da Telèma, l’antologia Verso i bit cerca di raccogliere ulteriore evidenza sul rapporto tra poeta ed informatica. In realtà, nell’antologia che ho curato si può notare come, più che del lato scientifico dell’informatica, i poeti trattino della tecnologia da essa derivata, che è ciò che l’utente vede ed usa; e l’utente poeta pare particolarmente sensibile, nonostante una certa tendenza all’uso del linguaggio tecnico fine a se stesso. Così, per esempio, l’intuizione iniziale di Thomas Pynchon compare anche nella poesia di Gianpaolo Mastropasqua: saremo / lettere - un unico libro mai visto. Nei versi di alcuni poeti (tra cui Batini, Berra, Monasteri) troviamo il computer come memoria estesa in cui rintracciare la propria storia sotto forma di file o archivio di e-mail; o di nasconderla, all’occorrenza. La memoria non è solo esterna: l’homo technologicus (Maurizio Cucchi, in questo caso) ha ...un cervello meccanografico / verde, argenteo, mirabilmente minuzioso / e munitissimo, espandibile, ergonomico (...). Non mancano sensazioni di pericolo: Ennio Cavalli vede la minaccia / di chi traffica per altro padrone, mentre nell’unica prosa poetica ospitata nella raccolta, Stalingrado di Pierluigi Cappello, il protagonista è abile schiavo dei videogame.

C’è anche chi evidenzia le contraddizioni del mezzo informatico: nel testo di Franco Buffoni, (...) Una baionetta lo saliva / Al tempo di lombarda piccola vedetta / Un aquilone poi coi segni marinari / Oggi soltanto l’incisione / Via etere leggera / Del mio nuovo e-mail / Sul far della sera. In questa poesia c’è l’accostamento tra la piccola vedetta lombarda, che passava la giornata ad attendere in cima ad un albero, e chi attende un e-mail. Il postino passa una volta al giorno; se non arriva posta, si sta tranquilli fino al giorno dopo. Se invece si attende un e-mail importante, si finisce per stare tutto il giorno in attesa, controllando ossessivamente la posta. Lo strumento più veloce a mia disposizione può quindi tenermi immobile per ore.

Il computer non compare solo da protagonista del dettato poetico, ma anche nel retroscena, come strumento. E’ il caso del testo di Del Sarto, email tra due poeti, e di quello di Broggi, composto utilizzando il computer per selezionare i versi tra moltissime combinazioni possibili (senza però tentativi di delega della responsabilità).

E’ ancora raro trovare interazioni più profonde tra linguaggio poetico e quello informatico. Un’esperienza da segnalare perché estrema è quella di Giuseppe Cornacchia, che prende un rigido linguaggio di programmazione, e ne ottiene poesia agendo sugli unici spazi di libertà ammessi: nomi di variabili, costanti, e metodi. Esperienza estrema perché è godibile solo con una conoscenza tecnica del linguaggio, ma potrebbe fornire suggestioni produttive ad altri poeti.

Anche la novità dello strumento potrebbe spaventare, ma nel testo di Marcello Marciani non è questione che fa più paura perché forse è troppo tardi; e possiamo tranquillamente concludere con lui che la terra ormai è una rete di rimpasti.

Vincenzo Della Mea (testo rielaborato ed esteso da un intervento presentato a Residenze Estive 2006 e da un articolo pubblicato sul quotidiano La Provincia, 30/1/2006)

6 commenti a questo articolo

> Verso i bit
2006-11-26 23:04:55|di vocativo

Articolo senza dubbio interessante, questo di Vincenzo (ringrazio Giuseppe che me l’ha segnalato). Per quanto riguarda Adriano, sta tentando un esperimento che guarda a Giovenale: una breve silloge che ha composto o meglio, come lui dice "eseguito infilando la mia tesi di laurea in un software e poi applicando la tecnica del cut-up ai testi elaborati dal programma"

cito da una sua mail


> Verso i bit
2006-11-23 16:25:51|

Cari amici,

leggo solo ora il gentile invito rivoltomi nel primo commento, a cui posso rispondere - prima che il post passi in archivio - rimandando, per comodità, ad alcune considerazioni fatte su:

http://www.liberinversi.splinder.co...;

con un caro saluto,

Alessandro Broggi


> Verso i bit
2006-11-22 00:06:46|di GiusCo

Be’ sì... ambiguo, non misurabile, aperto a tutte le interpretazioni e al loro contrario, a ogni misinterpretazione semantica, strutturale, segnica. Non condivido l’idea di opera aperta né le ermeneutiche basate sulle scienze sociali. Quante parole condividiamo, realmente? Quanti suoni? Quante relazioni tra le parole? Strettamente parlando, precisamente, ben poche. Sono in sincero imbarazzo nella vaghezza delle metafore liriche come nella metafisica, tra i molti accordi "fuori testo" e gli imprinting "scolastici" che è necessario possedere per fare poesia in lingua. Mi riesce più economico ragionare su spartiti astratti ma condivisibili, allo stesso livello, da tutti: se sapete programmare in C++ (o quantomeno conoscete cosa c’è alla base e come funziona un linguaggio di programmazione ad alto livello), tutti potete capire la poesia citata da Vincenzo e la capite al 100%. Dopo averla vista con l’occhio della mente e digerita razionalmente, potrete anche ricamarci ermeneuticamente (nonché esteticamente) e non nascondo che sarebbe interessante esercizio. Ma servirebbe una profonda preparazione multisettoriale di base analitica, oltre che una capacità di sintesi fuori dell’uso comune del linguaggio (è questo, per dire, il difetto principale dei blog: la lingua media e lo spettro limitato delle frequenze che passano), doti di misura & verticalità molto complicate da affinare, dato il rumore che ci sovrasta tutti, e poi maneggiare. Per fortuna non sono un critico di professione, posso dunque permettermi di non essere muscolare ma di produrre, quando soddisfatto, degli exempla da mettere in bottiglia (o in bacheca).


http://www.nabanassar.com

> Verso i bit
2006-11-21 10:01:40|di Vincenzo Della Mea

Io a suo tempo (parlo del ’98, ’99, quando è uscito il mio primo libretto, ma stavo pensando già al secondo) mi ero immaginato un approccio a metà strada tra quello di Cornacchia e quello che poi ho effettivamente adottato in Algoritmi, in cui le strutture sintattiche del testo sarebbero state vincolate a quelle possibili in un linguaggio di programmazione (cioè povere: condizionali, cicli e poco più), rimanendo però in italiano. Non ho trovato una strada efficace e leggibile, a suo tempo. Sono rimasto nell’ambiguo italiano ;-)


> Verso i bit
2006-11-20 22:40:29|di GiusCo

Sugli scritti in informatichese, forse aiuta l’articolo che comparve a giugno 2005 su "Computer Programming"; è qui: http://www.nabanassar.com/poesiainc... ; abbastanza autocelebrativo, ma mi fu chiesto esplicitamente di parlare anche dell’esperienza del mio sito.

Ho progressivamente abbandonato l’italiano perché ambiguo e cacofonico. Mi sono rivolto a strutture matematico-tecnico-applicative, cercando di mettere in evidenza il nocciolo fondante o la relazione guida, dando loro valenza estetica.

Esempio: a pagina 36 dell’e-book "ottonale", http://www.nabanassar.com/ottonale.pdf , ci sono due testi che prendono a riferimento le norme tecniche UNI, riferimento nazionale nella progettazione meccanica; nel primo, raffiguro una saldatura (norma UNI 1310) come unione di due prefissi UNI (da intendersi come vi pare: uni-versi, uni come singoli individui, ecc.), a formare un sintagma per mezzo dei numeri 1310, alla maniera di come si eseguono effettivamente le saldature nella prassi. Nel secondo, rappresento graficamente una vite filettata col suo riferimento normativo; la filettatura appare proprio lì dove deve essere nella pratica.

Da un annetto sto lavorando a robe simili, prendendo a modello svariati materiali di estrazione vicina alle mie occupazioni quotidiane (ingegneria, fisica, matematica). Mi diverto e quando ne avrò un centinaio di difendibili o suggestive, comincerò a cercare editore.

Ciao e grazie per la citazione (a Vincenzo) e per l’invito a parlare dei miei modi (a Christian).


http://www.nabanassar.com

> Verso i bit
2006-11-20 18:16:19|di Christian Sinicco

Oggi ho visto su rai3 una cosa stupefacente: negli states è uscita la play station 3 ed è uscito un gioco interattivo, e c’era la gente in fila 8-10 ore per comprarlo. A parte la questione del videogame, che mi ricorda anche uno scritto di Nacci, lo zibaldino, non solo quello di Cappello... è interessante il fatto che diversi poeti sfruttino le possibilità date dall’elettronica, vedi anche Padua, se non erro, nel senso dell’interazione, e poi delle scelte. Magari potrebbero spiegare quello che fanno, da Broggi a Cornacchia a Padua, soprattutto con esempi...


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