Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
La stampa ebbe, più o meno direttamente, innumerevoli effetti sull’economia cognitiva, la «mentalità» del mondo occidentale. Essa in ultimo allontanò l’antica arte retorica (a base orale) dal nucleo dell’educazione accademica, e incoraggiò e rese possibile un’ampia quantificazione della conoscenza mediante sia l’analisi matematica sia i grafici e i diagrammi. Con la stampa, si ridusse l’attrattiva dell’iconografia nella gestione della conoscenza, nonostante che all’inizio essa avesse messo in circolazione illustrazioni iconografiche come mai era avvenuto prima. Le figure iconografiche hanno parentele con i caratteri «forti», i tipi del discorso orale, e si associano alla retorica e alle arti mnemoniche di cui ha bisogno la gestione orale della conoscenza. La stampa rappresentò anche un fattore di grandissima importanza nello sviluppo del senso della privacy che caratterizza la società moderna. Essa produsse libri più piccoli e più facili da trasportare di quelli delle culture manoscritte, stabilendo la dimensione adatta a una lettura solitaria in un angolo tranquillo, a una lettura finalmente silenziosa. Nelle culture manoscritte, e in quelle degli esordi della stampa, la lettura tendeva ad essere una attività sociale, con spesso una persona che leggeva a un gruppo. George Steiner ha giustamente suggerito che la lettura privata richiede una casa sufficientemente spaziosa da dare la possibilità all’individuo di isolarsi in tranquillità. Oggigiorno chi insegna ai bambini delle aree povere è ben consapevole che spesso la ragione principale di uno scarso rendimento è che in una casa affollata non c’è un luogo dove si possa studiare con profitto. La stampa creò un senso nuovo della proprietà privata delle parole. In una cultura ad oralità primaria, questo senso può esistere per una produzione poetica, ma esso è raro, e di solito indebolito dal condividere con gli altri testi lo stesso insieme di tradizioni, di miti e di temi. Con la scrittura, inizia a svilupparsi una sorta di risentimento nei confronti del plagio. L’antico poeta latino Marziale (i. 53.9) usa il termine plagiarius, aguzzino, speculatore, tiranno per indicare chi si appropria di uno scritto altrui. Ma non esiste una parola latina specifica che abbia il significato esclusivo di plagiario o di plagio. La tradizione orale era ancora forte. Nei primissimi tempi della scrittura, tuttavia, si ricorse spesso a un decreto reale o privilegium che proibiva che un libro stampato fosse riprodotto da altri se non da chi lo aveva originariamente pubblicato. Richard Pynson ottenne un tale privilegium da Enrico VIII, nel 1518. Nel 1557 si costituì a Londra la «Stationers’ Company» (Compagnia dei Librai) al fine di salvaguardare i diritti degli autori, dei tipografi e degli editori, e nel corso del XVIII secolo in tutta l’Europa occidentale andarono prendendo forma le moderne leggi sul «copy-right». La tipografia aveva trasformato la parola in merce: l’antico mondo orale, pubblico, si era diviso in tante proprietà private. Il mutamento della coscienza umana in senso individualista era stato agevolato dalla stampa. Naturalmente, le parole non erano del tutto proprietà privata: fino a un certo punto esse, volenti o nolenti, erano ancora un bene comune. I libri stampati si riecheggiavano l’un l’altro. All’alba dell’era elettronica, Joyce affrontò faccia a faccia il tema delle ansie create da questo stato di cose, e nell’Ulisse e nel Finnegan’s Wake intraprese di proposito a riecheggiare tutti. Allontanando le parole dal mondo del suono, dove esse erano nate con lo scopo di creare un attivo scambio umano e relegandole definitivamente su una superficie visiva, o sfruttando in altro modo lo spazio visivo per la gestione della conoscenza, la stampa incoraggiò gli uomini a guardare alla propria coscienza interiore e alle proprie risorse inconsce sempre più come a delle entità concrete, impersonali e neutrali dal punto di vista religioso. La stampa fece sì che la mente umana sentisse quanto ella possedeva come collocato in una sorta di spazio mentale inerte. La stampa incoraggia un senso di chiusura, l’impressione che ciò che si trova in un testo sia finito, abbia raggiunto uno stato di completezza. Questa sensazione influisce sulla letteratura, sulla filosofia analitica e sul lavoro scientifico. Prima della stampa, la scrittura stessa incoraggiò un certo senso di chiusura cognitiva: isolando il pensiero su una superficie scritta, separata da qualsiasi interlocutore, e in questo senso rendendo l’espressione autonoma e indifferente all’attacco, la scrittura presenta espressione e pensiero come separati dal resto, in qualche modo autonomi e completi. Allo stesso modo, la stampa racchiude il pensiero nelle migliaia di copie di un’opera, tutte, sul piano fisico e visivo, perfettamente uguali. La corrispondenza verbale tra le copie può essere verificata senza ricorrere affatto al suono, ma solo con la vista: un collaudatore Hinman sovrappone le pagine corrispondenti di due copie dello stesso testo e segnala le differenze al revisore con una luce lampeggiante. Il testo stampato dovrebbe rappresentare le parole di un autore in forma definitiva o «finale», poiché la stampa è a proprio agio solo con le cose definitive, finite. Una volta che il carattere di stampa sia stato composto e legato, o sia stata fatta una lastra fotolitografica e il foglio venga stampato, il testo non permette cambiamenti (cancellature o inserzioni) con la prontezza con cui lo fanno i manoscritti i quali, con le loro glosse o commenti a margine (che spesso venivano incorporati nelle copie successive del testo), dialogavano col mondo al di fuori dei propri confini. Essi rimanevano più vicini al rapporto di dare e avere che caratterizza l’espressione orale. I lettori dei manoscritti non sono tanto separati dall’autore, tanto assenti, quanto quelli dei libri stampati. Il senso di chiusura e di completezza indotto dalla stampa è a volte grossolanamente fisico: le pagine di un giornale sono di solito tutte piene - un certo materiale stampato è chiamato «riempitivo» - e le righe di stampa sono normalmente allineate, cioè hanno tutte una medesima larghezza. Essendo la stampa così curiosamente intollerante della mancanza di completezza fisica, essa può dare l’impressione, sottilmente e in modo inintenzionale, ma pur con efficacia, che anche il materiale di cui tratta il testo sia completo e autonomo.
[continua]
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