Absolute Poetry 2.0
Collective Multimedia e-Zine
Coordinamento: Luigi Nacci & Lello Voce
Redatta da:
Luca Baldoni, Valerio Cuccaroni, Vincenzo Frungillo, Enzo Mansueto, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Gianmaria Nerli, Fabio Orecchini, Alessandro Raveggi, Lidia Riviello, Federico Scaramuccia, Marco Simonelli, Sparajurij, Francesco Terzago, Italo Testa, Maria Valente.
10 commenti a questo articolo
venerandi interpreta koch che parla a venerandi
2008-01-25 14:06:07|
Io credo che banalmente si tratti di una valutazione del testo come materiale, quando questo viene utilizzato per una qualunque finalità che vada al di là della normale lettura individuale. Nel momento in cui io prendo un testo di un autore e decido di farne una performance pubblica, il testo diventa per me un materiale che -nella finalità della performance- ha lo stesso valore dell’acustica del posto dove sono o della mia manovrabilità del mixer. Molte delle migliori letture fatte con il collettivo bib(h)icante negli anni novanta, partivano da testi poeticamente poco significativi, ma estremamente funzionali per l’idea che stava dietro alla performance, nell’uso delle voci e dei cori. Di contro alcune letture -con testi molto più dignitosi- fatte in posti sbagliati o disattendendo le regole minime del rispetto del pubblico, vanificano il valore del testo stesso: questo spesso non è capito o è trascurato dagli stessi poeti convinti che quando si legge un testo di poesia, il valore del testo dia una autorevolezza ’autonoma’ alla lettura stessa. Io non credo che sia così e ricordo ancora adesso -come monito- una lettura pubblica (grazie al cielo non nostra) organizzata in un locale fichetto, su un palco improvvisato dietro alla macchina che frantumava il ghiaccio per gli aperitivi. Lascio immaginare che brandelli.
A corollario: non ho io, né ne ha oggi il bib(h)icante ahimè, il tempo e il lusso di affrontare un discorso serio sulla performance pubblica e sui rapporti tra declamazione e azione teatrale. Durante le nostre letture negli anni ’90 siamo arrivati a onesti livelli di dilettantismo, e ci siamo chiesti più volte se valeva la pena fare un salto ulteriore per approfondire tecniche di dizione o di teatralizzazione e concludere un discorso che -a nostro parere- partiva dalla performance poetica come luogo di ’confine’, per arrivare alla performance come drammatizzazione consapevole. Non lo abbiamo fatto, dobbiamo campare, abbiamo figli e mutui, fare poesia oggi (ma in generale fare letteratura) è ancora un lusso che non tutti possono o vogliono permettersi.
Alla fine andare a leggere a Bazzano da Ansuini o a qualche slam poetry nei rari inviti che mi arrivano, è un costo che a volte affronto solo per fare stare meglio me, perché leggere le mie cose mi fa terapeuticamente bene e cerco di farlo dilettantescamente meglio possibile.
Lo stesso discorso, e ho finito, per le registrazioni su microfono: mi piace usare il mio microfono, mi piace sfruttarlo e mi piace pensare che sto lavorando per un prodotto dignitoso quanto onestamente improvvisato. Se volessi fare una lettura professionale andrei in uno studio di registrazione, magari accompagnandomi da qualcuno che possa insegnarmi qualcosa.
Ma oggi e qui, fare poesia e fare suono con la poesia è un piacere personale che grazie, diciamo così, a questo magico mondo digitale, possiamo condividere suggerendoci forse a vicenda modi e strumenti per stare attorno a questo economico e immortale media poetico.
venerandi interpreta koch che parla a venerandi
2008-01-22 19:21:12|di Molesini
Ho notato, Venerandi, anche in seguito a tuoi precedenti interventi "redazionali" su absolute, quanto tu tenga al processo di "restituzione del suono", mi vien da dire, e quanto lavoro, tuo, concerna questo samson c01u e software garageband di cui parli.
Questo mi fa pensare al fatto che quello che ti importa, soprattutto, nel tuo procedere anche artistico, se posso dire, è la dimensione sperimentale-acustica. In questo caso (?) sembri cercare una sorta di sostituto della voce, o suo amplificatore, o suo trasformatore in declinazione pensiero-voluta (perdona quando abbozzo).
Me ne parleresti, se ne hai voglia?
venerandi interpreta koch che parla a venerandi
2008-01-16 19:37:54|di fabrizio venerandi
il testo è di antonio koch, la voce è mia, registrata con il solito samson c01u e software garageband, il montaggio video non so chi lo abbia fatto. happy poets? f.
venerandi interpreta koch che parla a venerandi
2008-01-16 01:56:13|
Bene, lamerotanti allora.
Intanto su Koch non trovo niente di strutturato. Come dicevasi nel primo post a lui dedicato.
Le informazioni vanno dalla stitichezza in Karpos:
"Antonio Koch principalmente produce poesia, narrativa e video. Ha un archivio video. Ha progetti su blog."
all’intervista (supervista la chiamano) dei Figlibelli che qui riporto. E’ lunghina ma rende. Mancano le domande.
"
gordon pym di edgar allan poe
non so ero piccolo... sarà stato attorno ai 10 anni.
aveva l’atmosfera dell’avventura e dell’orrore, l’ignoto,
c’era gordon pym che s’imbarcava clandestino verso
l’ignoto... aveva l’atmosfera della libertà dei sogni.
non potevo smettere di leggerlo dovevo sapere
cosa succedeva a gordon pym.
sì, di edgar allan poe ho letto tutto,
poi sono passato a lovecraft.
cercavo orrore & paura e non ne avevo
mai abbastanza.
ah... la discesa nel maelstrom... spettacolare.
beh i sonetti e le poesie non erano un granché
in effetti a parte il corvo. ma i racconti erano
TERRIFICANTI, scriveva dei racconti che erano
dei capolavori del terrore. poi questa è una questione
millenaria se la narrativa di genere possa essere o
meno letteratura. io -ovviamente- penso di sì.
penso a opere tipo Ligeia o Il crollo della casa
degli Usher, roba che ti entra dentro scherziamo,
come fai a dimenticarti di Ligeia.
era un visionario alcolizzato e raccontava quello
che vedeva. e lo raccontava bene.
king è scivolato nella maniera ma i primi romanzi
erano bellissimi. L’Ombra dello Scorpione poi...
lo lessi a 13-14 anni non ricordo, 1000 pagine
in meno di una settimana. divorato.
che dica quello che voglio dire
sì a 14 anni ne scrivevo molti.
poi ho smesso perché facevano schifo.
forse dovrei riprovarci adesso che ho più
bagaglio, come si dice, conoscenza.
ce ne sono diversi
ti cito valerio evangelisti che è molto bravo.
ha "inventato" questo personaggio dell’inquisitore
eymerich che è un personaggio realmente esistito
la saga di eymerich è molto ben scritta (evangelisti
è uno storico come formazione) e consta di parecchi
romanzi, una decina credo forse di più.
eymerich si muove nel XIV secolo tra spagna e
francia per risolvere vari "casi" in cui è chiamato ad
agire in nome della santa inquisizione. questi casi
sono sempre intrecciati in parallelo a vicende moderne
(anni cinquanta, giorni nostri e anche nel futuro remoto)
in un magistrale misto di orrore, splatter, fantascienza
e storia.
col primo, "nicolas eymerich inquisitore" vinse il
premio urania di quell’anno.
il personaggio è affascinante soprattutto perché sta
dalla parte dei "cattivi".
evangelisti è anche autore di fantascienza cyberpunk,
suoi sono i mitici racconti lunghi-romanzi brevi che
compongono l’allucinante "metallo urlante" (einaudi)
che ti consiglio di leggere un giorno se avrai tempo,
penso che ti piacerebbe.
ha anche scritto un tale "romanzo di nostradamus" che
si compone di tre romanzi e che ancora non ho letto
perché penso che sia fuori catalogo, non sono mai
riuscito a trovarlo.
fai una capatina sul suo sito che merita,
www.eymerich.com
ha creato anche un altro personaggio molto esoterico,
il pistolero-stregone Pantera protagonista del
romanzo "Antracite" (che si trova pure negli urania).
beh rispondo comunque perché mi piace.
sì inconsistenza che è quella che sento che mi sa che è il mio "nodo", cioè il mio "problema" principale.
quando ero giovane cercavo di sfuggirle, adesso invece l’abbraccio. scrivendone naturalmente.
inconsistenza nel senso di assenza di tutte le cose me compreso. è una sensazione che mi accompagna spesso
quella di non essere nella vita, di non essere nelle cose, di non stare facendo niente.
allora reagisco -ad esempio- con l’eccesso. nella vita come nella scrittura.
una volta un mio amico -brandolini- mi ha detto che è importante distinguere tra vita e scrittura. che bisogna scrivere per
vivere e non il contrario -forse era un consiglio prezioso ma io non sono in grado di distinguere. o meglio, distinguo
ma non sono in grado di operare una scelta. scrivo quando posso, vivo quando posso.
il comico invece sono in grado di sceglierlo per buttarla sul ridere quando sono magari triste e/o incazzato. tristezza e
ira non mi piacciono, meglio farsi una bella risata no?
sì, il lavoro è togliere.
vorrei togliere fino a lasciare l’essenziale.
quando mi sembra che c’è solo l’essenziale allora sono soddisfatto.
però sembra che non si toglie mai abbastanza.
non mi pare.
perché si chiamano così
sì ma è una menzogna
beh penso che non si possa legalmente -dovrei cambiarli per forza in caso di pubblicazione "legale".
infatti adesso ho smesso, in questo che sto scrivendo adesso "oghma infinitum" uso nomi fittizi.
Penso di sì.
E’ il titolo di un libro che ricevi come ricompensa in una delle ultime missioni del gioco Elder Scrolls IV: Oblivion.
Niente, mi ha solo cambiato la vita.
Sul momento come tutte le cose che ti cambiano la vita non ci ho fatto caso, mi è passato inosservato. Era il 1992 e ti parlo della cassetta di "Cosa succederà alla ragazza", la cassetta non il cd, bada bene, che ho trovato in giro per casa e ho messo nello stereo.
Io all’epoca ascoltavo Battisti nei dischi di mio fratello, tutto il repertorio classico, mi piaceva Battisti perché la sua voce cambiava da un brano all’altro, mi piaceva la sua pronuncia e la sua faccia sulle copertine, era una faccia pulita e giovane e così triste.
Lui già aveva fatto quel disco strano, "E già" che non piaceva a nessuno, a me piaceva perché Battisti urlava quasi in falsetto e la sua voce era pulita e acuta, come senza sentimento, e quelle basi così pulite anche quelle, diverse dalle canzoni strappalacrime di Mogol, così fredde.
Poi ho messo la cassetta di "Cosa succederà alla ragazza" e non si sentiva bene, sembrava rovinata la cassetta. Invece non era rovinata, era proprio così la canzone. Non si sentiva niente, non capivo le parole. Ho ascoltato solo la prima canzone, "Cosa succederà alla ragazza", poi ho spento, ho messo via la cassetta e per altri due anni ho continuato ad ascoltare i vecchi dischi.
Poi nel 1994 mio fratello ha comprato il cd di "Hegel", mio fratello bada bene, non io, e poi l’abbiamo ascoltato insieme e ci siamo fatti delle grandi risate, mi ricordo ci faceva molto ridere queste cose che diceva Battisti, "ma che cazzo dice" ridevamo, ci faceva davvero ridere, ma poi ti veniva l’ossessione di capire cosa diceva, e allora per quello riascoltavi la canzone, dovevi capire cosa diceva, e potevi riascoltarla mille volte e c’era sempre qualcosa che non capivi, e allora ho cominciato a tirare giù i testi e a seguire sul testo e allora mi sono detto "ma questo Panella, ma chi cazzo è questo Panella, chi lo conosce, da dove salta fuori questo Panella, questo è il genio più grande di tutti i tempi insieme a Battisti."
E da lì è iniziato tutto.
Perché dico che mi ha cambiato la vita? Provo a spiegarlo.
Perché sentire Battisti cantare in quel modo, quelle cose, con quelle musiche, tutto così diverso da com’era un tempo, non so, è stato come un’illuminazione, per me voleva dire che tutto poteva essere, improvvisamente avevo chiaro il concetto che nulla è come sembra per sempre, tutto cambia continuamente, e mi sono reso conto che Battisti non era Battisti come lo vedevo io o l’altra gente, ho realizzato che era una persona vera in carne e ossa, un musicista che aveva bisogno di parole da cantare da mettere sulle musiche che componeva, e queste parole adesso le aveva trovate con Panella, capisci cosa intendo, è stato come un risveglio.
Ascoltando "Hegel" mi sono sentito sveglio, prima era come se fossi addormentato, chiuso in un bozzolo ad ascoltare Battisti - "Battisti" nel senso di etichetta capisci, "tu chiamale se vuoi emozioni" eccetera, e dopo "Hegel" quale gusto nel riascoltare le canzoni vecchie, quale apertura mentale.
Ecco sì, è stata un’apertura mentale.
Naturalmente per molti mesi ho ascoltato solo Battisti/Panella, tutto "Hegel" e mi sono procurato tutti gli altri cd e li ho imparati tutti a memoria, ho scritto tutti i testi, mi sono iscritto ai newsgroup dove ci si confrontava, si cercava di capire cosa volesse dire Panella in alcuni passaggi - no, questo dei newsgroup è venuto dopo, nel 1997 o 1998 quando ho scoperto internet - insomma, comunque, un nuovo mondo è questo che voglio dire.
Mogol era un vecchio, forse era vecchio già da giovane.
Battisti invece non era vecchio mai, non avrebbe potuto diventare vecchio penso.
Poi, con internet, mi sono iscritto alla mailing list di "Tracce Fresche", sai Amos, il suo sito, e ho collezionato tutti i monologhi di Panella sul "Foglio" e li ho impaginati tutti e stampati, e me li sono letti tutti, li ho anche regalati agli amici, e continuavo a dirmi ma questo Panella, ma chi cazzo è questo Panella, da dove cazzo salta fuori, ho scoperto che aveva fatto teatro negli anni 70 naturalmente, era logico che aveva fatto teatro, uno così deve per forza c’entrare qualcosa con il teatro, niente, poi ho letto tutte le interviste a proposito di Battisti riportate sul libro "Battisti talk", ma questo non c’entra.
Concludendo posso dire dunque che Battisti/Panella mi ha lasciato la motivazione suprema. La speranza di un nuovo mondo. La voglia di scrivere. La voglia di vivere. La gioia di vivere.
Finalmente, aspettavo con ansia questa domanda.
Poi quando mi sono iscritto alla scuola di teatro ho scoperto una realtà parallela di gente, pochi eletti che conoscevano Battisti/Panella. Tutti noi che conoscevamo Battisti/Panella sapevamo i testi a memoria e li cantavamo per strada a squarciagola fuori dalla scuola e ci sentivamo parte di un’èlite, un circolo di privilegiati, gli eletti capisci, tipo Matrix.
Bei tempi, bei tempi quelli.
Cantare "La sposa occidentale" a squarciagola in mezzo alla strada non può non cambiare la tua percezione della realtà, ecco questo mi ha lasciato Battisti/Panella, una nuova percezione della realtà. Un nuovo modo di vivere la vita. Nuovi orizzonti. Nuovi limiti che non ci sono. Nuove cose in generale. Nuove cose in particolare. Eccetera eccetera.
Non saprei. La scrittura è un godimento tutto mentale e invece il sesso risponde a un bisogno fisico. Non li vedo paragonabili anche se è vero che anche il sesso fisico può essere goduto mentalmente. La scrittura invece non può essere goduta fisicamente. Sì, puoi masturbarti leggendo e/o scrivendo qualcosa ma in questo caso unisci le due cose, scrittura e sesso. Poi a volte le cose nascono dall’insoddisfazione. Forse tutto parte dall’insoddisfazione. Non sono soddisfatto, allora comincio a scrivere per trovare pace, e cosa scrivo? Scrivo che non sono soddisfatto, elenco i motivi per cui non sono soddisfatto e così scrivendo mi soddisfo almeno in parte. Oppure scopo. L’insoddisfazione forse nasce sempre da un’insoddisfazione sessuale. La soddisfazione sessuale fa passare in secondo piano altri tipi di insoddisfazione. Il sesso poi è molto più facile da praticare che non la scrittura. Sono comunque entrambe attività che stancano il corpo ma rinfrancano lo spirito. Il sesso stanca il corpo però lo soddisfa, la scrittura invece no, quindi forse il sesso è un’attività più completa.
Conferma il fatto che in Italia tutti scrivono e nessuno legge, questo è il vero problema degli scrittori esordienti. Non voglio colpevolizzare nessuno perché anch’io lo vedo su me stesso, tra il lavoro e una cosa e l’altra già resta poco tempo per leggere, poca concentrazione, figurarsi se uno scrive, è già tanto ritagliarsi un piccolo spazio di tempo per scrivere, 2 ore è già tanto. E quando leggo? Due righe cacando, due righe prima di dormire. E soprattutto, cosa leggo? Poi lo vedo nella libreria, i libri che si vendono sono sempre gli stessi, quei pochi titoli grossi tipo Moccia, Faletti e compagnia bella, pochi editori puntano su nuovi autori, l’ultimo è stato Castelvecchi con Pulsatilla, quella è stata una bella mossa, ha anche venduto molto bene, e poi basta. Non sono riservati spazi ai piccoli editori e anche se sono riservati la gente non li compra i libri piccoli. Non c’è promozione e distribuzione, l’interesse ci sarebbe ma è sedato, si preferisce andare sul sicuro del titolo grosso piuttosto che investire su un autore nuovo. Ci si perde in una babele di burocrazia, l’impaginazione, le lettere di presentazione... Il vero problema è che leggere richiede un sacco di tempo. Intendo dire anche un redattore, un editor o un agente che ricevono -poniamo- 100 romanzi al mese, quanti ne può leggere un poveretto senza morire, e stiamo parlando di cose inedite provenienti da chiunque, per la maggior parte cose che non rivelano un particolare talento ma uno non lo sa finché non le legge, okay che non lo leggi tutto ma almeno qualcosa devi leggere, un po’ l’inizio, i primi capitoli, le prime pagine, va bene, ci si affida al gusto personale per forza, l’istinto... cose lunghe comunque è questo il problema. Ci si perde per la strada. Di contro tutti scrivono perché scrivere è immediato e fantastico: accendi il computer, ti siedi davanti e cominci a scrivere.
Certo, la rete ha il grande vantaggio che non c’è l’imbarazzo della presenza fisica. Tutti leggono tutto in qualsiasi momento. Leggiamo cose scritte da persone che non sappiamo chi sono, non sappiamo che faccia hanno. La rete è uno scambio reale, ti permette una valutazione reale di quello che scrivi. Poco utile a fini pratici ma ottimo per fini artistici. Il newsgroup it.arti.scrivere era molto attivo in questo. Io leggo sempre meno libri perché leggo sempre più cose sulla rete. Gratis è la parola magica. Non sono costretto a comprare un libro, ho tutto in diretta sul mio computer. Poi chiudo una finestra e apro quella del Word e scrivo. Tutto senza che mi vede nessuno, chiuso nella mia stanzetta. E non solo. Guardo film, cartoni animati, ascolto musica, leggo libri. E’ uguale alla realtà, solo più veloce e senza la presenza fisica. Per dirti, in una libreria ci sono le stesse cose che ci sono su internet (a parte gli autori grossi tipo Auster, Stephen King e company), vale a dire libri piccoli di gente sconosciuta, e libri su come gestire un blog, e manuali di scrittura creativa in rete, come gestire un sito e via discorrendo. Questo è il grande merito della tecnologia e di internet, che permette a tutti di fare tutto. Cioè, non tutti: quelli che possono permettersi un abbonamento a internet. Tra questi, quelli che hanno voglia, tempo e inclinazioni adatte a mettersi a studiare un programma abbastanza a lungo da poterlo usare per scopi artistici. Sono comunque un sacco di persone. Morale della favola la risposta alla domanda è sì, penso proprio che nella rete ci sono scrittori migliori di quelli di "carta".
Parigi e Bolzano.
Ne ho avuti diversi.
Ce n’era una molto grassa che si sporcava sempre le dita di inchiostro. Non ricordo la sua voce, non ricordo di averla mai sentita parlare. Una volta cadde nel vialetto, andavamo in una scuola che era in un prato e nelle stagioni fredde si scivolava, c’era il fango. Scivolò e cadde e i libri che portava sottobraccio caddero prima di lei e lei cadde quasi delicatamente, ero presente, sembrò adagiarsi con la faccia sui libri. Questi episodi ci facevano molto ridere.
Poi ce n’era un altro che teneva il bianchetto nel taschino della giacca e il bianchetto perdeva e aveva tutte le giacche macchiate di bianchetto all’altezza del taschino.
Poi c’era la Pizzirani. Non so perché cambiammo tutti questi prof di italiano. La Pizzirani pure era grassa, naturalmente era chiamata "balena" e si vestiva sempre di blu. Ampi vestiti blu, cardigan blu, scarpe blu. Lei sapeva il fatto suo e quando la prendevamo in giro badavamo a farlo di nascosto, sapeva farsi rispettare.
Poi c’era la Bernardi. La Bernardi era un mito, ancora oggi a volte passa lì in edicola al negozio, mi ha riconosciuto, ci siamo salutati. Aveva senso dell’umorismo, era in gamba. Cadde anche lei una volta, si ondeggiava sulla sedia dietro la cattedra e si sbilanciò troppo e cadde con tutta la sedia, fece un gran tonfo e restò lì per terra a guardarci, e da lì disse gelida: "Il primo che ride lo boccio."
Nessuno rise.
Comunque italiano non era molto importante come materia, era una scuola per ragionieri & segretarie e le più importanti erano le materie fiscali, diritto economia partita doppia queste cose qua, di cui io non capivo un’acca.
Figurati che facevamo anche stenografia e dattilografia.
Poi una volta avemmo una supplente secca secca, coi capelli rossi, che ci fece fare un tema. Qualcuno finì prima delle due ore previste, tra cui io, io scrivevo mezz’ora e poi mi rompevo le scatole, finivo sempre prima e non sapevo mai cos’altro fare. Questa supplente si rifiutò di ritirare i temi prima delle due ore previste e non ci permise di uscire o di fare altro. "State seduti," ordinò. "Rileggete quello che avete scritto. Controllate. Riscrivete, se necessario." Gelida anche lei, serissima. Ci raccontò poi il suo tema d’esame per diventare insegnante. "Avevo otto ore di tempo a disposizione e le passai su quel tema. Scrissi, rilessi, riscrissi. Passai le ore a cesellare il mio stile." Ripeté molte volte questa parola "cesellare", le dava gusto. "Passai otto ore a... cesellare... il mio... stile. Per cui state seduti. C’è sempre qualcosa che non va bene. C’è sempre qualcosa da cancellare, o da aggiungere, o da riscrivere."
All’epoca mi sembrava una matta, solo adesso capisco che aveva capito tutto.
Alcuni sì, altri meno.
Ne ricordo uno dove dovevamo inventare la trama
di un film giallo, e a me venne fuori di fantascienza,
una figata... però presi un’insufficienza perché ero
andato "fuori tema".
Poi me ne ricordo un altro sulla
cometa di Halley, l’avevo scritto tutto in prima persona
dal punto di vista della cometa di Halley, quello
fu un successone.
"Dal monte" nel senso dal monte, dalla cima di questa cosa
che è ventosa, "ventoso" nel senso che c’è aria fritta, di questi
sentimenti - miei, vostri - "sfoglio" io nel senso che sfoglio
all’aria fritta un "ricettario rosa", cioè fogli con scritte ricette
per quel cavolo di chignon che poi lei scioglie e si toglie.
Solite cose insomma, niente di nuovo.
Ciao a tutti."
venerandi interpreta koch che parla a venerandi
2008-01-15 21:09:30|di Alessandro Ansuini
No questa è una produzione di Venerandi, come riferimento puoi tenere lamerotanti.com
venerandi interpreta koch che parla a venerandi
2008-01-15 18:40:04|di Molesini
Questa l’avete fatta con Caucasomedia, ale? O ho capito male? (non ci sono i "credit" in fondo al pacco)
venerandi interpreta koch che parla a venerandi
2008-01-15 18:04:55|di Alessandro Ansuini
Venerandi ha pubblicato anche "Rekiem 11" per Smith & Laforgue, nel 2005.
venerandi interpreta koch che parla a venerandi
2008-01-15 17:39:59|di Molesini
Si, si ride bene. Con loro, e un pelo amaro. Ma anche no.
Aggiungo due dati sul Venerandi, poi cercherò indefessamente quelli del Koch, il defluente.
Alora:
Fabrizio Venerandi è nato a Genova nel 1970.
Ha pubblicato "L’amore è un cavolfiore" (Coniglio editore, Roma, 2006), "Pantagrognomicon" (Di Salvo editore, Napoli, 2001), "Il trionfo dell’impiegato", (Editrice zona, Genova, 1999).
Ha partecipato alle antologie "Il bestiario" (Zandegù, Torino, 2006), "Suicidi falliti per motivi ridicoli" (a cura di Gianluca Morozzi e Gianmichele Lisai, Coniglio editore, Roma, 2006), "Essere magri in Italia" (Coniglio editore, Roma, 2005), "Jam session" (Lampi di stampa, Milano, 2004), "Swing in versi" (a cura di Guido Michelone e Tini Brunozzi Francesca, Lampi di stampa, Milano, 2004), "Poesia in azione" (Milanocosa, Milano, 2002).
I suoi versi raccolti in "monitor" (2005) e "doctoribus cadde" (2002) sono stati stampati ne ifiglibelli di Mauro Mazzetti.
Dal 2003 al 2006 ha curato la rubrica di racconti della rivista Macworld Italia.
Fa parte del laboratorio datti+venerandi.
venerandi interpreta koch che parla a venerandi
2008-01-15 17:00:17|di Alessandro Ansuini
Questo mi fa sempre piegare dalle risate, non c’è verso.
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venerandi interpreta koch che parla a venerandi
2008-01-27 02:17:07|di Molesini
Dici bene. Quello che penso io è che comunque la qualità del suono non sostituisce il tessuto vocale ( che nel caso di "bologna è una merda" mi aveva catturata ), che a sua volta diventa testo- riprodotto da un buon mezzo, va bene- ma che parte dal tuo timbro, dalle tue pause, dalle tue dissonanze, dalla tua sintassi vocale, insomma. O dalla tua scelta pensata di come farle diventare, o accettarle diventate. Ho messo giù un po’ di variabili.
Ecco, arriverei a dire, estremizzando, che non è possibile rendere performanti o buoni testi stupidi, perché è il testo che costruisce il senso dell’ascolto, mentre si possono fare brutte registrazioni, riproduzioni di bassa qualità; arriverei a dire che è possibile individuare il punto in cui queste due cose si dividono, contro ogni benedetta fenomenologia.