Dai cancelli d’acciaio

di Gabriele Frasca

Gabriele Frasca è nato a Napoli nel 1957. Ha pubblicato in versi: Rame (Milano 1984 e Genova 1999), Lime (Torino 1995), Rive (Torino 2001) e Prime. Poesie scelte 1977-2007 (Roma 2007).
I suoi romanzi editi in volume sono: Il fermo volere (Milano 1987 e Napoli 2004) e Santa Mira (Napoli 2001 e Firenze 2006). Sono apparsi anche suoi testi teatrali (Tele. Cinque tragediole seguite da due radio comiche, Napoli 1998) e svariati saggi, fra cui: Cascando. Tre studi su Samuel Beckett (Napoli 1988), La furia della sintassi. La sestina in Italia (Napoli 1992), La scimmia di Dio. L’emozione della guerra mediale (Genova 1996), La lettera che muore. La «letteratura» nel reticolo mediale (Roma 2005) e L’oscuro scrutare di Philip K. Dick (Roma 2007).
Con il gruppo musicale «i ResiDante» ha inciso il cd Il fronte interno (Roma 2003). Ha tradotto Philip K. Dick (Un oscuro scrutare, Napoli 1993 e Roma 1998) e Samuel Beckett (Watt, Torino 1998; Le poesie, Torino 1999; Murphy, Torino 2003; In nessun modo ancora, Torino 2008).
Dal 2008 al 2010 ha pubblicato a fascicoli, solo per sottoscrizione, il suo terzo romanzo Dai cancelli d’acciaio (che apparirà in volume unico agli inizi del 2011).
Ha curato nel giugno del 2008 per il Festival del Teatro di Napoli le messe in scena de L’assedio delle ceneri.
Insegna Letterature Comparate e Media Comparati all’Università degli Studi di Salerno.

 
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Articolo postato giovedì 5 maggio 2011
Che cosa succede la notte fra il venerdì e il sabato nella megadiscoteca Il Cielo della Luna, sorta in un niente, come un bubbone o un fungo, a Santa Mira? E che cosa ci fa lì, appeso come un quarto di bue in un alveare di schermi rilucenti, il segretario privato del cardinale Bruno? C’entra qualcosa il cosiddetto Protovangelo di Giovanni? O è invece la prospettiva di partecipare da protagonisti ai dvd commercializzati dalla Defective Vows Disc a indurre ogni volta centoquarantasette persone a (...)
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Articolo postato domenica 6 febbraio 2011
Farabutti o buffoni, a filare nel discorso del padrone, nessuno escluso? Sì, ma avendo innanzi tutto l’accortezza di aggiungere un posto per le isteriche. Fortuna che ci sono, altrimenti chi lo farebbe saltare il banco? E poi non è mica una questione che riguarda solo intellettuali, artisti e quant’altro: in loro magari, ma solo perché è del mestiere farsi denunciare da un’opera, la questione risulta solo più evidente. Ma a chiunque di noi, se non ci è dato che tagliare e ricucire il socius (e (...)
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Articolo postato giovedì 9 dicembre 2010
Ne segue sùbito un’altra, a meno che non sia un inciso. Non c’è che dire, il reverendo Sterne, a furia di procedere elicoidale fra pulpito e pressa, la sapeva lunga, e nella vita di ciascuno di noi, che è una digressione che ci auguriamo ampia, i fatti talvolta si torcono ad incontrare le opinioni, sempre che non siano queste ultime a presentire, o quanto meno prefigurare, un evento che Alain Badiou chiamerebbe in attesa del suo nome. Le cose che accadono insomma stanno lì, sono in verità (...)
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Articolo postato martedì 26 ottobre 2010
La voce del profondo, quella che Alfred Deller incanalava nelle vasche di raffreddamento del seno frontale, canta in verità tutti i nostri tessuti, per questo vi si radica il comunitario (senza che vi si decanti il pensiero). Le prime forme di socius sono prelinguistiche e irriflessive, e dunque non meravigli che lo strato profondo di ogni forma sociale evoluta sia sostanzialmente sovrarazionale. Se qualcosa ancora ci individua, ma senza parlarci, è questa voce, modulata ma non articolata. (...)
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Articolo postato martedì 21 settembre 2010
Ma via, mica tutta la letteratura si riduce alla saga di vampiri tormentati dall’angoscioso dubbio se succhiare il sangue o schiacciarsi ancora i brufoli, se mai per una massa di adolescenti (o di lettori sempre adolescenti) ai quali, in tempo di crisi economica, neanche par vero di assicurare una vita da non-morti? [Diciamocelo: questi discendenti efebici di Nosferatu sono perfetti per il mondo che stiamo consegnando ai loro lettori. Improduttivi come il ben più tenebroso progenitore rumeno, (...)
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