Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine

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William Shakespeare - Sonetto XVII

dal ciclo della "procreazione" dedicato al "Fair Youth"

Articolo postato martedì 15 maggio 2007
da Erminia Passannanti

Chi in futuro crederà ai miei versi
se delle lodi tue celestialmente aspersi?
per quanto - dio lo sa - son men che fossa
che la gran vita tua, parca, ci mostra.

Se la beltà degli occhi tuoi io vi narrassi
e con numeri nuovi le tue grazie elencassi
i posteri direbbero: "Questo poeta mente!"
- tale tocco divino mai sfiora volto terreno.

Dunque le mie carte ingiallite dal tempo
sarebbero derise come ciarle di vecchio
e le tue verità stimate stramberie per l’orecchio
o di canzone vetusta l’ampliamento.

Ma se un tuo figlio vivesse a quell’epoca,
vivresti due volte tu, in lui e nella mia poetica.

Traduzione Erminia Passannanti, in The Journal of Italian Studies

(1989)


Sonnet XVII

Who will believe my verse in time to come
If it were filled with your most high deserts?
Though yet, heaven knows, it is but as a tomb
Which hides your life, and shows not half your parts.

If I could write the beauty of your eyes
And in fresh numbers number all your graces,
The age to come would say "This poet lies;
Such heavenly touches ne’er touched earthly faces."

So should my papers, yellowed with their age,
Be scorned, like old men of less truth than tongue,
And your true rights be termed a poet’s rage
And stretched metre of an antique song.

But were some child of yours alive that time,
You should live twice: in it, and in my rhyme.

[1609]

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