Absolute Poetry 2.0
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WALTER J. ONG: LA STAMPA DISTRUGGE LA COMUNITÀ #2

Dalla cultura della stampa nasce il concetto romantico di «originalità»

Articolo postato giovedì 15 giugno 2006

La stampa indirizza verso forme d’arte verbale molto più chiuse, specialmente nella narrativa. Prima della sua invenzione, infatti, l’unico tipo di narrazione di una certa lunghezza a struttura lineare era il dramma che, dall’antichità, si trovava sotto il controllo della scrittura. Le tragedie di Euripide erano testi composti per iscritto e poi memorizzati parola per parola ai fini della recitazione. Con la stampa, l’intreccio compatto fa la sua apparizione anche nella narrativa, a partire dai romanzi di Jane Austen raggiungendo l’acme con quelli polizieschi. Nell’ambito della teoria letteraria, la stampa alla fine dà origine al Formalismo e al New Criticism, con la loro profonda convinzione che ogni opera d’arte "verbale" sia chiusa in un mondo proprio, una «icona verbale». È significativo notare che un’icona è qualcosa che si vede, non si sente. La cultura manoscritta sentiva l’opera d’arte verbale ancora in contatto con la pienezza del mondo orale, e non fece mai distinzione effettiva fra poesia e retorica. Infine, con la stampa ebbe origine la moderna controversia sull’intertestualità, oggi preoccupazione centrale della critica fenomenologica. L’intertestualità rimanda a un luogo comune letterario e psicologico: un testo non può essere creato semplicemente a partire dall’esperienza vissuta. La cultura manoscritta aveva dato l’intertestualità per scontata. Ancora legata alla tradizione ripetitiva dell’antico mondo orale, essa deliberatamente creava i testi a partire da altri testi, prendendo in prestito, adattando, condividendo le formule e i temi comuni, originariamente orali, che pur elaborava in nuove forme letterarie, impossibili senza la scrittura. La cultura della stampa ha di per sé una mentalità diversa: tende a percepire l’opera come «chiusa», separata dalle altre, un’unità in se stessa. La cultura della stampa diede origine alle nozioni romantiche di «originalità» e «creatività», che isolavano ancor più un’opera individuale dalle altre vedendone le origini e il significato come indipendenti, almeno idealmente, dalle influenze esterne. Quando, negli ultimi decenni, nacquero le dottrine dell’intertestualità per opporsi all’estetica isolazionistica di una cultura romantica e tipografica, esse provocarono una sorta di shock. Erano ancor più inquietanti, poiché gli scrittori moderni, dolorosamente consapevoli della storia letteraria e dell’intertestualità de facto delle proprie opere, sono preoccupati di non poter produrre niente di nuovo, di fresco e di poter essere totalmente in balia dell’«influenza» dei testi altrui. L’opera di Harold Bloom The Anxiety of Influence tratta di questa angoscia che affligge lo scrittore moderno. Le culture manoscritte erano tormentate da poche angosce rispetto a queste influenze, e le culture orali non ne avevano alcuna. La stampa crea un senso di chiusura non solo nelle opere letterarie, ma anche in quelle scientifiche e filosofiche. Connesso con questo senso di chiusura è il punto di vista fisso che, come ha affermato Marshall McLuhan, ebbe origine con 1a stampa. Col punto di vista fisso, si poteva mantenere un tono omogeneo attraverso una lunga composizione in prosa; ed entrambi rivelavano da un lato una maggiore distanza fra scrittore e lettore, dall’altro anche una migliore comprensione fra i due. Lo scrittore poteva andarsene fiduciosamente per la sua strada (maggiore distanza, minor preoccupazione); non c’era bisogno di fare di tutto una satira menippea, un miscuglio di vari punti di vista e di toni diversi per soddisfare tutte le sensibilità. Lo scrittore però poteva anche confidare in una maggiore adattabilità del lettore (miglior comprensione). A questo punto nacque il «pubblico di lettori»: una numerosa clientela personalmente sconosciuta all’autore, ma capace di trattare con alcuni punti di vista più o meno precostituiti. La trasformazione elettronica dell’espressione verbale ha accresciuto quel coinvolgimento della parola nello spazio che era iniziato con la scrittura, e ha contemporaneamente creato una nuova cultura, dominata dall’oralità secondaria. Malgrado ciò che spesso si dice, l’elettronica non sta uccidendo il libro stampato, ma anzi ne incrementa la produzione: le interviste registrate elettronicamente, ad esempio, producono migliaia di libri e articoli «parlati» che altrimenti mai avrebbero visto la stampa. Dunque, il nuovo mezzo rafforza l’antico, ma naturalmente lo trasforma, poiché esso alimenta un nuovo stile consapevolmente informale, dal momento che gli appartenenti ad una cultura tipografica ritengono che la comunicazione orale debba di regola essere informale (mentre, al contrario, l’uomo orale pensa che essa debba essere formale). Inoltre, come precedentemente osservato, la composizione su terminale di computer sta sostituendo le più antiche forme di tipografia, così che ben presto praticamente tutta la stampa si servirà in un modo o nell’altro delle attrezzatura elettroniche. Informazioni di ogni sorta poi, raccolte e/o elaborate elettronicamente, si stanno facendo strada in ambito tipografico, incrementandone l’attività. L’elaborazione e la spazializzazione sequenziali delle parole infine, iniziati con la scrittura e intensificati dalla stampa, hanno ricevuto ulteriore impulso dal computer, che massimizza l’affidamento della parola allo spazio e al movimento (elettronico) locale e ottimizza la sequenzialità analitica, rendendola praticamente istantanea. Allo stesso tempo, con il telefono, la radio, la televisione e i vari tipi di nastri da registrare, la tecnologia elettronica ci ha condotti in un’era di «oralità secondaria». Questa nuova oralità ha sorprendenti somiglianze con quella più antica per la sua mistica partecipatoria, per il senso della comunità, per la concentrazione sul momento presente, e persino per l’utilizzazione delle formule. Ma si tratta di un’oralità più deliberata e consapevole, permanentemente basata sull’uso della scrittura e della stampa, che sono essenziali per la fabbricazione e il funzionamento delle attrezzature, nonché per il loro uso. L’oralità secondaria è molto simile, ma anche molto diversa da quella primaria. Come quest’ultima, anche la prima ha generato un forte senso comunitario, poiché chi ascolta le parole parlate si sente un gruppo, un vero e proprio pubblico di ascoltatori, mentre la lettura di un testo scritto o stampato fa ripiegare gli individui su di sé. Ma l’oralità secondaria genera il senso di appartenenza a gruppi incommensurabilmente più ampi di quelli delle culture ad oralità primaria, genera cioè il «villaggio universale» di McLuhan. Prima della scrittura, inoltre, l’uomo orale aveva il senso del gruppo perché non esistevano alternative possibili, nella nostra era ad oralità secondaria, invece, questo senso è cosciente e programmato: l’individuo sa di dover essere socialmente attento. A differenza degli appartenenti ad una cultura orale primaria, che sono volti all’esterno poiché hanno avuto poche occasioni di farlo all’interno, noi siamo estroversi proprio perché prima eravamo introversi. Similmente, se l’oralità primaria rende spontanei perché ancora non è disponibile la capacità di riflessione analitica, originata dalla scrittura, quella secondaria la promuove perché attraverso la riflessione analitica, abbiamo deciso che la spontaneità è un bene. Noi programmiamo accuratamente gli eventi in modo da essere sicuri che siano del tutto spontanei.

[Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino 1986]

1 commenti a questo articolo

> WALTER J. ONG: LA STAMPA DISTRUGGE LA COMUNITÀ #2
2006-06-17 11:53:28|di maria

C’è chi afferma che tra le conseguenze rivoluzionarie introdotte dalla stampa, oltre a modifiche nel metodo di lettura ( silenziosa ed estensiva), di scrittura ( uniformità, sinteticità, analiticità, verbalizzazione di forme astratte) e linguistiche, favorendo lo sviluppo delle lingue nazionali; oltre alla nascita del nazionalismo, perché, secondo McLuhan:"La lingua parlata, manifestandosi con un’alta definizione visiva, fa intravedere quell’unità sociale coestensiva con i confini linguistici", oltre alla diffusione del luteranesimo,...vada annoverato addirittura il Capitalismo, che sarebbe più figlio dei mercanti-editori, che dell’etica protestante di Max Weber o della lotta di classe di Marx. Elizabeth Eisenstein assimila il primo stampatore ad un "imprenditore urbano che a prodotti manuali sostituì prodotti fatti a macchina, che doveva restituire grossi prestiti e garantirsi aiuti finanziari - quelli che proprio a Gutenberg si rivelarono fatali, lasciandolo morire povero e defraudato -; quest’uomo aprì la strada alla prima produzione di massa ed estese le reti commerciali oltre i limiti delle corporazioni e delle città del tardo Medioevo; sperimentò i problemi del lavoro, compresi i primi scioperi, e sitrovò ad affrontare la continua concorrenza di ditte rivali spinte alla ricerca del profitto". Infine l’individualismo.

Tornando alla nostra epoca di oralità secondaria, il multimedia che ci consente la compresenza di codici epressivi diversamente e simultaneamente veicolati, avrebbe proprio la funzione di distruggere l’isolamento fisico del testo e gli atteggiamenti derivati - penso alla distruzione dell’Io - e a favorire l’ibridazione, la mescolanza dei generi, incorraggiando l’integrazione, venuta meno l’autosufficienza di un testo che ha bisogno di essere "iper" per supra - vivere, ma anche ipo di sé, espropriato, tollerando "l’intruso" molteplice che lo invade, mi ricorda Jean - Luc Nancy "L’intruso è in me e io divento estraneo a me stesso".


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